sabato 21 ottobre 2023

Per discettar di incipit

L'incipit. Bel problema per chi scrive. Argomento molto discusso nel passato glorioso fra i blogger che amano la scrittura, ma mi immergo anch'io in una possibile definizione.  Ma andiamo per gradi. 

Scrive Italo Calvino, in Se una notte d'inverno un viaggiatore: Come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già prima. La prima riga della prima pagina di ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori del libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo.
Osservando lo stile di "attacco" di tanti scrittori, a mio parere la scrittura più affascinante è quella che spezza un andamento prevedibile e lineare, e lo scrittore valido non teme di farlo proprio nell'incipit. Gli incipit che mi appassionano di meno sono quelli che riescono a focalizzare fin dalle prime righe l'inizio di una storia, così come il termine "incipit" in sé richiederebbe. Per quanto questo tipo di incipit riesca a introdurre il lettore nella narrazione in modo invitante, non riescono a piacermi realmente. Prediligo gli incipit che non abbiano uno stile "tradizionale", non abbiano quel sapore di inizio di una storia, piuttosto mi intrigano quelli che irrompono prepotentemente, che sembrano arrivare dal centro di una storia. Le mie scelte, quindi, sono sempre indirizzate in tal senso e non so se possano essere definite buone o cattive in assoluto, però, per quanto mi riguarda, le trovo di sicuro seducenti e, spesso, sublimi nel senso romantico del termine.

L'incipit è un grande problema anche per il drammaturgo o lo sceneggiatore, che deve iniziare lo spettacolo o il film non solo con le parole - anzi, a volte anche "senza" le parole, ma con azione scenica, movimento ed espressività degli attori, immagini, capaci di creare situazioni possibili.
Uno spettacolo, qualsiasi esso sia, deve molto all'apertura di sipario, che è l'equivalente dell'incipit in letteratura. È lì che lo spettatore - che è l'equivalente del lettore... ma in una dimensione personale e collettiva allo stesso tempo - viene "afferrato", incuriosito, stimolato o anche "ingannato" e sorpreso.
Così come in letteratura e in drammaturgia, infatti, anche in  in musica diventa essenziale la maniera in cui si decide di esordire: leggera, lirica o sinfonica che sia, l'attacco iniziale condiziona immancabilmente la qualità e la riuscita di una composizione di qualunque tipo.

Tornando alla narrativa, ecco alcuni fra gli incipit che mi hanno più colpito.
Alessandro Baricco
Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione – immagine per occhi divini – mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità – verità – ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.

Oceano Mare, Alessandro Baricco (evocativo)

È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie. E benché poco sia dato sapere delle vere inclinazioni e dei proponimenti di chi per la prima volta venga a trovarsi in un ambiente sconosciuto, accade tuttavia che tale convinzione sia così saldamente radicata nelle menti dei suoi nuovi vicini da indurli a considerarlo fin da quel momento legittimo appannaggio dell'una o dell'altra delle loro figlie.
Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen ("scaltro")

Penso che non si possano creare dei personaggi senza aver studiato a fondo gli uomini, come non si può parlare una lingua che a patto di averla imparata seriamente.
La signora delle camelie, Alexandre Dumas ("onesto")

Stefano Benni

L'uomo con i libri sottobraccio uscì di casa e il mondo non c'era.
Guardò meglio e vide che c'era ancora, ma una fitta nebbia lo nascondeva, forse per salvarlo da qualche pericolo. Era il solito mondo e l'uomo ne vide alcuni dettagli ai suoi piedi: una crepa sul marciapiede, un brandello di aiuola, una foglia morta per i poeti, palminervia per i botanici, caduta per gli spazzini. Poi gli apparvero il tronco di un albero, lo scheletro di una bicicletta senza ruote e una luce gialla al di là della strada. Lì si diresse.

Achille piè veloce, Stefano Benni (fantasioso)

Piccola annotazione: nella mia esperienza personale mi è capitato di dovermi concentrare su incipit che risultassero particolarmente a effetto. Talvolta ho sfruttato questo "esercizio" anche in cattedra, quando mi sono accorta che portando gli alunni a soffermarsi sull'inizio di una storia ciò risultava utile nel mio lavoro di motivazione alla lettura. 
Qualche anno fa in una terza curammo tutti assieme un piccolo dossier intitolato "Incipit" che fu molto utile anche durante gli esami. In particolare, i ragazzi lavorarono anche su possibili seguiti della storia, scorporando l'inizio dal seguito. Quanto ne fui tentata io stessa! Ma non volli assolutamente interferire con il loro lavoro. Di fatto, ad ognuno degli esordi avrebbe potuto seguire qualsiasi storia, ma mi vietavo di continuarla e mi limitavo a commentare l'incipit in questione immaginando soltanto la trama, i risvolti, lo stile che quello avrebbe potuto trascinare con sé. È stata un'esercitazione quantomai divertente e stimolante.

Quale tipo di incipit preferite: quello che si può definire "lineare", che introduce il lettore gradualmente nella storia, oppure quello che irrompe con prepotenza e "stordisce" e disorienta per poi ricomporsi in seguito? 

27 commenti:

  1. Non credo che l'incipit sia necessario
    Ken Follett *Nel bianco*
    I due uomini guardavano Antonia Gallo con espressione ostile e risentita. Erano stanchi, avrebbero voluto andare a casa, ma lei non glielo permetteva. Sapevano che aveva ragione, e questo rendeva le cose più difficili.

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    1. In che senso non lo è? Ogni narrazione ha un proprio incipit, e come scritto nel post l'incipit è ovunque, in qualsiasi opera di invenzione.

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    2. Le prime righe di un romanzo non puoi chiamarle *incipit* che è cosa di sostanza e complicata.

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  2. Che bello. Amo gli incipit. Anch'io come te preferisco l'inizio non convenzionale. Quello che poi si trasforma pian piano in una storia che si comprende lentamente e con gran sorpresa. Ma sono belli anche gli inizi che ti vogliono far subito seguire una trama e che poi si trasforma fino a portarti in luoghi diversi dal principio immaginato, come capita con i gialli oppure i thriller.
    Interessante il tuo paragone con le scene teatrali e con la musica.
    Grazie davvero Luz!

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    1. Grazie a te, Pia. Mentre ti leggevo mi veniva in mente il bellissimo, insuperabile, incipit di una delle drammaturgie di Eduardo De Filippo: in Filumena Marturano la scena si apre su un fattaccio combinato da lei che suscita l'ira di Domenico Soriano, sposato con l'inganno. Voglio dedicare prima o poi un post a questo capolavoro.

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  3. L'incipit "a effetto" mi piace sicuramente di più di quello "lineare", però mi causa anche maggiori aspettative, quindi se poi a cotanto incipit non segue una narrazione ugualmente coinvolgente resto maggiormente deluso.
    Uno dei miei incipit preferiti è quello di "Moby Dick" di Herman Melville.

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    1. Concordo. Non mi sono mai trovata comunque dinanzi a una narrazione di spicco nell'incipit e poi loffia nel seguito, almeno non nella vera letteratura.

      Ecco l'incipit da te prediletto, in effetti bellissimo.
      "Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano".

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    2. Mi permetto di aggiungere che, in generale, i primi trenta capitoli ti trascinano letteralmente dentro il romanzo. Peccato per la parte centrale coi capitoli "didattici" sulle balene che spezzano la narrazione, se dovessi rileggere il romanzo quelli li salterei.

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    3. Me ne ricorderò quando finalmente lo leggerò. Un grande classico che mi prefiggo di recuperare e so che in età matura potrei apprezzarlo molto di più rispetto all'adolescenza. Una delle rare eccezioni di adolescente che ha apprezzato Moby Dick è stato mio nipote, ora diciottenne. Lo lesse a 16 anni e ne fu oltremodo entusiasta.

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  4. Bel tema, cara Luz! Arrivo a rispondere alla tua domanda finale ma prima fammi dire cosa mi piace o non mi piace degli incipit che hai ospitato sul tuo post: su Baricco il mio giudizio non vale, non mi piace come autore, dunque non sono oggettiva nei confronti della sua tecnica, passo oltre. Gli altri sono quasi da manuale, quello di Orgoglio e Pregiudizio, di Jane Austen lo ritrovo spesso come esempio di incipit fatto bene e in questo caso condivido appieno. Così come ho amato l'incipit di Il profumo di Patrick Suskind, che lessi sul tuo blog e di cui mi innamorai, come ben sai. Lo lessi d'un fiato e mi accorgo ora che non l'ho mai recensito, peccato. Per me un romanzo cominciato con il piede giusto e che mi ha convinto fino in fondo. In effetti l'incipit deve fare proprio questo, secondo me: è una promessa che deve essere mantenuta. Personalmente amo gli incipit alla Austin o come quello, famosissimo, di Moby Dick che hai appena trascritto, ma è noto che sono una vetero ottocentesca. Se dovessi dirti su quali mi sono adoperata, anche per scrivere i miei romanzi, amo gli incipit che esplodono un particolare piccolo piccolo e apparentemente di poca importanza per lo sviluppo della storia, qualcosa di cui quasi dimenticarsi durante la lettura e che torna in mente , come un fulmine a ciel sereno mentre sei preso dalla storia. In generale oggi credo che un libro debba attirare subito l'attenzione del suo pubblico, perché nell'era dei social i tempi per catturare l'interesse si sono accorciati e di parecchio. Nelle prime righe deve cogliersi il tono dell'autore e la sua ambizione, il suo stile, la sua stoffa e deve lasciarti finanche stordita se possibile, suscitare una reazione emotiva, come l'incipit delle Metamorfosi di Kafka. Giusto dedicare molto tempo all'attacco, persino di un post del blog. Perché fa la differenza tra l'essere letta oppure no...

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    1. Di Baricco amo molto Novecento e Oceano mare, un po' Seta, gli altri li ho apprezzati molto meno, alcuni per me incomprensibili, sembrano scritti da un pazzo come per esempio Castelli di rabbia, che ho finito per puro miracolo. I primi due sono libri che ho letto e riletto anche a brani, proprio perché sono praticamente perfetti in ogni parte. Tu quale hai letto fra i suoi?
      Ricordo il tuo entusiasmo per Profumo, libro incredibile. Costruito alla perfezione a partire dall'incipit. Mi riprometto di leggere prima o poi proprio Moby Dick, che pensa, manca all'appello proprio a me, amante dei classici fra i classici. :)

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    2. Per la trama approcciai Oceano Mare. Ma per me uno stile troppo sfarzoso, le parole sono troppe al punto da confondermi. Ma è passato molto tempo, chissà come lo leggerei oggi. Purtroppo come accade suppongo per Giulia, non mi è molto simpatico, il che non aiuta

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  5. Molto bello l’incipit di Oceano mare, pensa che Baricco non l’ho mai letto (ho un piccolo pregiudizio nei suoi confronti) ma forse potrei cominciare.
    Io amo di più gli incipit d’effetto rispetto a quelli lineari, tuttavia considero più importante la storia, se c’è un incipit promettente ma la storia è deludente è un peccato.
    Tra l’altro trovo che sia molto importante anche la fine, mi è capitato di leggere dei romanzi belli ma con un finale “tirato via” tanto che mi scadeva tutto il romanzo…

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    1. Giulia, potresti cominciare proprio con quello. Io mi prefiggo di rileggerlo per intero, sono passati troppi anni dalla mia lettura integrale e vorrei tornare a quelle atmosfere rarefatte e molto particolari. Riguardo al termine dei romanzi, importante anche l'explicit, hai perfettamente ragione.

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  6. Credo che l'incipit avesse una maggior forza un tempo, quando le copertine erano scarne e non arrivava prima il marketing di qualsiasi altra cosa. Adesso è più la quarta di copertina, o la scheda online, o la tagline a farmi decidere di leggere una storia.
    Per dire, il romanzo tra le mie mani adesso, Carol O'Connell "La donna che leggeva la morte" non ha un gran incipit, ma ad attirarmi è stata la tagline:

    Due fratelli si addentrano in un bosco, ma solo uno ne esce vivo.
    Vent'anni dopo, anche l'altro ritorna.
    Un osso alla volta.

    Capisci che è dirompente. Poi la frase "Un osso alla volta" c'è, se non erro alla sesta pagina. Ma è stato questo ad attirarmi. Sono quasi alla fine e posso dire che, per me, è un capolavoro.
    In altri casi, posso essere in dubbio dopo al copertina, e solo allora vado a leggermi l'incipit nell'anteprima. Come per "L'invenzione di noi due" di Matteo Bussola, acquisto appena arrivato, dove la prima frase è decisamente d'impatto (in realtà l'hanno riportata nella quarta di copertina, come fosse una tagline):

    Cominciai a scrivere a mia moglie dopo che aveva del tutto smesso di amarmi.

    Ti butta dentro alla storia, ma lasciandoti con un sacco di interrogativi. E devi leggere, per sapere come finisce. Ma non l'ho ancora iniziato, forse sotto Natale.
    Comunque non è l'incipit determinante, non per me.

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    1. Ho sempre pensato che tagline e quarta di copertina fossero molto complesse da costruire, lì come te penso si addensi il "succo della storia" per dirla alla Manzoni. Fare la sintesi estrema di un romanzo significa andare alla sua impalcatura, anche al di là della trama in sé. Mi viene in mente il passaggio di una critica a una commedia amara di Eduardo De Filippo. In una trasmissione televisiva si cercava di capire cosa il grande drammaturgo avesse voluto raccontare e si insisteva sulla trama, i personaggi. Poi un filosofo rispose "non è che il tema dell'incomunicabilità". Ecco la sintesi suprema dell'opera. E sono autentici capolavori proprio quei libri di narrativa che rappresentano un elemento dell'esistenza. O perlomeno sono i miei preferiti. Non vedo l'ora di leggere gli ultimi due romanzi di Cormac McCarthy.

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  7. "Era una notte buia e tempestosa"...era di Sir Edward Bulwer Lytton dal suo romanzo Paul Clifford pubblicato nel 1830 divenuto poi famosissimo, e molto usato, negli anni successivi. Anche Umberto Eco disse che l'incipit del suo "Nome della Rosa" alludeva a queste celebri parole.

    Non saprei dire se l'incipit sia ancora così importante. Per me, oggi come oggi, lo è ancora e gli esempi non mancano.
    Un salutone e alla prossima

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    1. A quanto pare Il nome della Rosa ha ben tre incipit, perché Eco fece precedere il romanzo da un prologo di finzione narrativa in cui scrive del ritrovamento di un manoscritto (alla maniera di Manzoni stesso), li riporto dalla rete:
      1. “Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d’après l’édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l’Abbaye de la Source, Paris, 1842). Il libro, corredato da indicazioni storiche invero assai povere, asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XIV secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk dal grande erudito secentesco, a cui tanto si deve per la storia dell’ordine benedettino.”

      3. “Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco, ma il terreno era coperto di un velo fresco non più alto di tre dita. Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole.
      Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia.”

      Il secondo è l'incipit del libro ritrovato dal fantomatico narratore del prologo:
      “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutti intesa al male.”
      Che dire? Un genio. :)

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  8. In questi anni, anche grazie alle esperienze nel blog, ho sempre dato un'importanza primaria al come un libro inizia, perché è da lì che parte la scintilla - ho sempre sentito dire - e direi che questa è la cosa più evidente, ma non esclusiva: questo l'ho capito col tempo. Ho letto libri che hanno un inizio solenne (quello di Oceano mare lo è), ma anche libri partiti in modo semplice quasi insignificante, che poi si sono arricchiti di particolari che hanno fatto crescere la narrazione in modo esponenziale. Allora, adesso, l'incipit mi conquista meno, cioè non sono più attratta dallo scoppio vitale dell'inizio di una storia o dal suo ingresso lineare, l'importante che a pagina cinque, (facciamo anche fino a dieci, dai!) la storia prenda piega e prenda anche me!

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    1. Sì, indubbiamente potrebbe valere la massima "mai giudicare un libro dal suo incipit". Capita anche a me di non trovare granché brillanti alcuni incipit, come di imbattermi in attacchi veramente ben costruiti. Io sono ancora per l'incipit a effetto. Uno davvero bello è quello di It, mi cattura in modo travolgente, ma ancora non mi decido a leggere quel celebre romanzo. Ho troppa paura. :D

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  9. Ci sono incipit bellissimi, specialmente nella letteratura di vent'anni fa o anche più risalente. Per esempio "Cent'anni di solitudine": «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito».
    In pratica l'autore ha costruito una piccola storia con alcuni dettagli ben definiti, e nello stesso tempo ha creato un senso di ansia con la frase iniziale sull'imminente fucilazione. Un capolavoro.
    Non tutti i romanzi hanno bisogno di un inizio che scuota, alcuni decollano lentamente per poi prendere il volo.
    Come scriveva Ariano sopra, "Moby Dick" è stupendo ma ricordo anch'io (o meglio, non ricordo se non per la pesantezza) le interminabili digressioni sulla tecnica di caccia alla balena. Però c'è da dire che all'epoca si scriveva così, vedi anche i romanzi di Victor Hugo.
    Posso dirti che l'incipit di Baricco non mi piace? Le prime quattro righe sono perfette, poi inizia a elucubrare come il suo solito, come se rovinasse l'atmosfera. Molto meglio l'incipit di Stefano Benni a mio parere. De gustibus... ;)

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    1. L'incipit di "Cent'anni di solitudine" è anche un perfetto esempio di lessico, una sintesi perfetta, ci porta nella storia con una ellissi coraggiosa e ci inchioda. Devo ancora leggerlo, so che è bello impegnativo per il grande albero genealogico.
      Sì, l'incipit di Baricco può anche non piacere, un po' come tutti i suoi libri, ma è secondo me suggestivo perché si spalanca più in là in uno scenario particolare, un'atmosfera rarefatta.
      Grazie per questo prezioso commento, Cristina!

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  10. Sicuramente preferisco gli incipit non lineari, quelli che a volte sembrano non avere nulla a che fare con la storia. Ti sembrerà assurdo, ma mi è successo non poche volte che i libri con gli incipit lineari, che ti facevano subito apprezzare la storia, mi hanno deluso. Quando l’incipit è liberare mi aspetto sempre qualcosa di sconvolgente, qualcosa che irrompe e stravolge, se non avviene mi incomincia a venire la noia.

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    1. Il talento del vero scrittore sta proprio non solo nell'individuare l'inizio perfetto per la sua storia ma anche saperlo armonizzare col resto. Insomma, la scrittura è davvero una faccenda molto difficile. :)

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  11. ...che poi proprio l'incipit di Se una notte d'inverno un viaggiatore, lo ritengo assolutamente fantastico... ;) tralasciando la prima pagina di Seta.. ;)

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    1. È bello proprio perché ci mette dinanzi a una verità rivelata. Calvino il genio. :)

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