mercoledì 6 maggio 2020

Il caffè di Luz e Marina - La poesia... sì o no?



LUZ  Buongiorno, Marina. Rieccoci, accomodati pure. Di cosa ti piacerebbe parlare oggi?

MARINA  Oggi offro io: torta fatta in casa. Da me. (Se ti piace, ti do la ricetta, è il mio pezzo forte: so fare solo questa!)
Conosci la “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo” scritta da Giovanni Berchet?
Se vuoi sapere che c’entra con la nostra conversazione di oggi, chiedimi cosa penso della poesia.

LUZ  Sììì, voglio la ricetta. Una volta facevo qualche dolce, un pan di spagna appena passabile. Dunque dunque... L'operetta che citi è considerata quella che fece arrivare il Romanticismo (corrente letteraria che adoro) anche in Italia. Ebbene, cosa pensi della poesia? 

MARINA  Ricordami di mettere la ricetta in coda alla nostra conversazione.
Ti racconto un aneddoto familiare: un giorno mio figlio mi legge una poesia di Pascoli e mi chiede: “non ti ha emozionata?” Dopo la mia risposta, apre una certa pagina dell’antologia d’italiano e mi dice di leggere il brano indicato, tratto dalla “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo” di Berchet (sì, è l’autore del più famoso manifesto del Romanticismo italiano). Per farla breve, il testo dice che tutti gli uomini hanno nel fondo dell’anima una tendenza alla poesia. In pochissimi essa è attiva, negli altri non è che passiva, cioè in tanti la intendono, ma solo pochi sono anche in grado di produrla. Senza tendenza poetica passiva, il poeta non potrà mai sperare di scuotere l’animo dei suoi lettori, così Berchet fa una differenza fra gli ottentotti, i parigini e il popolo. Gli ottentotti, popolazione rozza e primitiva, non hanno nessuna reazione di fronte alla bellezza della natura, rimangono inerti, in loro c’è una totale inattività della tendenza poetica; i parigini che, all’opposto, rappresentano l’eccesso della civilizzazione, sono incapaci di abbandonarsi al sentimento, perché impegnati in continui confronti e ragionamenti; filosofeggiano, indebolendo il sentimento e la fantasia, dunque il senso della poesia. Il popolo, la classe media, che sarebbe la borghesia, esso sì che non ha smarrito l’attitudine alle emozioni, non essendo né ignorante né erudita.
Ebbene, per rispondere alla tua domanda, ti dico semplicemente che mio figlio mi ha chiamato “ottentota”.


LUZ   Beh, dinanzi a una poesia di Pascoli, nei tuoi panni, anch'io mi sarei sentita molto "ottentotta". Lo confesso, Pascoli non mi è mai piaciuto (e mi ha perseguitato agli esami di stato al Classico, perché uscì nella traccia di Italiano) perché non è mai riuscito a emozionarmi. Faccio salvo la sua bellissima teoria del "fanciullino", che ci viene in aiuto e cade a fagiolo. L'uomo, ci dice l'esimio, sarebbe naturalmente dotato di capacità di emozionarsi, ma nel frattempo ha smarrito la strada delle emozioni perché la vita adulta lo distrae (insomma assomiglia a quel popolo parigino). Piuttosto dovremmo essere tutti capaci di recuperare il "fanciullino" che è noi, perché è lì, basta guardare bene. Comunque, teorie a parte, non mi pare proprio di poterti annoverare fra gli ottentotti, perché tu sei un tipo che si emoziona eccome, solo che non ti senti sintonizzata sul canale della "poesia". Deve essere successo qualcosa di traumatico a scuola oppure per una serie infinita di casi fortuiti la poesia non è mai riuscita a "parlarti". Forse ti aspetteresti tanti esempi tratti dalla vita scolastica, invece no, perché in fondo a me capitò di emozionarmi a scuola solo una volta, quando il mio amato professore di Italiano del liceo (quello che temevo di aver deluso) lesse "Ultimo canto di Saffo" e mi mandò in deliquio con la sua voce profonda. Immagina... "placida notte e verecondo raggio della cadente luna...". Non immaginare però che accadde perché era un gran figo, poiché in realtà era anzianotto e per nulla affascinante esteticamente, quindi non provare a imputare il deliquio a qualcosa di diverso.;) Credo di essermi innamorata della poesia in quel momento, in quello scandire il verso secondo un ritmo che con altra voce non avrei colto. Purtroppo non ci furono altre occasioni, quello fu il giorno perfetto. Per riscoprire il deliquio dovranno passare molti anni, terminata l'università. Quello che ho capito è che la poesia può mettersi in sintonia con chi legge solo in particolari e rari casi, meglio le riesce quando la si ascolta dal lettore giusto. Non ti è mai capitato di ascoltare della poesia ottimamente letta? 

MARINA   Sì, ma non riesce ugualmente a penetrarmi. L’unico poeta che io abbia veramente amato è stato Leopardi, ma per una serie di ragioni legate alla sua poetica alla quale mi sentivo vicina ai tempi del liceo. Ho ascoltato persone declamare poesie bellissime, ma oddio, sarò odiata, io mi perdo in mille distrazioni. Una volta, per fare capire cosa penso della poesia l’ho definita un file zippato: dentro c’è un mondo, di pensieri, di emozioni, ma è tutto compresso all’interno dei versi: per comprenderli devi “allargare” la visione, interpretarla, come si decomprime un file per “leggere” il suo contenuto. E io, questo, non lo so fare: ho bisogno di pensieri espressi, spiegati, ampiamente descritti, solo così mi immedesimo e mi emoziono. Una bella pagina di prosa arriva a commuovermi, una poesia mi lascia fredda. Non so davvero a cosa sia dovuta questa mia disaffezione, ma a casa ho solo una raccolta di Hikmet, Neruda e, da qualche parte, devo pure avere Prévert: ne sapessi parlare!. Una persona, anni fa, scrisse una poesia per me: era un poeta poeta eh, non uno spasimante improvvisato: che imbarazzo, avrei dovuto leggerla e sentire i brividi lungo la schiena, invece non capivo la metrica e rileggevo le strofe due e più volte per cercare di dare il giusto ritmo e, nel frattempo, decifrare tutti quei passaggi pieni di metafore. Lo so, sono un caso perso! Io ti ho detto perché a me la poesia non piace, ma perché, invece, a te piace? In genere, perché la poesia piace?

Alda Merini (1931 - 2009)

LUZ   Guarda, ti dirò perché piace a me. Prendiamo una poesia di Alda Merini che amo molto. Eccola.

Il gobbo

Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
… e nessuno m’aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d’allegrezza
che ha il dono di una strana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle.
Ecco, fra la seconda e la terza strofa dentro di me accade qualcosa. Un ribaltamento. Innanzitutto vedo la donna dietro questi versi, poi vedo il suo uso delle parole, e plaudo all'invenzione del "gobbo sfaccendato" che è "simbolo presago d'allegrezza" e perfino possiede "il dono di una strana profezia". E mi commuove saperla sulle sue spalle, in questo luogo immaginario che costruisce a consolazione di una vita in cui l'infelicità viene a trovarla più spesso di quel gobbo. Io trovo sublime e commovente tutto questo. Quando vissi anni fa un momento difficile della mia vita, sai che questa poesia mi consolò? Avevo anch'io anch'io il mio "gobbo sfaccendato" e per me era un simbolo di speranza, la speranza che tutta quella sofferenza finisse al più presto. Forse questo significa, Marina, che non può piacerci la poesia tutta. E difatti c'è tantissima poesia che non riesce a emozionarmi. Poi ti viene davanti una cosa come questa e... Personalmente la amo perché la sento mia. Mi appartiene. Ma può piacermi anche una poesia per via di altri sussulti. Come le poesie di Keats, e in particolare "Fulgida stella", nella quale sento il sapore del Romanticismo inglese. Oppure tornando al Novecento alcune poesie di Wisława Szymborska, che ti invito a scoprire, perché alcune cose potrebbero piacerti (o forse no, eh). In fondo, forse vale la pena cercare. Lasciarsi suggerire dei percorsi. A patto, però, di attingere a una certa curiosità di conoscenza. Ce la potresti fare? 
MARINA:  Lo sai, Luana, quante volte ho riletto la poesia che hai trascritto? Tre volte. 
John Keats (1795 - 1821)
E ancora non mi entra dentro. Forse è vero che le parole arrivano dove incontrano un bacino che le accoglie, fatto di ricordi, di rimandi, di associazioni, però a me succede di non avere la capacità di intuire subito il mondo racchiuso in una parola o in una strofa, dunque di seguire la suggestione provocata. Vado avanti, perché se mi soffermo è anche peggio (cercare una spiegazione rallenterebbe la bellezza di quel flusso di immagini suggerite) e arrivo alla fine che sto ancora cercando un senso, senza essere minimamente scalfita dalla profondità delle parole. Lo sai cosa mi emoziona? La poesia che si fonde nella prosa: quando ho letto “Questa libertà” di Pierluigi Cappello oppure “Folli i miei passi” di Christian Bobin il lirismo di certe espressioni mi ha commossa. La costruzione di periodi evocativi, l’uso di parole musicali in un testo: è questo che mi piace leggere . Sono storie che si dipanano, non frasi ermetiche interpreti della soggettività in cui la poesia ti chiede di entrare. Non ce la posso fare, no. Ma non ti delude, ogni tanto, vedere le citazioni di poesie illustri, scritte dentro un riquadro e lanciate in rete come stelle nel cielo? Ormai servono a riempire gli hashtag dei social. Sono un caso incurabile?


LUZ    Non sei un caso incurabile, no. Tanto più che possiedi, ribadisco, la sensibilità giusta per metterti in sintonia con le poesie citate. È già tanto. O forse è già qualcosa. Riflettendo a lungo su questo tuo sentire, sono arrivata alla sola conclusione possibile: la poesia non ti piace proprio perché non te ne piace il mistero. Perché in effetti la poesia è tutta lì, in quella piega profonda, direi insondabile, che sfugge a una definizione. Accettarne questa peculiarità significa darsi la possibilità di amarla, rifiutarla significa tentare inutilmente di spiegarla. È lo snodo del tuo disamore. Se c'è una cura, essa risiede solo ed esclusivamente nell'accoglierne il mistero, e di conseguenza lasciare che sia lei a possederti, non il contrario. E non è necessario cercare chissà dove, nei secoli, lontano. Basterà volgere lo sguardo verso il Montale migliore, Quasimodo, Ungaretti, perfino De André. Altro dirti non vo, direbbe Leopardi. :)  Dammi quella bella ricettina. 
MARINA   Grazie, Luana. Tiro un piccolo sospiro di sollievo. Mi piace la tua diplomatica conclusione, mi fa sentire meno “rozza”, solo più impermeabile alla piega insondabile di cui parli, il che può dipendere da tanti fattori o da nessuno, semplicemente da una refrattarietà con cui ormai convivo da anni. Certo, ammetto che un po’ m’imbarazza dichiararmi insensibile al mistero della poesia; mi chiedo se qualcuno vive la mia stessa difficoltà. E allora chiedo a voi, che avete letto questo nostro scambio: vi sentite più ottentotti, più parigini o parte del popolo? Sono curiosa di sapere se rimango una minoranza. :)
Ah, mi stavo congedando senza darti la ricetta promessa della torta. Allora, ci vogliono: 100g di zucchero, 100g di farina, 80g di burro, due uova, mezzo bicchiere di latte e 200g di cioccolato fondente...

59 commenti:

  1. Sto pensando a una traduzione in poesia della ricetta....
    Bando agli scherzi, penso che a Luz abbia ragione, Marina. La poesia non si lascia incanalare in un tracciato già definito ed è questa la sua forza. La poesia libera e rende liberi di consegnarsi all’immaginaxione.
    Bel post! Che brave a riproporre la modalità del dialogo che tanto ha a che fare con quei filosofi e letterati che cercano nel confronto dialettico di avvicinarsi a qualcosa che chiamiamo verità.

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    1. Sono felicissima che questi nostri caffè ti ricordino cose belle come il Simposio o altro. Lo spirito con cui ci confrontiamo da due posizioni differenti è proprio questo. L'intento è presentare un contraddittorio da due posizioni opposte, portate avanti dialogando senza cercare di convincere l'altro. Al termine, sembrerà di volta in volta che entrambe le posizioni siano ragionevoli, ciascuna ha una propria validità. :)

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    2. Ciao Giacinta, la ricetta in poesia... un’idea bellissima! 😁
      Io lascio che la poesia parli alle persone che sanno accoglierla. Merita attenzioni che io non so darle.

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  2. C’è una “a” di troppo, pardon!
    :-)

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  3. Allora, piccola premessa polemica verso Berchet: mi pare che la sua semplificazione sia troppo... semplificata :-D Nel senso che capisco che, evidentemente, lui voleva contrapporre due tipologie diverse (l'essere umano rozzo e quello troppo cerebrale) però gli ottentotti, come d'altronde i nativi americani e altre popolazioni "selvagge" spesso avevano uno spirito poetico molto più profondo del nostro proprio per il loro contatto diretto con le forze primordiali della natura. E quanto ai "parigini", beh, penso sia inutile fare l'elenco dei poeti nati in quella città ;-) Quanto ai borghesi più inclini alla poesia, bah, ci vedo un po' di classismo in questa scelta.
    Terminata la fase polemica - sto invecchiando e sono sempre stato acido pure da giovane, quindi fate due conti - vengo al dunque. A me la poesia piace. Restando nei termini dell'immagine creata da Berchet, mi definirei un borghese parigino ottentotto. Nel senso che la poesia, per come la vivo io, è l'espressione di sensazioni ed emozioni tramite parole trascritte non in modo descrittivo prosastico ma tramite un linguaggio che non segue i canoni della normale espressività verbale o narrativa. Da questo punto di vista ogni poeta crea il proprio canone espressivo, e quindi esistono centinaia, forse migliaia di linguaggi poetici diversi, e naturalmente non è detto che tutti mi piacciano. Alcuni risvegliano o assecondano stati d'animo che sento miei e mi coinvolgono, altri evidentemente non ottengono lo stesso risultato. Non ne faccio neppure una questione di singolo poeta, ma addirittura di singole poesie: due dello stesso autore possono una piacermi e l'altra lasciarmi freddo.
    Vi sono delle poesie che mi piace rileggere proprio perché mi commuovono sempre, sento un'assonanza profonda tra le parole così come sono scritte e le emozioni che fluiscono nell'intimità del mio essere. Così, per dire, una poesia poco nota di Giovanni Govoni, "Notte", una poesia che non figurerà mai in nessuna antologia, la rileggo spesso perché la trovo straordinariamente coinvolgente a livello emotivo; idem con le prime poesie di Ungaretti, le liriche di Juan Ramon Jimenez, certe poesie di Baudelaire, molti haiku di Kobayashi Issa. Altre poesie pur notevoli non mi danno la stessa sensazione.
    Concludo con una confessione (si fa per dire giacché l'avevo già mezzo rivelato nel mio blog tramite maldestre esibizioni): a volte anch'io scrivo poesie. Non ho il talento per farlo in modo più serio. Vabbé, neppure per scrivere racconti e fare fumetti, ma per quelli provo meno vergogna, stranezze personali.
    O forse no. Il punto è proprio che la poesia nasce dalle profondità della propria anima e quindi rivela la debolezze e le fragilità più profonde di chi scrive. Ho iniziato a scrivere poesie nel periodo in cui terminavo le scuole superiori e iniziavo l'università. Sono stati anni difficili per varie ragioni, non ne parlo volentieri perché... ecco, diciamo solo che ho conosciuto il "mal di vivere" nelle sue profondità più oscure. Le poesie che scrivevo in quegli anni non le farò mai leggere a nessuno perché sono troppo "private". Per fare una metafora semplice da capire, i miei racconti e i miei fumetti sono fotografie in cui sono venuto brutto, o ridicolo, ma sono comunque coperto da rassicuranti vestiti, quindi posso mostrarle agli altri. Quelle poesie invece sono foto in cui compaio completamente nudo... nell'anima e non nel corpo, certo, ma il meccanismo mentale della vergogna è simile.
    Ecco, la poesia è questo per me: un viaggio nell'intimità più profonda - talvolta luminosa, talvolta spaventosamente oscura - dell'animo umano. Può essere raccontata anche tramite una prosa altamente letteraria, ma il linguaggio poetico le da la suggestione e l'allucinazione di un'emozione diretta, difficilmente spiegabile in modo analitico, speciale proprio per la sua natura così interiore, sfuggente, devastante, commovente, illuminante.
    Basta così, ho delirato abbastanza per oggi ;-)

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    1. Ariano! Intanto grazie per averci dedicato questo lungo e articolato commento. Contiene molti spunti interessanti.
      Hai perfettamente ragione nella tua premessa iniziale. Berchet, benché voglia essere ironico, usa una metafora molto in voga all'epoca, quella di ritenere la cultura occidentale nettamente superiore a quelle ritenute "primitive" o peggio incivili. La figura dell'ottentotto è oltretutto assai triste, ridicolizzata, fiumi di inchiostro sono stati versati anche dalla satira del tempo, perfino decine di vignette rappresentavano questi africani, ritratti in modo grottesco. Diventarono il paradigma dell'inciviltà incapace e inetta, inabile a capire la bellezza del mondo, depositaria anzi di una bruttezza del mondo.
      Mi piace che tu ti definisca un borghese parigino ottentotto, calza a pennello anche a me, che molta poesia non riesco a comprendere, men che meno ad apprezzare, e tanta invece amo visceralmente.
      Capisco che tu abbia affidato alla poesia l'espressione di te in un momento travagliato. Non l'ho scritto nel mio dialogo con Marina, ma l'ho fatto anch'io. Nel periodo più difficile della mia vita la poesia divenne una forma espressiva perfetta, ne scrissi tante, a rileggerle adesso provo tenerezza verso quella giovane donna smarrita, e un po' di rabbia per essermi lasciata travolgere da quei pensieri. Era un'altra me, ma... come incastonata in quei versi, nei quali tentavo perfino la forma del sonetto. Una la dedicai anche a mio padre morente, è quella che mi è più cara. Le ho conservate, ogni tanto le ripercorro. Oggi non sarei più in grado di scriverne, mi rendo conto che la poesia come mia creazione è diventata un territorio a me sconosciuto, che non potrei più percorrere. Resta un'esperienza malinconica e profonda.
      Mi piace quello che hai scritto, la tua definizione di poesia. È evidente che tu ne abbia compreso il significato, gli strumenti, il segreto. Lasciare che il mistero resti tale, come scrivevo, è il segreto ultimo.
      Ho cercato quella citazione di Govoni, ma ho trovato riferimenti a Brindisi alla notte e La ronda di notte. Raccolte, credo. Ma forse tu ti riferivi a una poesia in particolare.

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    2. Oh, vedi, allora puoi capire meglio di chiunque altro perché in un periodo difficile della mia vita mi sono aggrappato alla poesia come se fosse un salvagente per non affogare nel nulla che mi stava inghiottendo.
      La poesia di Govoni in effetti penso che piaccia solo a me, però, proprio per questo motivo, una volta l'ho inserita in un topic di poesia di un forum che frequentavo anni fa che purtroppo si è un po' spento col passare del tempo. Se ci vuoi dare un'occhiata la trovi in questo link che segue, è postata dal sottoscritto al terzo messaggio della pagina (i due precedenti sono altre poesie pur meritevoli, una di Borges sempre postata da me e una di Emily Dickinson trascritta da un'altra utente del forum):
      https://ilvasodpandora.forumfree.it/?t=43957520&st=255

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    3. La distinzione fatta da Berchet era una mia provocazione scaturita da un episodio reale: mio figlio, quando ho risposto “embè”, al cospetto di una poesia di Pascoli da lui molto amata (poi, guarda il paradosso: entrambi i miei figli amano la poesia e le scrivono, pure!) mi ha detto: “sei proprio un’ottentotta” e da lì l’approfondimento. Io, che come dicevo, ho amato durante l’adolescenza Leopardi (ci riempivo i diari personali con il pessimismo cosmico) posso citare “Il cantico notturno di un pastore errante dell’Asia”, dove il pastore è tutto tranne che rozzo e incapace di sensibilità poetica.
      Invece, sul classismo riguardo alla borghesia non so, credo che Berchet abbia voluto porre l’accento sul fatto che la borghesia, ceto emergente, stesse acquisendo una certa consapevolezza su temi che prima erano appannaggio solo della aristocrazia; e un’ultima osservazione sui parigini. Anche qui il “parigino” assurge a categoria generica, perché Parigi è un’emblema, in un certo senso: i parigini escono dalla rivoluzione francese e ne hanno passate tante, al punto da inaridirsi.
      Chiudo con Berchet ed entro nella tua riflessione personale molto bella. Trovare una valvola di sfogo è importante per ognuno di noi e so che una via è la composizione di poesie, perché fissano stati d’animo, momenti con espressioni che li rappresentano al meglio. Diventano cose preziose che serbiamo per i nostri ricordi, quando non pensiamo valga la pena farle conoscere. Io non ne sono mai stata capace: ho sempre raccontato la mia intimità profonda con una profusione di parole che non avrei mai potuto racchiudere in un verso. E, a proposito, dei linguaggi poetici, ecco, è proprio lì che m’inceppo: non so penetrare l’inafferrabile che il poeta fa passare attraverso le sue immagini, cioè, a un certo punto mi chiedo: “ma perché devo sforzarmi d capire cosa vuole dirmi, se non lo afferro subito?”

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    4. Ho letto la poesia di Govoni, Ariano. Bella, anche se non proprio nelle mie corde. :)

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  4. io sono arrivato a capire bene la poesia, e la metrica, attraverso l'opera lirica: che copre un arco di 400 anni, dal tempo di Caccini e Monteverdi fino al Novecento passando per nomi come Metastasio, Da Ponte, Giacosa, Auden. E poi i Lieder tedeschi, Heine, Goethe. Prima mi aveva colpito Lorca, Lewis Carroll con i suoi nonsense (ma in inglese), ero quasi arrivato a imparare le lingue poi la vita è andata da un'altra parte, pazienza. E anche Pascoli, non l'ho letto molto ma so di averlo dentro.
    La battuta di Berchet sugli ottentotti non è delle migliori, ma è perdonabile considerando il tempo in cui è vissuto; ne approfitto per dare il consiglio di vedere o rivedere "Lassù qualcuno è impazzito" (è un film sudafricano con attori boscimani molto divertente e di successo, e pieno di poesia) (The Gods must be crazy è il titolo originale)
    E infine, un cenno a un poeta che mi è arrivato in modo inatteso: Biagio Marin.

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    1. Direi che la musica è un ottimo canale per arrivare alla poesia, hai ragione. In particolare l'opera lirica che è scritta in versi, piccoli poemi musicati egregiamente dai grandi compositori che citi.
      Ma la poesia romantica? Quella che emerge dal Romanticismo tedesco e inglese... sublime. Con quel pizzico di elemento gotico, come nel Poema di Ossian. Ah che sublime parallelo si può fare fra poesia, arte e musica. Io ti dono un cenno a Corrado Calabrò, la sua raccolta T'amo di due amori è molto bella.

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    2. Ciao Giuliano, sono d’accordo sulla bellezza poetica dell’opera lirica: anche a me piace molto.
      Su tutto il resto, fra gli autori che citi tu e quelli, a seguire, di Luana, mi ritiro in buon ordine: sono proprio all’asciutto! Mi si perdoni l’ignoranza! :)

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  5. Su Berchet sono d'accordo con Ariano, la faccio breve. La poesia per me è qualcosa che vibra contemporaneamente dentro e fuori di noi, una sorta di sim patia, che non per tutti vibra sulle stesse lunghezze d'onda. Ecci spiegato, come in fondo sostiene Luz, perché poesie meravigliose non ci dicano nulla e frasi appena grammaticate invece scatenino dentro di noi un'emozione. Forse la poesia non è fuori, non sono i simboli, ma ciò che portiamo dentro di noi. Bel post, mi piace questo caffè e anche la ricetta della torta ;)

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    1. Immagina un qualcosa che si muove a intermittenza, come una luce intermittente anche.
      Rendiamo intermittente una poesia di Ungaretti, una delle mie preferite.

      ...Abbandonato in questa dolina
      Che ha il languore
      Di un circo
      Prima o dopo lo spettacolo...

      ...E me ne sono andato
      Come un acrobata
      Sull’acqua...

      ...Mi sono riconosciuto
      Una docile fibra
      Dell’universo...

      ...Il mio supplizio
      È quando
      Non mi credo
      In armonia...

      ...Questo è il Nilo
      Che mi ha visto
      Nascere e crescere
      E ardere d’inconsapevolezza
      Nelle distese pianure...

      Epico, infinitamente bello. Immerso nell'Isonzo in tempo di guerra, un breve momento di riposo dalla tragedia, e la mente che torna indietro, a tutti i fiumi della sua vita.
      Non sono cattedrali di parole, è roba semplice magnificamente assemblata. :)

      P. S. La ricetta della torta è nel blog di Marina. :)

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    2. Ora vedi? Devo passare per forza per quella insensibile. E vabbè, me la sono cercata: tu dici “la mente che torna indietro, a tutti i fiumi della sua vita”. Bravissima: hai saputo dare un’interpretazione alla poesia di Ungaretti. Io no. L’ho letta e poi l’ho riletta per rintracciare quello che ne hai tratto tu. Dove lo vedo il ritorno al passato, a tutti i fiumi della vita? Riconosco l’armonia e anche la bellezza delle espressioni, ma non so decodificarle e nemmeno farle mie, in qualche modo.
      La poesia incontra chi ha bisogno di spiegare a se stesso delle cose inspiegabili, forse. Elena dice “è dentro di noi”. Vuol dire che io sono nata senza. :)

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    3. Non sono i versi, quelli sono scritti dai poeti (magistrale citazione di Ungaretti Luz, grazie). Ma la poesia, la poesia è intorno a te e sono certa che è anche dentro di te

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    4. No, Marina, probabilmente il mio messaggio era farraginoso. Intendevo alcuni sprazzi della poesia I fiumi di Ungaretti, che per intero suona così:

      Mi tengo a quest’albero mutilato
      Abbandonato in questa dolina
      Che ha il languore
      Di un circo
      Prima o dopo lo spettacolo
      E guardo
      Il passaggio quieto
      Delle nuvole sulla luna

      Stamani mi sono disteso
      In un’urna d’acqua
      E come una reliquia
      Ho riposato

      L’Isonzo scorrendo
      Mi levigava
      Come un suo sasso
      Ho tirato su
      Le mie quattro ossa
      E me ne sono andato
      Come un acrobata
      Sull’acqua

      Mi sono accoccolato
      Vicino ai miei panni
      Sudici di guerra
      E come un beduino
      Mi sono chinato a ricevere
      Il sole

      Questo è l’Isonzo
      E qui meglio
      Mi sono riconosciuto
      Una docile fibra
      Dell’universo

      Il mio supplizio
      È quando
      Non mi credo
      In armonia

      Ma quelle occulte
      Mani
      Che m’intridono
      Mi regalano
      La rara
      Felicità

      Ho ripassato
      Le epoche
      Della mia vita

      Questi sono
      I miei fiumi

      Questo è il Serchio
      Al quale hanno attinto
      Duemil’anni forse
      Di gente mia campagnola
      E mio padre e mia madre.

      Questo è il Nilo
      Che mi ha visto
      Nascere e crescere
      E ardere d’inconsapevolezza
      Nelle distese pianure

      Questa è la Senna
      E in quel suo torbido
      Mi sono rimescolato
      E mi sono conosciuto

      Questi sono i miei fiumi
      Contati nell’Isonzo

      Questa è la mia nostalgia
      Che in ognuno
      Mi traspare
      Ora ch’è notte
      Che la mia vita mi pare
      Una corolla
      Di tenebre

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    5. Ahahah, scusa, rido perché ho pensato che Ungaretti è Ungaretti, insomma nel suo ermetismo ci stava che scrivesse una poesia con i puntini di sospensione. 🤦🏻‍♀️
      Comunque, questa poesia è indubbiamente molto bella, ma per me è come guardare un diamante da dietro la vetrina di una gioielleria: sono affascinata, ma tra me e quel prezioso oggetto rimane pur sempre una parete di vetro.
      @Elena, ho capito male. Quello sì, la poesia può essere in uno sguardo, in un gesto dedicato a qualcuno. In questo senso, ne siamo tutti portatori sani.

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  6. Eheh, bel dialogo che poi è un excursus sulla poesia e sui poeti.
    Bella domanda, bella questione che ponete.
    Io mi sento fanciullino, dai :p
    Non saprei, comunque, perché la poesia l'ho frequentata sempre poco, tranne le classiche e qualcosa di particolare.
    Ma ammetto che, se parliamo di poesia del quotidiano, della natura, beh... quelle riesco ancora a percepirle.

    Moz-

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    1. Ho capito: ottentotto moderno, come me! 😂

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    2. Dai, ci sta. Ma non ho figli che me lo dicano, ahaha XD

      Moz-

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    3. Beh, dopotutto c'è una bella differenza fra la poesia classica e quella contemporanea, nella quale ti ritrovi. È come la differenza fra romanzo classico e romanzo contemporaneo, i linguaggi si sono evoluti anche in questo campo. :)

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  7. Marina, non sei sola, tranquilla! :)
    Se consideriamo la poesia "scolastica", mi si consenta la definizione, cioè quella poesia che incontriamo nei banchi di scuola, allora sono un ottentotto: alla prima lettura cerco di trovargli il bello, alla seconda cerco di trovargli un senso, alla terza vado per immagini, alla quarta mi chiedo a che serve scrivere così se tanto lo capisce solo l'autore... :D
    E poi c'è la poesia "semplice", quella che riesco a capire perché non deve essere analizzata, perché è scritta per essere compresa anche dagli ottentotti. Certo la voce del lettore della poesia può influire parecchio, ad esempio mi piacciono le poesie del film In her shoes (2005) con Cameron Diaz e Toni Collette, perché la doppiatrice italiana della Diaz, Eleonora De Angelis, le recita in maniera encomiabile, il giusto tono, la ritmica perfetta, le pause...
    La prima la legge con il professore cieco che assiste in ospedale, che gliela spiega.

    "L’arte di perdere" di Elizabeth Bishop

    L’arte di perdere non è difficile da imparare;
    così tante cose sembrano pervase dall'intenzione
    di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

    Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
    delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
    L’arte di perdere non è difficile da imparare.

    Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
    luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
    Nessuna di queste cose causerà disastri.

    Ho perduto l’orologio di mia madre.
    E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.
    L’arte di perdere non è difficile da imparare.

    Ho perso due città, proprio graziose.
    E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
    Mi mancano, ma non è stato un disastro.

    Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato).

    Questa è la prova. E’ evidente,
    l’arte di perdere non è difficile da imparare,
    benché possa sembrare (scrivilo!) un vero disastro.


    La seconda è il finale del film, ed è incomparabile:

    "Il tuo cuore lo porto con me" di E.E.Cummings

    Il tuo cuore lo porto con me
    Lo porto nel mio
    Non me ne divido mai.
    Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
    qualsiasi cosa sia fatta da me,
    la fai anche tu, mia cara.
    Non temo il fato
    perchè il mio fato sei tu, mia dolce.
    Non voglio il mondo, perchè il mio,
    il più bello, il più vero sei tu.
    Questo è il nostro segreto profondo
    radice di tutte le radici
    germoglio di tutti i germogli
    e cielo dei cieli
    di un albero chiamato vita,
    che cresce più alto
    di quanto l’anima spera,
    e la mente nasconde.,
    Questa è la meraviglia che le stelle separa.
    Il tuo cuore lo porto con me,
    lo porto nel mio.

    Dimmi Marina, queste non ti dicono nulla leggendole? Allora prova a vedere il film e vedi se le sensazioni cambiano.
    Poi beh, se ci mettiamo anche una voce maschile a leggere la poesia... senti questa Luz, "Red, Red Rose" di Robert Burns letta da chi-sai-tu ;)
    https://www.youtube.com/watch?v=vnkuK6UhX4Y

    Capisco il testo, ma per conto mio, con quella voce lì, potrebbe leggere anche la lista della spesa e la scambierei per poesia! :D :D :D

    PS. A proposito di, dal suo lockdown alle Hawaii, ha scritto una lettera d'amore al teatro di Edimburgo (ora chiuso per la pandemia) dove è cominciata la sua carriera. Quando l'ho letta, ho pensato a te, Luz. Eccola qui: https://lyceum.org.uk/letters-to-the-lyceum/entry/sam-heughan

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    1. Credo che in me si verifichi questo fenomeno: quando so di avere a che fare con una poesia, la mia mente si sintonizza sulla modalità “sforzati di capirne il senso”, cioè cerca di intuire le ragioni per cui il poeta ha scritto quello che ha scritto. E dunque, per così dire, faccio un lavoro razionale, che è tutto l’opposto di quello che chede la poesia, che, invece, è abbandono, quasi una fiducia totale nelle parole altrui.
      Tu hai trascritto le due poesie e non è un fatto di mera comprensione, perché il significato, in entrambi i casi, è chiaro; è un fatto di trasporto: sono versi che non mi cullano, non sfiorano la mia immaginazione, non solleticano sensazioni, non ritrovano ricordi, in poche parole: mi lasciano indifferente. Recitate da qualcuno con una voce e una dizione perfetta può farmi cambiare idea? Forse, ma lì entra in gioco la concentrazione, che è naturalmente maggiore se hai un testo sotto gli occhi, perché l’ascolto è più dispersivo. Devo fare uno sforzo per non perdere la continuità della recitazione e, qualche volta, le poesie arrivano a sfiorarmi. 😁 A proposito di voci, per esempio, quando ho ascoltato l’Infinito di Leopardi nel video di Luana, mi sono commossa: sarà perché era Leopardi o, forse, quella varietà di toni e la spontaneità, mi hanno avvicinato alla bellezza dei versi. Non so, lo dico con un po’ di pregiudizio, ma la solennità della declamazione di una poesia fatta da un attore/trice potrebbe lasciarmi indifferente tanto quanto la sua lettura.

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    2. Dunque, è il caso di precisare meglio: chi ama la poesia non credo ami TUTTA la poesia esistente. Anch'io dinanzi a certi versi della poesia classica resto indifferente, in certi casi perfino irritata. Lo confesso senza remore: detesto le poesie di Manzoni, di Pascoli e di Carducci. In particolare la poesia cadenzata di Manzoni mi irrita, al punto che non posso nasconderlo agli alunni, e mi capita così di leggere tre versi manzoniani e tre leopardiani, per fare percepire la trasformazione fra i ritmi, i piani emozionali.
      Pascoli per me è patetico. Non mi arriva, posso appena tollerare X Agosto ma è già tanto. E le cattedrali classicheggianti di Carducci poi... sono l'apoteosi. Anche certa poesia contemporanea, come quella di Sanguineti non mi piace per nulla. Non amo tutto quello che Merini ha scritto, diverse sui cose mi paiono banalità. I poeti francesi definiti "maledetti"? Non tutto, per esempio non capisco Rembaud, e apprezzo appena appena Verlaine. Non comprendo tutto di Keats, anche se me ne piace lo stile.
      Insomma, questi sono solo alcuni esempi di poesia che a me non piace, pollice verso.
      La poesia è un campo talmente complesso e vasto, che funzione come per la letteratura: moltissimi libri possono piacerci, altri per niente, anche se scritti da luminari della scrittura.
      Con questo intendo liberare il campo da ogni dubbio riguardante quell'apparente confine fra seguaci e detrattori. In realtà non è tutto bianco o nero, ci sono pieghe in cui si insinua un grigio, un misto di sì e no.
      Fra le poesie che citi, Barbara, quella di Cumming, per farti un esempio, è bella ma non me ne sento coinvolta. È come un bel vestito che non indosserei, ecco.
      Continuo a sostenere, come te, che la poesia acquista valore anche nel momento in cui una voce autorevole la legge. Mi piace come il tuo attore prediletto snocciola quei versi di Robert Burns, un poeta d'eccellenza molto apprezzato nel mondo anglosassone (viene citato anche in alcune commedie teatrali di Clive Exton). Non tutti gli attori ne sarebbero capaci, alcuni lo sono, e molto. L'infinito declamato dai miei allievi, Marina, che sono felicissima ti sia piaciuto, è come dici un insieme di voci e di piani imperfetti, questo suscita emozione.
      Insomma, ci sta che l'emozione non arrivi o che sia legata a particolari condizioni. Per quanto mi riguarda, la poesia è bella se riesce a essere un amalgama perfetto nell'imperfezione, se fa vibrare una corda dentro di me (legata magari a un ricordo), se osa anche, perché no? Ecco perché adoro la perfezione imperfetta di Montale, un autore che a scuola non mi diceva nulla ma che scoprii io, comprendendone la poetica e il genio.
      Chiudo questo commento con Auden:
      Blues in memoria (che sentii la prima volta nel film "Quattro matrimoni e un funerale", mi piace accordarmi alle tue citazioni cinematografiche, Barbara).

      Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
      fate tacere il cane con un osso succulento,
      chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
      portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

      Incrocino aeroplani lamentosi lassù
      e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
      allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
      i vigili si mettano guanti di tela nera.

      Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
      la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
      il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
      pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.

      Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
      imballate la luna, smontate pure il sole;
      svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
      perché ormai più nulla può giovare.

      Questa poesia mi ispirò molti anni dopo la lettera di addio che lessi il giorno del funerale di mia cognata.
      P. S. Grazie per quella lettera al teatro di Edimburgo, Barbara. :)

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    3. Ora che la leggo, ricordo bene anche quella poesia Luz dentro il film, anche se la traduzione usata nel doppiaggio italiano è diversa, eccola qui:
      https://www.youtube.com/watch?v=ACTYxEesLss

      Fermate gli orologi, tagliate i fili del telefono
      e regalate un osso al cane affinché non abbai;
      faccia silenzio il pianoforte, tacciano i risonanti tamburi,
      che avanzi la bara, che vengano gli amici dolenti.
      Lasciate che gli aerei volteggino nel cielo
      e scrivano l’odioso messaggio: lui è morto.
      Guarnite di crespo il collo bianco dei piccioni
      e fate che il vigile urbano indossi lunghi guanti neri.
      Lui era il mio nord e il mio sud, era l’oriente e l’occidente, [ndr. e qui sono alle lacrime]
      i miei giorni di lavoro e i miei giorni di festa,
      era il mezzodì, la mezzanotte, la mia musica, le mie parole;
      credevo che l’amore potesse durare per sempre ma era un’illusione.
      Offuscate tutte le stelle perché non le vuole più nessuno;
      buttate via la luna, tirate giù il sole;
      svuotate gli oceani e abbattete gli alberi,
      perché da questo momento niente servirà più a niente.

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    4. Unendo entrambe nelle loro parti migliori ne esce fuori un capolavoro...

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  8. Né più mai toccherò le sacre sponde, ove il mio corpo, ottentotto, giacque...

    Mi unisco agli ottentotti: da che parte mi devo sedere? :-D

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    1. Quindi ragazzi noi tre, io, Marina e Darius, ci ritroviamo insieme anche in questa occasione. Ma non è che da ottentotti noi potremmo addirittura ascoltare una poesia Vogon (cit. Guida galattica per gli autostoppisti) e rimanerne indenni? :D :D :D

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    2. Ok. Dopo questa battuta, molto ottentottemente, mi alzo ed esco a far due passi... :-D :-D :-D

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    3. Non vale, siete troppo simpatici. XD

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    4. Secondo me, non siamo stati noi a scegliere di leggere insieme la Guida galattica, ma è stata la Guida galattica a trovarci uno per uno. 😁
      E no, mio caro Darius, ora tu rimani qui con noi, perché la Resistenza ottentotta ha bisogno di te!

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    5. Devo aggiungere una riflessione molto ottentotta. Credo che la poesia sia una forma di letteratura molto intima e, come tale, per essere apprezzata richiede una forte affinità tra chi scrive e chi legge. E' già molto difficile far apprezzare racconti e romanzi dove l'autore (se è bravo) può creare quest'affinità gestendo la prosa con molte soluzioni e molta fantasia. Figuriamoci con la poesia. Oltretutto, non so se è una sensazione molto diffusa, ma a me la poesia ha sempre trasmesso la sensazione di essere un testo criptico, segreto, essenziale. Così essenziale che a volte l'unico destinatario è l'autore stesso, che è l'unico che può capire veramente il senso profondo di quanto scritto. Tanto è vero che la maggior parte delle poesie restano chiuse sotto chiave, destinate a non essere mai lette da nessuno (altra sensazione personale).
      Diciamo che se il romanzo sta nel classico cassetto, la poesia sta nel vano segreto del cassetto nascosto della scrivania giù in cantina della casa in montagna (per quei pochi che possono permettersi una seconda casa... :-P ).

      P.S.: cara Marina, se è vero che la Guida Galattica ci ha trovato uno per uno, allora è il classico caso di quando si dice che, se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo. Per il resto so solo che sono stato trovato da una ragazza di Padova. Che mi ha teso un trappolone. :-D :-D :-D

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    6. Darius, quello che scrivi nella tua argomentazione è validissimo: anche la narrativa per essere apprezzata richiede una sintonia fra chi scrive e chi legge, ciò spiega i tantissimi che non riescono ad apprezzare un ottimo romanzo (non parlo di inetti, ma di persone colte che non apprezzano determinati autori). Anche se non ce ne accorgiamo, si tratta di una cosa molto simile, una sintonia. Tu scrivi "affinità" indispensabile fra scrive e chi legge poesia, ma non sempre è così. Se apprezzo molta produzione di Montale, non è perché io e lui siamo affini, anzi, potremmo risultare infinitamente diversi sotto molto aspetti.
      Poesie che si presentino come "criptiche" ce ne sono a iosa, è vero, ma non tutta la poesia è così. Nella sua natura segreta, misteriosa, essenziale, sta la sua bellezza.
      Conosci Spleen di Baudelaire? Si sente l'humus del migliore simbolismo francese. Non è immediata, non vuole esserlo. Io ne sento tutta l'immane forza. È travolgente. Mi ricorda anche il migliore Poe, o Lovecraft.
      Con tutti i limiti della risultante di una traduzione, eccola:

      Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
      sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
      e versa, abbracciando l'intero giro dell'orizzonte,
      un giorno nero più triste della notte;

      quando la terra è trasformata in umida prigione
      dove la Speranza, come un pipistrello,
      va sbattendo contro i muri la sua timida ala
      e picchiando la testa sui soffitti marci;

      quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce,
      imita le sbarre d'un grande carcere,
      e un popolo muto d'infami ragni
      tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

      improvvisamente delle campane sbattono con furia
      e lanciano verso il cielo un urlo orrendo,
      simili a spiriti vaganti e senza patria,
      che si mettono a gemere ostinatamente.

      E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande,
      sfilano lentamente nella mia anima; la Speranza
      vinta, piange; e l'atroce Angoscia, dispotica,
      pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.

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    7. No, non conosco molte poesie e quel poco che conosco sono rigorosamente in italiano perché credo (e magari mi sbaglierò) che la traduzione penalizzi ulteriormente la trasmissione di emozioni e sensazioni. Il problema (secondo me, s'intende) non sta tanto nell'effettuare correttamente una traduzione con i termini più consoni, quanto nel fatto che ogni lingua ha termini e vocaboli non sempre traducibili. Senza contare che spesso in un componimento il poeta cerca di perseguire una sorta di musicalità, di ritmo servendosi a volte anche della punteggiatura. Tutte cose che, pur non essendo poeta, vedo troppo fragili per passare indenni attraverso una traduzione.

      Quanto all'affinità (forse mi sono spiegato male...) non mi riferivo tanto all'affinità di carattere tra chi scrive e chi legge ma all'affinità di sentimenti, emozioni, sensazioni che una frase (o anche solo una parola) può suscitare. Per fare un esempio pratico sulla poesia che hai riportato: "un giorno nero più triste della notte". Per me la notte non è triste. Quindi, al di là della traduzione, al di là del simbolismo francese che non sono in grado di cogliere (limite mio, ovviamente), la frase non concorre a creare quell'affinità necessaria per portarmi ad apprezzare la poesia (e con essa anche altre frasi).

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    8. È un po' come l'arte moderna, di fatto bisogna conoscerne i meccanismi. Il simbolismo francese vuole essere oscuro, la sua costruzione ricorre alla metafora, la "notte" e ogni altra immagine sono un insieme semantico che rimanda al dolore, al distacco da una realtà non accettata.
      Insomma, sublime, ma qui non si parla della rana crocifissa dell'arte contemporanea, questa è letteratura ad altissimi livelli.

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    9. Hai ragionissima: bisogna conoscere i meccanismi di certe arti. E io molti non li conosco.
      Non per niente mi sono seduto dalla parte degli ottentotti... :-D :-D :-D

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    10. Sono in buona compagnia, vedo.
      Per me il discorso è legato proprio a una difficoltà materiale, da parte mia, di accogliere il messaggio, quando si nasconde dietro le metafore riuscitissime nella mente e nel cuore del poeta oppure di condividerlo, quando è di facile interpretazione. Resto bloccata: fra me e le parole si alza un muro e penso che quell’amore, per la poesia, o c’è o no, perché se voglio trovarlo, mi manca la spontaneità per farmi attraversare dalle parole e tendo subito a razionalizzare. Forse più che ottentotta, a sto punto, dovrei passare sul fronte parigino. 😁

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    11. Sì, ecco la verità ultima quale potrebbe essere, Marina! Tu non sei "ottentotta" ma "parigina", la definizione ti calza più fedelmente. Non sei "non-capace" di comprenderla né difetti di sensibilità, direi che indulgi in troppa razionalità, ecco. :)

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  9. Carissima Luana,
    mi permetto di spendere altre due parole su questa complicata faccenda della parola poetica che dovrebbe per statuto "emozionare", cioè passare dagli occhi che leggono al cuore senza nessuna tappa mentale intermedia, poiché la mente razionalizzerebbe e quindi smorzerebbe ogni effetto/affetto trasportato "automaticamente" (sic!) dai versi. Ora, se c'è una scrittura che più di ogni altra è ragionamento, scelta, precisione, ricorso continuo alle funzioni più alte della mente questa è la Poesia. Perché la parola poetica è trasformazione, riformulazione che distillando eleva la lingua al di sopra del linguaggio comune. Un’operazione che ridà purezza alla parola, scrostandola dalle scorie del tempo e della cultura dominante. Quindi, il poeta non si affida al caso, bensì a precise scelte lessicali, alla metrica, alla fonetica, alle figure retoriche, alla lucidità mentale del lettore per ricostruire nell'animo lo sfondo, il colore che in noi ridà vita nuova alla parola scritta o declamata. La poesia è partitura musicale: piena di destrezza nella composizione e di sensibilità nella sua re-interpretazione. La poesia è lingua che richiede competenza. Da qui il rischio molto moderno di farne un'opera eccessivamente "intellettuale" e da qui anche il pericolo di farne un'operetta da mercatino rionale: già pronta per il facile riso o la facile tristezza, per una banale emozione alla portata di tutti. Invito a riflettere su questo secondo pericolo (fate voi un confronto tra la poesia di Paul Éluard, carica di suggestioni anche pittoriche, e quella di Prévert, da canzonetta, più superficialmente emotiva).
    Ti riporto qui il mio sintetico commento scritto sul tuo profilo Facebook, senza cambiare una sola virgola. Eccolo:
    "Anch'io sono dalla parte di Marina: trovo molto più poetica la ricetta della torta che l'insipido componimento di Alda Merini.
    Però, detto tra noi, tutto andrebbe meglio e meglio si capirebbe la differenza tra prosa e poesia se eliminassimo dal nostro vocabolario il verbo "emozionare", perché se qualcuno scrive un rigo, un verso, un paragrafo, un capitolo, un componimento intero per eccitarci, cioè per suscitare, sollecitare, stimolare direttamente in noi il nostro più primitivo sub-strato emotivo, senza prima passare per la nostra meravigliosa mente, costui compie un'azione primitiva, rozza, generatrice di puro kitsch, cioè in grado di far leva solo sui bassi istinti che sempre ma effimeramente suscitano in pianto o riso, gioia o tristezza. "Emozionare" è un poco come riassumere la complessità e bellezza del Canzoniere di Petrarca nell'espressione "Il bacio è un apostrofo tra le parole Ti amo". O come definire l'infanzia limitandosi alla lacrimuccia sul viso tondo dell'orfanella che luccica nella tela del pittore della domenica.
    La poesia, quand'è Poesia, non emoziona nessuno, perché il Poeta suggestiona, impressiona, sorprenda, incanta, affascina, stimola l'immaginazione, sensibilizza, crea un mondo nuovo, sovverte le regole, crea regole, se e solo se colpisce i recettori del sistema mentale predisposto di chi i versi li ascolta. E Marina ha ragione quando dice che certi versi (odierni) non dicono nulla perché sono composti da parole omeopatiche, che per chiamarle "emotive" ci devi credere. Oggi spesso la poesia è questione di fede, parla solo ai fedeli, agli adepti, ai credenti della dea Merini, tagliando fuori tutti gli atei e gli agnostici che l'Ada Negri una volta la imparavano a memoria.
    Tra le tante funzioni alte della Poesia c'è quella imprescindibile di rendere consapevole il lettore ascoltatore della musicalità della lingua. La Poesia è fonetica al servizio di una idea. È linguaggio concentrato che elimina il rumore di fondo del parlare quotidiano. Ma in un'epoca di frastuoni come questa, cara amica, troppi lettori/persone hanno già perso l'udito giusto per vibrare all'unisono con certe frequenze ancora poetiche.
    Un caro saluto.

    Renato M. Bruno

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    1. Caro Renato, grazie per questo articolato intervento.
      Non credo di aver creduto mai io stessa che la poesia non sia frutto di una elaborazione, una rielaborazione, un'operazione estetica prodotta da studio nella composizione. Mi è venuta in mente la bozza di Leopardi de L'infinito, una pagina scritta e riscritta, rimodellata, cesellata, lavorata.

      [img]https://statics.cedscdn.it/photos/PANORAMA/16/59/4811659_1443_25_ottobre.jpg[/img]

      Il riferimento all'aspetto "mentale" della fruizione della poesia - non dunque nella fase della sua composizione - era riferito proprio alla perplessità di Marina riguardo a questo genere. Chi non la ama comunemente commette l'errore di tentare di spiegarla, senza lasciarla al suo mistero (giacché il mistero deriva dal distillato della Realtà e dei suoi linguaggi, di cui tu argomenti tanto bene). In sostanza, il discorso fra me e Marina è stato questo.
      Il mio errore a tuo dire è stato citare la Merini, che so detesti, ma su questo nulla posso fare. Come ho scritto più su, posso amare molto alcuni suoi componimenti e ritenere banali altri. Non credo che la Merini sia il paradigma assoluto, anzi. Io ne amo moltissimo alcune cose, perché è riuscita ad "arrivare" fino a me, a "sorprendermi, incantarmi, affascinarmi, stimolare la mia immaginazione" riportando le tue parole.
      Per molti è più poetica la ricetta di Marina, ma ci può stare, lo comprendo perfettamente. :)
      In questo post si solleva il problema del non riuscire ad amare per nulla la Poesia in sé, del non riuscire a farsene sensibilizzare, non vedervi un mondo nuovo che crea o sovverte regole, sempre citandoti. Il problema è tutto lì. Poi se ne panorama dei poeti o presunti tali c'è chi detestiamo bellamente, increduli che Tal dei tali possa essere definito poeta, è un altro paio di maniche.
      Mi piace tutto quello che scrivi riguardo alla forza della Poesia. È esattamente quello che penso anch'io, per esempio dinanzi allo Spleen citato più sopra in un altro commento. Oppure dinanzi ai versi di Whitman...

      O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
      la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
      vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
      occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;

      ma o cuore! Cuore! Cuore!
      O gocce rosse di sangue,
      là sul ponte dove giace il Capitano,
      caduto, gelido, morto.

      O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
      risorgi - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
      per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
      te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;

      ecco Capitano! O amato padre!
      Questo braccio sotto il tuo capo!
      È solo un sogno che sul ponte
      sei caduto, gelido, morto.

      Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili
      non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
      la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
      la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;

      esultate coste, suonate campane!
      Mentre io con funebre passo
      percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
      caduto, gelido, morto.

      Mi piacerebbe sapere quali poeti ti piacciono in particolare, Renato. :)

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    2. Beh, Renato, la tua disquisizione non poteva essere più completa di così. Condivido tutto. Tra l’altro penso che il poeta che voglia farsi leggere abbia l’ovvio Interesse a suscitare un sentimento, ispirare una sensazione, stuzzicare la visione di un’immagine, dunque penso abbia quasi l’obbligo di riformulare il pensiero che gli nasce spontaneo, sistemarlo in una veste che possa “arrivare” al di fuori di sé, “oggettivizzandosi”, in qualche modo. Allora, a questo punto, trovo più verace la poesia scritta a titolo di sfogo da un’adolescente, scritta da te, Luana, quando hai passato la fase di cui hai parlato o da Ariano, come racconta nel suo commento, perché lì c’è tutto il portato di un sentimento puro che nasce e rimane vostro, rimane un’esperienza personale, soggettiva, che non necessita di rielaborazione per il “pubblico”.
      Poi, è l’ambito In cui viene proposta oggi la poesia a convincermi pochissimo: come dicevo, si pretende di renderla universalmente amata tramite le citazioni o i brani ricopiati nelle vetrine dei social. Sono come vessilli, come indicatori di una sensibilità omologata e, alla fine, poco sincera, tutto il contrario di quello che il vero amore per la poesia dovrebbe suscitare. Ovviamente, mi accorgo di chi ha una cultura ampia in materia e legge poesia non per moda o per partecipare di un universo di intellettuali che, per definizione, non possono essere “ottentotti”. Però c’è anche tanta approssimazione e superficialità che non rende giustizia ai Poeti.
      Poi, resta il fatto che io non ami nemmeno quelli, ma rimane una cosa mia. :)
      Di “o capitano, mio capitano!” mi emoziona la bellezza del film che ha ispirato.

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  10. Secondo le definizioni del post io faccio parte del popolo, assolutamente passiva, non so scrivere poesie, anche se, non nego di aver fatto qualche tentativo maldestro. La poesia di Alda Merini ha mosso qualcosa anche dentro me, non la conoscevo e la trovo bellissima. Ho amato molto le poesie di Leopardi e anche alcune di Pascoli (la cavallina storna mi commuoveva sempre), ho adorate le poesie di Cesare Pavese che hanno accompagnato parte della mia vita, ma in generale amo tutte le poesie che scuotono il mio animo emozionandomi...
    P.s. La torta sembra molto buona

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    1. Giulia, non sei passiva se la poesia della Merini muove qualcosa dentro di te e la trovi bellissima. Ovvero non resti indifferente, tanto più che ami tante poesie di Pascoli, Leopardi, Pavese.
      Insomma, sei dei nostri, pur non avendone mai scritte. Scrivere poesie è una condizione rara, magari molti si improvvisano e ritengono di saperlo fare anche molto bene, ma scrivere davvero poesie è un "talento" che in giro è difficile trovare. Valgono però tutte le poesie che abbiamo messo giù, anche quelle adolescenziali. :)

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    2. Sono d’accordo con Luana: è difficilissimo scrivere poesie. Anche per me, Giulia, sarebbe un’impresa impossibile. Non ho mai provato, perché non ho mai avuto la vocazione poetica, comunque le mie conoscenze restano scolastiche e devono avere scavato poco dentro me se non mi è rimasto il desiderio di leggere libri di poesia, finito l’obbligo di studiarla per prendere buoni voti. 😉

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  11. Innanzi tutto ho trovato il post meraviglioso e mi spiace davvero non avere il tempo di leggere anche tutti i 41 commenti che si è meritato.
    Con i ragazzi settimana scorsa abbiamo visto un'intervista a Montale in cui lui diceva che "il poeta è quello che prende la palla al balzo" trova le parole giuste per descrivere un particolare momento o uno stato d'animo. Credo che la magia sia tutta lì, avere un particolare stato d'animo e trovarlo descritto in una poesia, con parole che mai a noi sarebbero venute in mente.
    A proposito, i miei alunni dopo aver lavorato su "meriggiare pallido e assorto" mi hanno scritto che adesso quando escono in giardino (qui in campagna quasi tutti lo abbiamo) hanno il terrore delle formiche e di eventuali serpenti... Insomma, gli effetti della poesia a volte sono inaspettati e neppure così piacevoli!

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    1. Bella la tua risposta, che mi vede affine a te come docente. Montale spiega la poesia in modo semplice, cogliere l'occasione di fermare un attimo (ah quell'antico carpe diem oraziano non era pure un mirabile esempio di poesia?). Di questo autore mi piace quel modo tutto originale di descrivere le sensazioni e i ricordi lasciati in lui da scenari vissuti nell'infanzia, quei muretti a secco bruciati dal sole in cui guizza la lucertola... Gli alunni che sanno capire - e tu sei un'ottima insegnante - si lasciano suggestionare, mostrano di essere stati anche se in maniera semplice "attraversati" da quella determinata poesia, e questo è veramente bello. Poi avranno modo e tempo di assimilare, entrare a fondo, capire, analizzare. Ma questi assaggi di poesia alle medie sono davvero stimolanti, ti comprendo perfettamente.

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    2. I buoni insegnanti fanno in modo che la poesia lasci un segno, fosse anche il timore di incontrare formiche e lucertole in giardino. I miei figli, entrambi, amano molto la poesia (non hanno preso da me, questo è certo, ma c’era mio nonno che ne scriveva tante) e, al liceo, hanno professori che sanno fornire loro delle ottime chiavi di lettura. L’amore per la poesia non dipenderà solo da questo (altrimenti dovrei dire di avere avuto insegnanti scarsi al liceo e non è così), ma credo che la scuola sia un valido punto di partenza per svilupparne l’interesse, sia attivo sia passivo.

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  12. Il mio rapporto con la poesia è quasi un non-rapporto, ma le volte in cui una poesia mi colpisce lo fa con una forza tale da farmi pensare che la poesia sia un palmo sopra la prosa. Naturalmente non sempre è così, e io riesco a "collegarmi" molto di rado, però qualcosa di grande c'è, lo sento.

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    1. La poesia è un palmo sopra la prosa, come il tuo non-rapporto è un palmo sopra il mio. Il “sentire” qualcosa di grande ti porta già avanti rispetto al mio non riuscire a collegarmi e basta.

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    2. Mi piace la definizione che ne dai, Grazia. È un po' lo stato di tanti. La poesia non fa prepotentemente parte delle nostre vite, anzi, ma quelle volte che ci "incontra" e risponde alla nostra sensibilità, accade qualcosa che ce la fa percepire come "un palmo sopra la prosa".
      La definizione è molto bella, io aggiungo di non percepire la poesia "un palmo sopra" la prosa, diciamo che le è accanto, quando la prosa riesce ad essere altrettanto potente.

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  13. Dunque, visto che cuore e mente mi obbligano ad abbracciare Marina, perché è dall'armonizzazione degli opposti che nasce una nuova visione dell'oggetto in questione, mi pongo la domanda: e se la poesia conquistasse Marina attraverso il gioco? Via, al macero le antologie scolastiche e chiudiamo a chiave Ada Negri e la Cavalli. Basta! La poesia è un gioco, deve divertire, deve stimolare, eccitare, deve ammiccare, sedurci senza che ce ne accorgiamo. Solo così Marina si spoglia delle sue pesanti riserve, solo così, interessandola al gioco, Marina si inventa la sua Poesia. Ascolta:

    1.
    "Sebbene persuasa di silenzio sia l'ora
    sebbene persa all'uso l'amorosa parola
    sebbene rotto il canto sulla terra ricada
    sebbene un cane roda l'incantevole fiore
    e sebbene la rima rischi il pianto
    e sola sia la voce, calicanto."

    Ecco, questa è l'anafora: una figura retorica che vive di ripetizioni a inizio verso.
    E sai che fa Dante Alighieri quando insiste ripetutamente sul colore di una immagine?

    2.
    "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
    esta selva selvaggia e aspra e forte
    che nel pensier rinnova la paura!

    usa l'allitterazione, cioè un legame di suono (fonetico) e di senso (semantico) tra le parole [Quanto -Qual - Cosa =stesso suono"k"; eSta Selva Selvaggia e aSpra = variazioni fonetiche di "s"]. Ti ricordi? Chiodo scaccia chiodo; Chi fa falla, e chi non fa sfarfalla; Corvi con corvi non si cavano gli occhi= Stesso procedimento allitterativo. E senti qui che fa Tito Scaloja, divertendosi con l’allitterazione:

    “Sui baobab fuori Bombey
    sbava al vento e assai si bea
    il bel boa che fa il nabab.

    Sopra Volterra -per poco muoio –
    vidi una volta un avvoltoio
    che volteggiava con un rasoio

    «Buona zera!» mi dice la zanzara
    strofinando le zampe allo zerbino,
    «ho tanta zete!» e, zaffete! mi azzanna
    come zitella che scocchi un bacino.

    3. Tu sai che noi percepiamo la realtà attraverso i sensi e sai anche che ogni nostro senso coglie qualità specifiche; ma noi non siamo divisi in cinque! Il nostro corpo intero partecipa alle sensazioni che poi il pensiero unifica in una immagine: Ecco, questa è la sinestesia. Che è un suono (udito) vellutato (tatto) dolce (gusto) e trasparente (vista) e profumato (olfatto):

    Ulivi sul mare

    Per gli ulivi del mare,
    foglia a foglia
    di grigio-verde-argento,
    questa sfoglia
    di terra rossa, il freddo arrugginito
    delle case che chiudono, ed il vento
    il vento senza requie, l’infinito
    viluppo di un’alga in un odore spento
    di cenere, di fumo, d’acqua marcia.
    S’appressano i rumori della caccia.

    [Alfonso Gatto, Rime di viaggio per la terra dipinta, 1969]

    Marina, tu la poesia non la devi capire, ma ti ci devi abbandonare, ti deve toccare, deve essere musica che ti accarezza. Poi verrà il tempo della comprensione. Per ora, è solo suggestione, solletico, un gioco di parole che ti stuzzica l’orecchio. Per “capire” oggi la poesia, credimi, ti devi leggere ad alta voce il componimento fondante della Letteratura italiana: Il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi, 1226 (dove anafora, allitterazione e sinestesia germogliano “divinamente”).

    4
    Altissimu, onnipotente, bon Signore,
    tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
    Ad te solo, Altissimo, se konfano,
    et nullu homo ène dignu te mentovare.
    Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
    spetialmente messor lo frate sole,
    lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

    […]
    Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
    la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
    Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
    per lo quale ennallumini la nocte:
    ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
    Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
    la quale ne sustenta et governa,
    et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

    […]
    Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
    e serviateli cum grande humilitate.

    E adesso so, cara Marina, che la parola poetica pian pianino, a poco a poco, si sta facendo miele sopra la tua bella “lingua”.

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    1. Caro maestro, questa lezione svela in effetti quello che non avevamo ancora neanche sfiorato.
      Sì, la poesia è anche divertimento, nel senso migliore della parola, quel "divertere" latino che significa "volgersi altrove" e, perché no, trovarvi quel senso delle cose ignoto alla realtà "spiegata".

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    2. Che bella, Renato, questa conclusione! Mi sono quasi immedesimata nel tuo entusiasmo e ho trovato “poetico” il tuo slancio, giuro, perché ho percepito il tentativo sincero di coinvolgermi in giochi di parole ben riusciti che sanno anche divertire, è vero. Per cui ti ringrazio: so che non è nel significato di un componimento che devo rintracciare una possibile emozione, ma nel semplice piacere di aprire le orecchie all’ascolto e, qualche volta, di lasciarmi andare al puro sollazzo. :)

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  14. Entro in punta di piedi... rimarrei ore ad ascoltarvi. Siete appassionanti.
    Ho letto più volte la vostra conversazione prima di osare rispondere. Mi sento così piccola accanto a voi.
    Amo la poesia ("Tutte le poesie" di Emily Dickinson e "Paroles" di Jacques Prévert sono i miei "livres de chevet"). Ho avuto un'insegnante di Lettere straordinaria al liceo, con lei ho scoperto Rimbaud, Apollinaire, Baudelaire e non solo ho imparato a memoria "Le dormeur du val", "Le Pont Mirabeau" e "L'albatros". Ho soprattutto imparato ad analizzare, "sbucciare" ogni verso per arrivare a comprenderne l'essenza, per cercare di capire lo stato d'animo dell'autore. Certi erano più o meno depressi quanto me e cercare di superare il mio mal de vivre in tal compagnia non era certo un'idea geniale... Però il mio amore per la poesia è nato proprio in quel periodo. Non saprei spiegare perché mi tocca nel profondo, ma ho un bisogno viscerale di leggere poesie, magari perché mi aiuta a (ri)collegarmi con me stessa in momenti in cui sono in preda alla tristezza.
    Purtroppo conosco troppo poco la poesia italiana (e non ne vado fiera, credetemi), mi farebbe molto piacere avere qualche consiglio.
    Vi abbraccio.
    Posso aggiungere qualcosa ? Non tentatemi mai più con nessuna ricetta di nessun tipo, vi supplico !!! La settimana scorsa ho fatto la torta al cioccolato di Marina ed è piaciuta così tanto ai miei figli che me l'hanno richiesta per tre giorni di seguito !!! Per loro va bene, per carità, ma per una come me che non si è mossa per due mesi e mezzo, assolutamente no. Vi ringrazio anticipatamente :-D

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    1. Quale deliziosa risposta, signora!
      Mi affascina leggere di come sia stata una studentessa francese, quanto la scuola dei nostri cugini francesi assomigli alla nostra. Vedo che le è successo quello che avviene un po' ovunque: una buona insegnante le ha fatto scoprire e amare la poesia. Ciò è bellissimo. Tanto più che cita alcuni poeti simbolisti che anch'io ho amato molto, nonostante li abbia conosciuti attraverso le traduzioni.
      Negli anni universitari, affrontai un esame di Francese con una professoressa di Lione, molto brava, esperta di Flaubert. Fu un corso bellissimo, con un particolare riguardo verso il capolavoro Madame Bovary. Ne ho un ricordo bellissimo malgrado tutta la fatica che ci volle per superarlo con un 30 e in lingua originale. Ricordo di essermi inceppata sulla traduzione di "cerf volant" (si scrive così?), e lei che mi risponde amabilmente "si tratta di un aquilone". Ah, che splendida professoressa.
      Mentre preparavo l'esame, volli approfondire lo studio della pronuncia ricorrendo anche alla poesia simbolista e fu lì che potei incontrare idealmente il magnifico suono di Baudelaire, che avevo dimenticato di avere studiato al ginnasio. Il ritmo e il suono delle poesie francesi in lingua originale è semplicemente meraviglioso.
      Cosa posso consigliarle fra i poeti italiani? Montale. La prego, lo scopra. Potrei dirle anche Pasolini, ma direi intanto di non perdersi i classici Leopardi e D'Annunzio, il migliore Quasimodo, l'imperdibile Ungaretti delle poesie di trincea, e ancora più indietro il Dante dei sonetti della Vita Nova oltre che naturalmente della Commedia. Se vuole leggere in vernacolo, allora non perda Trilussa, che piacerebbe molto anche a Elisa. Sono esempi che seguono una linea classica, ma vedrà che imparerà ad amare anche la poesia italiana.

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    2. Che bella l’espressione “sbucciare ogni verso”, dà proprio il senso della pregnanza che ha per te la poesia. Ogni tanto invidio le persone che ne parlano con trasporto, vorrei viverlo anch’io!
      Grazie per avere apprezzato e partecipato a questa nostra discussione... e anche per avere provato la mia ricetta: sono molto contenta che la torta sia piaciuta. È facilissima, visto? Ormai, in casa mia, è un must: su un ripiano della cucina ce n’è sempre una pronta. Perdonami solo se non posso soddisfare il tuo desiderio di non tentarti più: per la prossima ricetta ti toccherà iscriverti in palestra, magari saranno già aperte! 😂
      Un abbraccio.

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  15. Bellissimo post davvero, una grande idea quella della conversazione a due su un tema impegnativo come quello della poesia. Premesso che ho letto soltanto in parte gli altri commenti, per lo stesso motivo di Antonella, con la poesia ho un rapporto reverenziale: la considero il genere in assoluto più difficile da praticare senza scadere nella banalità. In passato ho attraversato un periodo della mia vita molto particolare, in cui scrivevo poesie: diciamo che su cento, ne salverei una o due a voler essere generosi. Le considero di un'insulsaggine imbarazzante, ma mi hanno fatto bene, come mi ha fatto bene corredarle di dipinti in acrilico. Magari un giorno ne pubblico qualcuna sul blog, così faccio scappare i miei pochi lettori a gambe levate! :D
    Detto questo, concordo sul fatto che la poesia in genere non vada spiegata proprio perché si nutre di immagini, quasi di folgorazioni, oltre che di un suo ritmo interiore. Se la spieghi, si dissolve come neve al sole. Diverso è il caso delle poesie ottocentesche, quelle che ti fanno studiare a scuola, magari a memoria, e che finisci per odiare con tutte le tue forze. Nella mia lista nera, per esempio, primeggiano certe poesie di Carducci. Forse è anche per questo motivo che la poesia ha una cattiva fama.

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    1. Anche tu dunque hai trascorso un periodo di tua vita in cui hai composto le tue poesie! Non siamo in pochi. Mi piacerebbe leggerne qualcuna, pubblicale una volta o l'altra, dai.
      Anch'io non ho amato per nulla Carducci, non mi è "arrivato", ecco. Per il resto, condivido in pieno il tuo sentire riguardo a questo genere.

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