giovedì 27 febbraio 2020

L'explicit: come si chiude a effetto un romanzo?

Avevo intenzione di scrivere qualcosa su questo argomento quando ho concluso il secondo dei due post sull'incipit, che trovate qui e qui
Se uno dei grandi rompicapo dello scrittore è come iniziare un romanzo, difficile è anche chiuderlo ad arte.
Apparentemente parrebbe che aprire sia più impegnativo che chiudere, eppure un cattivo finale rovinerebbe tutto il romanzo, a volte rovina un buon romanzo. 

In una delle sue belle Lezioni americane, l'ultima, Italo Calvino affronta, confrontando i due estremi di una narrazione, l'importanza di una chiusura a effetto, in maniera direttamente proporzionale all'importanza delle prime righe. 
Nel romanzo classico il finale è un compimento, il completamento di un percorso, l'approdo, la conquista di un premio. La narrazione classica è in tal senso circolare, con un inizio, uno svolgimento problematico, poi un finale risolutivo. Ma il cosiddetto "finale chiuso" è il solo finale possibile?

I mirabili finali di Gustave Flaubert, ossia il "finale circolare".
Ci sono narrazioni più complesse, a più livelli, dove il finale come compimento è disseminato fra le pagine, mentre il finale vero e proprio riporta il lettore al punto iniziale. 
Un esempio può essere il finale dell'Educazione sentimentale di Flaubert. Il protagonista guarda a un ricordo remoto, esprimendo il proprio pensiero nostalgico a favore di un passato intriso di una compiutezza che egli non seppe riconoscere, mentre il presente resta irrisolto, amaro. 
Ricordo di aver studiato in lingua originale il romanzo nel mio esame di Francese all'università. La scrittura di Flaubert era complessa, lineare nello stile ma anche stratificata. 
Vorrei rileggere Madame Bovary a distanza di molto tempo, oggi probabilmente apparirebbe più interessante. Ecco, ricordo che anche in quel romanzo, il finale presenta un compimento a due livelli (merito delle spiegazioni della prof madrelingua di Lione se lo ricordo ancora, perché fece un gesto con le mani, una "bilancia"): mentre Emma precipita nell'abisso, il farmacista Homais invece risale una china fino a diventare un personaggio non più sullo sfondo. Il grande finale presenta questo brutale confronto indiretto fra i due personaggi, mettendo in scena il trionfo del saccente Homais a fronte della sconfitta del romanticismo presente in Emma. 

Il finale nella letteratura contemporanea. 
Spostiamoci dal romanzo classico a quello contemporaneo. 
Se prendo un romanzo di Murakami, Norwegian Wood, assisto a una sospensione, quasi a un "non finito".
- Dove sei adesso? - chiese con voce calma.
Già, dove ero adesso?
Con il ricevitore in mano alzai lo sguardo e mi guardai intorno dietro i vetri della cabina. Dove ero adesso? Non sapevo dove fosse quel posto. Non ne avevo la più pallida idea. Dove diavolo mi trovavo? Quello che vedevo attorno a me era solo una folla di gente che mi passava accanto diretta chissà dove. Da quel luogo che non era da nessuna parte rimasi in linea con Midori. 
Stessa sensazione dinanzi al finale di Le braci, di Sàndor Márai:
La balia si solleva sulla punta dei piedi e alza la mano minuta, con la pelle giallastra e rugosa, per tracciare un segno di croce sulla fronte del vecchio. Si danno un bacio, uno strano bacio rapido e un po' goffo: se qualcuno li vedesse non potrebbe fare a meno di sorridere. Ma come tutti i baci umani anche questo, alla sua maniera tenera e grottesca, è una risposta a una domanda che non è possibile affidare alle parole. 
La classe di Umberto Eco nel finale di La misteriosa fiamma della regina Loana:
Ma un leggero fumifugium color topo si sta diffondendo al sommo della scalinata, velando l'entrata.  
Sento una folata di freddo, alzo gli occhi. 
Perché il sole si sta facendo nero? 
La poetica compiutezza del finale di Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar
Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti... 
Mia Wasikowska in Madame Bovary (2014)

E quindi?
Poche citazioni, nelle quali si possono notare alcuni leit motiv del finale di una narrazione oggi. 
Se il finale deve presentare la summa di tutte le domande che il lettore si pone nel percorrere la storia, esso non può essere una chiusa banale o scontata. L'inevitabile finale non può deludere, deve anzi mantenere la promessa, per così dire.  
Oltre ai già citati "finale chiuso" e "finale circolare", possiamo citarne altri due:
  • Come in medias res si può cominciare, allo stesso modo può essere costruito un finale, per esempio. Questo tipo di finale non è solo "sospeso" ma lascia nel lettore la sensazione che la storia letta sia la parte di un tutto, un segmento, la frazione di una narrazione più ampia. 
  • Infine, il cosiddetto "finale aperto", diffusissimo in tanti romanzi di genere, che porta il lettore a una conclusione in cui si intravede la possibilità di un seguito. 

Possedere la tecnica giusta per dare al lettore qualcosa che non lo deluda in tutti questi casi presuppone una pianificazione, anche se non ci piace immaginare già il finale. O forse sì? 
Molti scrittori preferiscono costruire storie che prendono forma durante il percorso, finale compreso. Impossibile però, e forse dannoso, non vedere in linea di massima l'orizzonte che chiude la storia. 
Dobbiamo lasciare nel nostro lettore la sensazione di un inizio, uno svolgimento e una fine, offrirgli la risposta a un ipotetico interrogativo iniziale, non tradire le sue aspettative. 
Evitare l'errore di abbandonare i personaggi minori, poi, è importante quanto occuparsi del o dei protagonisti. 
Sì, ma attenzione a non cedere alla tentazione di rendere a tutti i costi il lettore felice e contento
Lo sanno bene tutti i giganti della letteratura che non hanno offerto l'happy end finale, anzi. 
Dal romanzo di genere fino al romanzo main stream, la coerenza dovrebbe rappresentare il principio irrinunciabile, pertanto non è detto che un finale debba contenere la risoluzione di tutti i problemi, la scoperta dell'oro o la conquista della felicità. Può darsi che avvenga, ma magari a caro prezzo. Oppure non avviene per nulla, semplicemente perché si accetta di abbracciare un realismo che decidiamo di non tradire neppure sul finale. 

E ora, a voi. Quali tipi di finale vi piacciono? Se siete scrittori, come costruite il vostro finale? 

35 commenti:

  1. A me piacciono i finali che abbiano una coerenza con la storia narrata. Va bene anche un finale aperto, purché lasci intendere che la vicenda ha in qualche modo cambiato il protagonista.
    Che poi è il principio che seguo anche per ciò che scrivo.

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    1. Il finale aperto, o anche sospeso, è uno dei miei preferiti.
      E non è neppure tanto semplice scriverlo, a ben pensarci.

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  2. Una cosa che detesto di molti romanzi americani è che spesso i finali sembrano troppo tirati via, in maniera eccessivamente frettolosa quando invece gli autori stessi nelle pagine precedenti avevano allungato molto il brodo.

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    1. Quando il lettore ha questa sensazione, non è piacevole. Ricordo un finale del genere in un classico di primo Novecento: "L'usanza del paese" di Edith Wharton, più nota per aver scritto "L'età dell'innocenza". Ma anche in "Emma" della Austen si assiste a qualcosa di simile. Sembra tutto un gran "fare" che va a infrangersi verso un finale insignificante.

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  3. Sono d'accordo sul fatto che il lieto fine non sia fondamentale, ma detesto il finale aperto, poiché mi sembra irrispettoso verso il lettore.
    Capisco che un autore, in caso di successo, voglia preservarsi la possibilità di scrivere il seguito numero 2, 3, 4 e 18, ma la sua bravura dovrebbe stare nel trovare modi per riaprire una storia apparentemente chiusa.
    Mi sono spiegata?
    Diversamente mi arrabbio, e per principio non acquisto il seguito.

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    1. Sì, se il finale è troppo "aperto" e la storia non ha un vero finale ma semplicemente non è conclusa, allora è un mezzo fallimento. Il mio romanzo non ancora pubblicato è ben lungo, secondo qualche suggerimento potrei scomporlo in due o tre parti ma non sarebbe rispettoso, come tu dici bene, perché in effetti ogni porzione non avrebbe in sé il valore di una storia conclusa. Devo dire che non ho avuto questa sensazione leggendo "Le regine di Gerusalemme" di Cristina Cavaliere, pur se con finale aperto, e perfino un libro che non ho apprezzato molto, "Gli anni della leggerezza", il primo di una quadrilogia piuttosto poderosa, ha in sé qualcosa di concluso pur se con finale aperto. Per non parlare della trilogia di Tolkien.

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  4. Il finale di un libro deve risultare, come dice Ariano Geta, coerente: è e difficile usare in maniera oculata e con successo un finale letto, quindi, nel dubbio, è preferibile evitarlo; se, invece, c'è un disegno negativo solito, talvolta se ne sente proprio la necessità. Mi incuriosiscono particolarmente i finali che, pur essendo circolari, non concludono: sarà un'eredità dell'epica, con quella storia di Odisseo che impiega vent'anni a concludersi e alla fine fa intuire che l'eroe dovrà affrontare molti problemi? Anche la storia di Mattia Pascal, come di molti altri personaggi pirandelliani, rientra in questo schema: fin dall'inizio ci si prospetta un finale, ma è il percorso attraverso il quale ci si arriva che ci fa davvero capire in cosa quella fine consista. Sempre per citare Calvino, questo concetto è mirabilmente rappresentato dalle peripezie letterarie del romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore: "Quale storia laggiù attende la fine?".

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    1. Calvino in effetti cita se stesso nell'ultima delle sue Lezioni americane, a proposito di questo "gioco letterario" dei tanti incipit del romanzo, che è tra quelli che non ho finito di leggere, ci ho dedicato un post qualche anno fa. Prima o poi dovrò riprenderlo in mano.
      Dalla mia esperienza di lettrice, che riecheggia nella tua formazione classica assai simile alla mia, anch'io prediligo questi finali complessi, non del tutto lineari, in armonia con la ciclicità della narrazione. La curiosità di capire come autori alla stregua di Flaubert, Omero, Pirandello, abbiano saputo costruire dei mirabili finali dietro i quali non c'è casualità alcuna, ma studio, e talento, è stuzzicante.

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  5. Ciao Luz, bel post! Mi piacciono i finali classici, chiusi e compiuti. Apprezzo quelli sospesi, in cui resti basita e sconcertata. Detesto quelli aperti. Sono a mio avviso troppo scontati e con intento spiccatamente commerciali. Insomma, non mi piace avere l'impressione di essere giunta alla fine solo per assistere al lancio del prossimo romanzo dell'autore. Un pò di sorpresa, per favore...

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    1. Come scrivevo più sopra, anche a me non piacciono, ma se mi trovo dinanzi qualcosa di ben scritto, che abbia in sé un compimento, perché no?
      Grazie per aver apprezzato, Elena. :)

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  6. Il finale deve essere "giusto" coerente con quanto narrato. Mi ricordo che mi sono arrabbiata moltissimo per il finale di "Terror" di Dan Simmons – SPOILER – dopo un libro tesissimo, cupissimo, storicamente accurato, un finale che vira al paranormale e sopratutto consolante. Ma come? Centinaia di pagine di "moriremo tutti mangiandoci a vicenda tra i ghiacchi" e poi la famigliola eschimese felice? – FINE SPOILER –
    I miei finali... Beh, spero che siano sempre finali necessari. Spesso è la prima cosa che mi viene in mente. O, comunque, non inizio a scrivere se non ho la fine ben chiara in mente.

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    1. Avere la fine bene chiara in mente è necessario. Si può anche modificare il proprio percorso, ma mai rinunciare a una certa coerenza. Nei tanti libri che ho letto in vita mia, anche minori, credo di essermi imbattuta molte volte in un finale come quello che descrivi. Lì si verifica un vero e proprio tradimento del lettore. Malissimo.

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  7. il finale della Coscienza di Zeno, è il primo che mi è venuto alla memoria. "Ci sarà un'esplosione enorme..."
    In musica, ci sono finali molto usati ("ribattere sulla tonica", mi pare che sia l'espressione giusta), però ci sono anche quelli che sfumano e vanno a finire in niente; è bellissimo il finale della Sinfonia "gli addii" in cui uno alla volta i suonatori si alzano e se ne vanno (conosci la storia di questa sinfonia? è divertente). Da ex loggionista alla Scala ricordo con emozione un finale d'atto dell'Idomeneo (tutti fuggono all'arrivo del mostro marino, e si fa il silenzio) e il finale atto primo del Macbeth di Verdi, ma bisognava essere lì quando arrivava l'onda sonora...
    Io penso di aver scritto un bel finale d'atto (non in musica) ma tanti anni fa, e lo hanno letto meno di dieci persone.

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    1. Quel finale di Svevo lo cita Calvino nelle sue Lezioni, è stupefacente.
      Credo sia necessario recuperare alcuni classici, rileggerli con spirito diverso, perché poi ti accorgi che contengono molti elementi di ciò che un lettore esigente cerca.
      Ancora una volta è bellissimo leggere il tuo parallelo con la musica. Non sono esperta in materia, me ne intendo poco, mi piacerebbe un tuo post in merito.
      Magari ci pensiamo su come guest post da queste parti. :)

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  8. La sinfonia degli addii è di Haydn, mi sono dimenticato di scrivere la parte più importante...

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    1. Se è stata costruita in modo tale che ogni elemento dell'orchestra si ritira, se ha questo quid teatrale, allora non si può perdere.

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    2. la storia è più o meno questa: le serate di casa Esterhazy, a Vienna, duravano fino a notte inoltrata e i musicisti avevano difficoltà nel tornare a casa (ne avrebbero anche oggi). Così Haydn scrisse per loro questa sinfonia, che è di ascolto piacevolissimo, per consentire loro di tornare a casa senza dar troppo nell'occhio. (Al tempo di Haydn i musicisti erano dei servitori, Haydn compreso; non sarà più così già con Mozart, suo contemporaneo)

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  9. Dirò una cosa banale, ma le storie per me “devono” finire. Non mi piacciono e anzi mi innervosiscono quelle che ti fanno correre verso l’ultima pagina per sapere cosa accade e poi ti lasciano lì a immaginartelo da solo. I finali aperti, dunque, non mi piacciono con una differenza: tollero quelli che lasciano al lettore delle possibilità e allora sei tu che, in base a come hai vissuto la storia, ti dai delle risposte, ma i romanzi che mettono il punto in un momento qualsiasi della storia, interrompendo la narrazione per lasciare al lettore il vuoto totale sul dopo no, questo è il tipo di finale da cui mi sento proprio ingannata.
    Poi, il finale di un romanzo deve concludere la storia, dunque può essere bello, ma ordinario, lasciare una sensazione di compiutezza (Madame Bovary, che hai citato, l’ho riletto due anni fa e ha un finale perfetto, come molti altri classici); il finale di un racconto, invece, secondo me dev’essere d’effetto: hai aperto un occhio su una vicenda, la sua brevità non ti consente di adagiarti sulla storia, dunque anche il finale deve farti uscire con quella sensazione di avere vissuto un momento intenso, unico, ma immediato.

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    1. Per costruire un finale aperto è necessaria certa maestria scrittoria, quindi concordo con te, se è impostato male, infastidisce. Direi di non essermi mai trovata dinanzi a un finale aperto mal gestito, probabilmente perché prediligo la letteratura accreditata. :)
      Sul racconto, per altro genere prediletto da Calvino, il discorso si fa più ravvicinato. Impossibile scrivere un cattivo finale e salvare ugualmente il racconto, perché la brevità esige perfezione senza cadute. Lì c'è da lavorare proprio di cesello, cosa che tu sai fare.

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  10. Trovo che sia difficile scrivere il finale in molti casi perché non è facile trovare un bilanciamento tra la sopresa per il lettore e l'inverosimilità. Tanti finali mi sembrano arzigogolati, eccessivi, inverosimili e vedo che questo avviene perché c'è la necessità di stupire il lettore.

    I finali aperti mi piacciono se sono di stimolo a una riflessione e se sono posti al termine di una storia che ha avuto un'evoluzione di qualche tipo. Ma se c'è non stata evoluzione, non è colpa del finale.

    A parte ciò credo che il finale aperto non sia facile da fare, un senso lo deve comunque avere, altrimenti mi sembrano quelle canzone che finiscono con un fade: mi sembra quasi che gli autori non sappiano come farle finire altrimenti!

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    1. Tu che ti occupi di cinema, mi hai fatto tornare in mente il gran finale, celebre, di Via col vento, e di conseguenza il finale del romanzo da cui è tratto.
      Un esempio lampante di finale aperto con una logica ineludibile. Rhett se ne va, ma non sta lì il nucleo del finale, sta invece nella fiducia in sé che dimostra Rossella. Ripetutamente cerca di scacciare il pensiero di averlo perduto per sempre, ricorrendo al suo mantra "ci penserò domani", ma il pensiero è troppo doloroso, allora ricorre al solo pensiero che le è di conforto: il ritorno a casa. Ecco, un finale splendidamente aperto, inevitabile. La storia di Rossella finisce di fatto lì, come ho scritto in un post apposito il seguito non ha senso alcuno, ma è allo stesso tempo aperta su quella storia che non leggeremo mai.

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  11. Parto dai finali che non sopporto: quelli criptici, che non si capisce che è successo. Ma anche quelli aperti, che lasciano troppo all'immaginazione. E poi quelli con un non-finale, ovvero senza una vera conclusione. Peggio ancora la totale prevedibilità. O il finale monco, che giri pagina e pensi: non è che si sono scordati di stampare il resto?
    Tutto questo per dire che un buon finale, che ti lasci davvero soddisfatto, è difficilissimo da scrivere e raro da trovare. Direi che l'importante è coerenza con la storia, chiarezza e una buona musicalità nelle frasi finali.
    Da parte mia, cerco sempre di finire in modo chiaro. Nell'ultimo romanzo ho optato per un colpo di scena finale, nell'ultimissimo ho chiuso con una piccola rivelazione coerente con l'inizio. In generale devo dire che arrivo alle ultime battute con una certa facilità, perché sono lanciata verso la fine. Ciò non toglie però che l'explicit è impegnativo tanto quanto l'incipit.

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    1. Dei tipi di finali che citi, io non sopporto quello prevedibile. Quello scontato, perfettino, "corretto" e per questo per nulla piacevole. E direi che se proprio è inevitabile un finale prevedibile, lo scrittore dovrebbe essere maestro nello scriverlo, ecco.
      I tuoi finali erano perfettamente coerenti con la narrazione, traspare sempre la cura che ci metti.

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  12. Amo i finali che chiudono, quelli che sembra dicano: l'autore aveva le idee chiare, ha scritto la storia, dalla sua evoluzione alla sua chiusura. Detesto i finali aperti, quelli che invece al contrario mi lasciano in balia della mia immaginazione. È la stessa cosa per i film, io non sono lì per dare spazio a me stessa, ma per cibarmi di un'opera altrui che altrimenti mi sembra incompleta.

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    1. Ti capisco. Devo dire che invece io soffro un po', ma dipende, per i finali aperti dei film. C'è come una malinconia che mi coglie, non so. Penso ad esempio al finale di Interstellar. Tutto quello struggimento nella storia, poi quel qualcosa che lascia un po' un sapore amaro.

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  13. Non saprei scrivere una storia della portata di un romanzo senza sapere verso quale finale sto andando. Non è detto che alla fine la mia idea sia rispettata al 100%, anzi, di solito lo è al 70%, e forse; ma andare alla cieca proprio non saprei. Se invece parliamo di finali nel senso di ultime righe, quelle sono difficilissime per un autore.

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    1. In questo l'explicit ha un livello di difficoltà pari all'incipit.

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  14. Post dedicati agli incipit ce ne ho visto parecchi, ma stranamente quelli che parlano di explicit molto raramente. Il tuo l'ho trovato molto completo e una buona riflessione.
    C'è anche il finale col colpo di scena, molto frequente nella letteratura di genere, più utilizzato nel racconto, ma a volte anche nei romanzi.

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    1. Felice che il post ti sia piaciuto, Marco, so che sei un lettore molto esigente. :)
      Il finale "colpo di scena" che mi viene in mente, e che in effetti andrebbe citato, è lo struggente explicit de L'eleganza del riccio. Del tutto spiazzante.

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  15. "E poi continuammo a occuparci beati di quella parte piccola, ma perfetta, della nostra eternità."
    "And then we continued blissfully into this small but perfect piece of our forever."
    E al cinema hanno preso proprio l'ultima pagina del libro e hanno sfumato sulla parola "forever", con sottofondo la voce di Christina Perri in "A Thousand Years".
    Dopotutto, era l'unica maniera di chiudere la saga di Twilight. E vissero felici e contenti, davvero per sempre.
    Al momento, con tanti libri belli letti, questo resta il mio finale preferito. Sono curiosa di vedere come chiudere Diana Gabaldon la sua saga di Outlander, ha detto che sarà il decimo libro, sta per uscire quest'anno il nono (la serie tv è al quinto). PAre che tutto ruoti intorno al fantasma dello scozzese che spia Claire nel 1945 fuori dalla locanda... ;)

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    1. Bello quel finale. Sai che non ho mai visto questa saga? Decine di mie alunne anni fa erano letteralmente innamorate del protagonista, ma anche di tutta la storia. Diventavano divoratrici di libri. Il brano, che ho appena ascoltato, è perfetto per quel gran finale.
      Ecco, anch'io sono curiosa di sapere come zia Diana chiuderà la sua saga. Quando vidi la scena dello scozzese sotto la finestra di Claire nella prima serie, pensai si trattasse comunque di Jamie, e non cambio idea. Secondo me è lui, e sospetto un finale sospeso fra il tragico e il lieto fine, magari un finale che li contenga entrambi, chissà.

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    2. Che sia lui quel fantasma non sembra esserci dubbio. Ma giusto perché ho Tamburi d'autunno qui davanti aperto, c'è un passo particolare, che secondo me zia Diana ci vuol mettere sulla buona strada.

      «Ma non capisci che piccola cosa è la morte tra noi due, Claire?» bisbigliò.
      Strinsi le mani a pugno contro il suo petto. No, a me non sembrava affatto una piccola cosa.
      «Per tutto il tempo dopo che mi lasciasti, in seguito a Culloden: io ero morto, allora, no?».
      «Credevo che tu lo fossi. È per questo che... oh». Tirai un profondo, tremulo respiro, e lui annuì.
      «Tra duecento anni io sarò sicuramente morto, Sassenach», mi fece notare con un sorriso obliquo. «Che si tratti di indiani, di bestie feroci, di un epidemia, della corda del boia o solo della benedizione della vecchiaia, io sarò morto».
      «Sì».
      «E mentre tu eri là - nella tua epoca - io ero morto, no?».
      Annuii, senza parole. Persino adesso potevo guardarmi indietro e vedere l'abisso di disperazione in cui mi aveva gettato quell'addio, un abisso dal quale pian piano, un centimetro alla volta, ero riuscita a rimontare. Ora che ero di nuovo salita con lui all'apice dell'esistenza, non potevo nemmeno prendere in considerazione la discesa.
      Allungò la mano e staccò uno stelo d'erba, per poi allargarselo tenero e verde tra le dita.
      «'L'uomo è come l'erba del campo'», citò sottovoce, sfiorandomi con l'esile stelo le nocche appoggiate sul suo petto. «'Oggi è in fiore; domani appassirà e verrà gettata nel forno'».
      Si portò il serico filo d'erba alle labbra e lo baciò, poi me lo passò delicatamente sulla bocca.
      «Ero morto, mia Sassenach... eppure per tutto quel tempo ti amavo».
      Chiusi gli occhi al solletico dell erba sulle mie labbra, leggero come il tocco di sole e aria.
      «Anch'io ti amavo», sussurrai. «Ti amerò sempre».
      Il filo d'erba cadde a terra. Con gli occhi ancora chiusi, lo sentii sporgersi verso di me e appoggiare la sua bocca sulla mia, calda come il sole, lieve come l'aria.
      «Finché il mio corpo e il tuo vivranno, saremo un'unica carne», bisbigliò.
      Le sue dita mi toccarono, capelli e mento e collo e seno, e io respirai il suo respiro e lo sentii solido sotto la mia mano. Poi gli posai la testa sulla spalla, la sua forza il mio sostegno, le parole profonde e sommesse nel suo petto.
      «E quando il mio corpo cesserà di esistere la mia anima sarà ancora tua. Claire... giuro sulla mia speranza del paradiso che non mi separerò da te».

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    3. Così però lascia presagire che ci sarà un momento in cui lei tornerà in via definitiva nella propria epoca, mentre lui la inseguirà nel Tempo. Uhm... vedremo.

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  16. Il the end non mi piace, io amo che continuano per anni e anni.

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