sabato 25 novembre 2017

Là dove tutto è cominciato.

Qualche pomeriggio fa ho ricevuto una telefonata dalla mia vecchia scuola. Da quella segreteria è partita una cosa molto incresciosa che si chiama "ricostruzione della carriera". Praticamente ti chiedono di fornire tutto quello che riguarda il tuo lavoro a scuola, dal primo giorno in cui hai messo piede in un'aula. 
Burocrazia pura, lunga e tortuosa la strada che porta al termine di un percorso e al momento in cui dal Ministero arriva l'imprimatur perché si possa procedere con la messa in regola della tua "posizione". 
Fra i documenti che mi hanno richiesto c'è anche la Relazione finale dell'anno di prova, una dispensa che scrissi quasi dieci anni fa, al termine dell'anno scolastico in cui sei "in prova", appunto, ma già all'interno di un'assunzione a tempo indeterminato. Nell'ufficio è andata smarrita, un classico di tante segreterie scolastiche, e mi sono precipitata al vecchio pc per recuperare il file. Dopo una ventina di minuti di batticuore, l'ho trovata. 
Che ricordi, e quanta tenerezza. Quante cose sono successe in dieci anni, quante scuole vissute, quanti ragazzi mi sono passati dinanzi agli occhi, quanti esami in commissione a giugno, quanta strada.
Leggendo la Relazione finale torno indietro, molto indietro nel tempo e nelle esperienze. 
Se vi va di leggerla, riporto qui la prima parte. Non stupisce che vi trovi spazio anche il teatro, che tanta parte occupa anche nel mio modo di essere insegnante. A questa segue una parte riguardante la didattica teatrale - che non riporto qui per ragioni di lunghezza - tematica con cui motivai questa mia Relazione sul lavoro svolto quell'anno.

Nell’estate del 1997, quando mi laureai in Lettere, non pensavo che un giorno sarei stata insegnante. Dopo gli studi classici e l’università, il percorso più “naturale” per chi ama visceralmente leggere e scrivere, il mio obiettivo era quello di dirigere una biblioteca comunale, oppure entrare in un’agenzia letteraria, in generale ero interessata a promuovere la cultura attraverso questi mestieri, escludendo l’insegnamento.
Fu questa la ragione per la quale mi iscrissi alla Scuola Vaticana di Biblioteconomia a Roma, un corso annuale che mi avrebbe permesso di conoscere i segreti della gestione bibliotecaria e soprattutto di “mettere mano” allo straordinario mondo del libro antico. Fu un’esperienza molto costruttiva, indimenticabile direi, in cui gli esami finali non appaiono neppure per ciò che sono, prove per l’ottenimento del diploma, ma proprio un’ulteriore affascinante opportunità di conoscenza. Questa parola, così “piena”, carica di significati, mi ha di fatto accompagnata in tutto il corso dei miei studi e credo non mi abbandonerà mai.
Negli stessi mesi della frequenza del corso in Vaticano, veniva pubblicato il decreto del concorso a cattedre, “il concorsone”, come venne definito. Per quanto i miei sogni fossero orientati verso le biblioteche, non potei lasciarmi sfuggire la possibilità di un’assunzione nella scuola, in tempi in cui il mondo del lavoro era diventato ormai pressochè impenetrabile. La mia partecipazione al concorso fu dunque spontanea e naturale, per quanto considerassi l’insegnamento solo una delle possibilità che mi si offrivano. Ricordo il difficile periodo della doppia preparazione, per gli esami di Biblioteconomia e per gli scritti di Lettere e Latino. Mi sembrò di essere tornata ai tempi del liceo, alle mie albe trascorse sui libri, all’ansia da prestazione così naturale in chi comunemente è scrupolosa in tutto. Esami finali in Vaticano e scritti del concorso furono come un treno che mi investì e mi lasciò spossata, ma anche soddisfatta, perché non avrei davvero potuto fare di più.
Di lì a poco la mia vita sarebbe via via cambiata. Superato il concorso e abilitata nelle Scienze bibliotecarie, cominciarono ad arrivare le prime nomine a scuola, dapprima supplenze anche brevissime, poi incarichi annuali. Nel frattempo lavoravo come volontaria nella biblioteca comunale di Ciampino, offrendo consulenze e aiutando nei compiti i ragazzi che venivano dopo la scuola.
Che dire della primissima volta in cui entrai in una classe come prof di Italiano, Storia e Geografia? Mi ricordo che si trattava di una seconda classe delle medie, per fortuna di soli 17 alunni, una delle migliori dell’Istituto in cui ero stata nominata. In quel tempo avevo solo una vaga conoscenza di cosa fosse un registro personale o un registro di classe. Avevo paura di sbagliare, e allora “studiavo” letteralmente quei documenti, comprendendo che un giorno probabilmente mi sarebbero diventati familiari. I ragazzi furono gentili, capirono subito che ero alle prime armi, e direi mi aiutarono proprio. Fin da subito ebbi con loro un approccio confidenziale, che mi avrebbe poi caratterizzata nella professione. E fin da subito capii che un discorso chiarissimo da fare agli alunni, stipulando una specie di patto, è il richiamarli con molta convinzione sul senso di responsabilità e di rispetto nei riguardi delle persone e dello studio. Sì, anche dello studio. Ancora adesso mi capita di richiamare alcuni su come sottolineino male un libro, magari con un evidenziatore… No, anche i libri esigono massimo rispetto, poiché apparentemente inanimati, in realtà “raccontano” dando voce a chi li ha scritti. Ricordo questi primi tempi come piacevoli e costruttivi, basati su rapporti ottimi con alunni, famiglie e colleghi. Sono sempre stata convinta che un clima sereno ottimizzi il lavoro e porti qualità, e sono certa che il dialogo e la disponibilità all’ascolto e all’aiuto, oltre ad una solida preparazione,  sempre aperta e in fieri, siano le carte vincenti per un insegnamento di qualità.
Veniamo al 2002. Nella biblioteca dove prestavo servizio volontario viene proposto un laboratorio molto interessante e nuovo per me. Un’associazione teatrale di Roma presenta un progetto dal nome invitante: “Idee per un nuovo teatro popolare”. Si tratta di un laboratorio di scrittura teatrale, drammaturgia, gratuito e aperto a tutti. Avevo seguito alcuni laboratori di formazione in quello stesso luogo, promossi da un’associazione di accademici che ogni anno venivano a insegnarci ad esempio i segreti della canzone d’autore, oppure alcuni aspetti della trasformazione della lingua italiana. Il teatro era passato di là solo mediante indimenticabili incontri con attori celebri che venivano a leggere brani di poesie, in pomeriggi in cui esperti esaminavano la poesia di Leopardi o i versi eterni di Dante. Questa volta si prospettava una partecipazione attiva, un laboratorio creativo di scrittura di una commedia teatrale. Il mio nome comparve fra i primi dell’elenco.
Non ero nuova alla scrittura di un testo di fantasia. Mi ero laureata con una tesi sulla donna fra i nativi americani, e da quella avevo tratto tutta la documentazione per scrivere un romanzo storico (una di quelle cose che tutti insistono che presenti ad un’agenzia, ma che manie di perfezionismo ti inducono a rimaneggiare all’infinito). Conoscevo il teatro per averlo a lungo “frequentato” negli anni della scuola, nulla di più. Ebbene, il laboratorio fu una straordinaria scoperta. Il nostro insegnante, un noto attore di fiction adesso, all’epoca anche un ottimo scrittore di commedie, Marco Falaguasta, ci insegnò alcuni segreti riguardanti i meccanismi della scrittura finalizzata ad una messa in scena. Gli esempi venivano tratti da commedie di Eduardo De Filippo, di Gilberto Govi, con riferimenti anche alla Commedia dell’Arte. Durante il training di scrittura, che andò da febbraio a maggio, furono prodotti due copioni: uno messo insieme dal gruppo più folto dei frequentanti il corso, l’altro da me e un’anziana signora con cui avevo legato e che aveva a suo tempo suggerito l’idea per la mia primissima commedia. Ebbene, posti al vaglio della commissione di laboratorio, insegnante di drammaturgia e collaboratori, dei due copioni il mio veniva scelto per la messa in scena con attori professionisti presso il Teatro Testaccio. Non potrò mai dimenticare la telefonata che arrivò un mattino di metà maggio, quando mi diedero la notizia.
Esiste forse un destino per ciascuno di noi. Sì, perché il 16 giugno 2002, quando si apriva il sipario sulla scena che avevo immaginato e descritto, quando gli attori pronunciarono le battute che avevo ideato, quando alla fine dello spettacolo salimmo, io e la signora, a prendere gli applausi, seppi che quello sarebbe stato un sentiero nuovo che non avrei più lasciato. Ma quante sorprese avrebbe ancora riservato.
Quando seppi di essere in grado di scrivere un copione teatrale, fu spontaneo portare questa prerogativa nella mia professione di insegnante. L’anno scolastico 2002/2003 resterà fra quelli a me più cari. Una terza di splendidi ragazzi (adesso quasi tutti universitari, che mi scrivono ancora e vengono a vedere i miei lavori teatrali) e una prima di ragazzini con i quali misi in scena la mia prima fiaba teatrale, “Il Prodigio del Millesimo lettore”, che fu un successo e di cui ancora, aggiungo immodestamente, si parla quando mi capita di incontrare i colleghi prof di quell’anno scolastico. Da allora, e in ogni scuola in cui ho avuto nomina a tempo determinato, il teatro è entrato prepotentemente nella didattica da me proposta e ha un posto direi privilegiato.
Nei miei 7 anni di precariato ho prestato servizio in numerose scuole dei Castelli Romani, la sede più lontana è stata Lariano, quella più vicina la stessa Ciampino, dove abito. L’approccio di volta in volta con realtà organizzative e sociali diverse è stato senz’altro interessante e ha contribuito all’arricchimento del mio bagaglio di conoscenze professionali e umane.



15 commenti:

  1. Vedi cosa comporta una svista, in questo caso della segreteria? Sei potuta ritornare sui tuoi primi passi e farli percorrere anche ai tuoi amici di blog:-)

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    1. Grazie per aver apprezzato. Una piccola ma significativa cosa. :)

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  2. Ma che belle notizie che dai, che bello e interessante iter il tuo!
    Ho quasi finito di leggere il mio manoscritto tenuto pervicacemente dentro un classificatore ed ho trovato la traccia (la trama dicono gli altri) di una commedia che il principale personaggio ha scritto per sua figlia, che è un'attrice non professionista. La rileggevo e mi dicevo che era un buon testo e ricordavo che quello era stato un mio escamotage per non essere stato capace di portare a termine l'idea di una commedia scritta da me per il pubblico e non per mia figlia.
    Chissà che un giorno non mi venga l'uzzolo di mandartela sta traccia.
    Intanto ho deciso di pubblicare il romanzo, perché riletto a distanza di anni l'ho trovato bastardamente buono.
    Ci penso, Luz, ma fammi sapere che fine ha fatto il "murfico", por favor.

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    1. Intanto, lasciami dire che sono contenta che tu abbia deciso di pubblicare.
      Scrivi bene, hai il bernoccolo della scrittura, nessuno lo può negar. ;)
      Mandami il copione, se vuoi, lo leggerò volentieri. Considera comunque che essendo io stessa "drammaturga", tendo a rimaneggiare e riconsiderare.
      Il murfico? Attendo di finire alcune cose che ho in programma prima di sottoporlo ai miei fanciulli del laboratorio. Sarà un regalino prenatalizio. :)

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    2. Ti mando la traccia del pezzo pensato per il teatro in privato, perché non voglio tediare più di una persona. OK?

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  3. Mamma mia quanta burocrazia in questo paese...
    Comunque, in questo caso almeno ti ha offerto la possibilità di esprimere qualcosa di creativo. La tua relazione mi sembra molto "letteraria" oltre che professionale.

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    1. Eh già, a proposito della burocrazia di cui si parlava altrove.
      Ebbi modo di raccontarmi un po', è vero, fu molto divertente per altro.

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  4. Bellissimo memoria autobiografica, calda e lontana dalle relazioni burocratiche! Grazie per questa condivisione☺

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    1. Francesco, grazie per aver lasciato un tuo commento.
      Da quanto tempo, sei ancora a Milano? Ricordo ancora che valido insegnante di Sostegno tu sia. Spero di rivederti da queste parti, e magari proprio a Grottaferrata.

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  5. Avessi dovuto scrivere io una relazione del genere ne sarebbe uscito fuori uno psicodramma anziché qualcosa di pacato come nel tuo caso. Ha una sua certa utilità avere le idee precise su quel che si vuol fare. Io ci manca poco che ho lanciato una monetina per aria, al termine delle medie inferiori, per decidere se iscrivermi al liceo scientifico o a quello artistico. Era quindi inevitabile che il mio percorso scolastico fosse di lì in poi travagliato.
    Concordo con l'impressione di Ariano... molto letteraria come relazione la tua.

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    1. Guarda, anch'io ebbi i miei tentennamenti. Dopo il liceo avevo una mezza intenzione di iscrivermi all'Accademia di belle arti, per esempio. Desistetti solo perché a Catanzaro, la sola città dove avrei potuto studiare, già solo a guardarla da fuori faceva salire uno scoramento. Il Dams, poi Lettere, prima indirizzo Arte, poi tesi di laurea in Antropologia. Io sono stata un caos totale. Amavo troppe cose e non sapevo decidermi a stabilire quale sarebbe stata la mia vita. Sull'insegnamento sono letteralmente "scivolata", ma poi ho capito che era una buona strada. :)

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  6. Che dire, un percorso impeccabile, uno di quelli che dovrebbero farti camminare fiera e a testa alta.
    E poi, quanto è bello sapere che esistono persone che vivono il piacere di realizzare un sogno: non volevi fare l’insegnante, ma hai scoperto il teatro e se la vita non “è destino” in questo caso... Credimi, pure quando ne scrivi riesco a vedere i tuoi occhi che si illuminano! 🤗

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    1. Non faccio fatica a credere che tu possa immaginare la mia espressione.
      Sono un libro aperto!
      :)

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  7. Che bel racconto... ci hai fatto seguire il tuo percorso con il cuore, oltre che con la testa. :)

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