domenica 15 ottobre 2017

Com'è fatto un copione teatrale? #2

Eccoci al secondo appuntamento con la drammaturgia. Trovate il primo qui.
Un copione teatrale è letteratura. Voglio cominciare con questa affermazione, appresa in anni di esperienze di messe in scena e di letture. Vorrei oggi poter manifestare una preparazione più ampia a riguardo, aver studiato ben di più di quell'esame di Storia dello spettacolo all'università, ma nel tempo, e da quando ho scoperto questa magnifica macchina che è il teatro, ho rimediato leggendo e sperimentando, il che ritengo non sia poco. Essere dotti a riguardo resta ben altro, comunque. 
Facciamo un confronto fra un copione classico, prendendo spunto da Shakespeare, e uno moderno, citando Eduardo De Filippo. Quali aspetti compaiono nel primo e quali nel secondo? Ossia, come scriveva un drammaturgo fra Cinquecento e Seicento? E nel Novecento?
Le pubblicazioni di copioni illustri nei secoli XVI e XVII presentavano un frontespizio "importante", con un sottotitolo altisonante che serviva a dare risalto all'opera. 
Nella prima edizione di A midsummer night's dream, per esempio, il frontespizio è un piccolo capolavoro, con tanto di sottotitolo che fa riferimento alla fedeltà del testo rispetto alla messa in scena dei servitori del Lord Ciambellano, la società di attori costituita nel 1594 di cui Shakespeare comperò una quota in quegli anni. 
Romeo e Giulietta riportava altresì un sottotitolo all'opera: The most excellent and lamentable tragedy o Romeo and Juliet. Dettagli che sui copioni moderni non esistono, e che mettono in risalto il valore letterario delle drammaturgie.
Sfogliando una buona traduzione di quest'ultima opera, troviamo l'elenco dei personaggi e una loro breve descrizione. In testa alla pagina il titolo "dramatis personae", locuzione latina che significa "personaggi del dramma", usata per le drammaturgie fino a tutto il Seicento e poi raramente in epoca moderna (per es. D'Annunzio). Tirso de Molina, nel Seicento, preferirà il termine "persone della commedia", mentre "personaggio" comparirà solo più tardi, mutuato dal francese. 
Segue un prologo, come era uso all'epoca, che origina dagli antichi prologhi corali greci, parti introduttive a scene di certa importanza o anche veri explicit del dramma. 
Cominciano gli atti. Rappresentano l'unità di tempo e di luogo. Nel teatro classico ve ne sono fino a cinque. Col tempo, la drammaturgia ha ridotto i tempi scenici ed è passata a tre atti (il melodramma, esploso nell'Ottocento, preferì fin da subito i tre atti). Oggi non è difficile trovare opere in atti unici. Io stessa scrivo drammaturgie in atti unici, senza interruzione fra un primo e un secondo tempo e pertanto senza chiusure di sipario a metà narrazione. La tempistica è agevole, lo spettacolo non supera l'ora e mezza di rappresentazione. Anni fa assistetti a un Romeo e Giulietta di tre ore e mezza, e per quanto scenografie e interpreti fossero all'altezza dell'impresa, trovai che fosse esageratamente lunga. 
Il seduttore di Siviglia, Tirso de Molina
Se esiste un teatro in atto unico significa che un racconto scenico può essere esaurito in meno di due ore e mi pare doveroso nei riguardi di un pubblico che investe in una messa in scena. 
All'interno di ciascun atto troviamo un certo numero di scene. La suddivisione in scene non solo è coerente con la scelta di dividere in segmenti un atto ma è oggettivamente funzionale alla regia. I miei copioni sono suddivisi in scene con particolare riguardo alle prove, per dirne una. Assegno ai miei interpreti un certo numero di scene a memoria dopo averne fissato i punti. E' come studiare su un libro diviso in paragrafi, aiuta a mettere a fuoco il tutto. 
Se nei secoli passati il copione teatrale non conteneva indicazioni di regia, limitandosi al riferimento ai luoghi e tutt'al più all'ora del giorno, il copione moderno prende un'altra direzione. 
Prendiamo Questi fantasmi di Eduardo De Filippo (ma tutta la sua drammaturgia è costruita così). 
Eduardo immagina nei dettagli la camera in cui si svolge l'azione, la descrive minuziosamente, dà corpo alla storia preparando non solo lo spettatore, ma perfino il lettore delle sue opere. 
Sì, l'impressione è che Eduardo abbia destinato tutto il suo repertorio anche alla lettura, e se non avete mai letto una sua drammaturgia vi consiglio di farlo, perché è un'esperienza di immersione totale. 
Non possono esserci equivoci nella messa in scena di un'opera di Eduardo, perché si è portati dentro la scena, con una suddivisione dell'opera tutta in segmenti precisi, chirurgici. Predilige i tre atti, le sue narrazioni sono complesse, meritano qualche approfondimento in apposito post. 
Il testo è disseminato di didascalie, tipico aspetto della sua drammaturgia. Perché emergano dal testo, sono scritte in corsivo. Appaiono fra parentesi come note di regia o a parte come introduzioni. Quelle all'interno del testo fanno riferimento allo stato d'animo del personaggio, sollecitano un particolare gesto, ecc. 
Il prossimo, e ultimo, post riguardante il copione teatrale entrerà all'interno della scrittura di alcuni drammaturghi, per meglio evidenziare la differenza fra narrativa e drammaturgia. 

15 commenti:

  1. Li ho letti alcuni copioni di Shakespeare in copia anastatica ai tempi dell'università. Molto essenziali davvero.

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    1. Sì, fitti fitti di dialoghi in versi. Poemi, più che copioni.

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  2. Ho assistito a diverse rappresentazioni di Eduardo, senza però aver mai letto un suo copione, quindi non sono in grado di esprimere una mia opinione a riguardo. In compenso, ho approfondito di più Shakespeare. Leggendo il tuo post mi sembra di capire che il teatro è un universo eterogeneo e ricchissimo che porta ogni autore a utilizzare forme diverse di messa in scena dei propri spettacoli teatrali. Spero di aver capito bene e, in ogni caso, condivido al 100% questo punto di vista. Per esempio, se Eduardo cerca di controllare più che mai la poetica degli oggetti nella messa in scena (come scrivi bene tu), descrivendo ogni dettaglio con minuzia di particolari, per contrasto mi vien in mente un altro autore, che ho molto apprezzato fin da ragazzina e che affida alla sensibilità dei suoi attori (peraltro, quasi sempre non professionisti) la trasformazione (anche semantica) di tali oggetti. Penso a Kantor e alla sua “Classe morta” con la rappresentazione della memoria e dell’oblio. La piccola stanza diventa la stanza dell’immaginazione, quindi lo spazio diventa stimolo al ricordo. Bellissimi questi tuoi post sul teatro, te ne sono grata perché hanno il pregio di insegnare tante cose e di far riflettere molto.

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    1. Intanto grazie per aver ancora una volta apprezzato questi miei interventi, che sono semplici, essenziali quanto lo può essere la mia preparazione a riguardo, ma che spero arrivino.
      Se ne avrai opportunità, e ti piace la drammaturgia, ti consiglio davvero di leggere un copione di Eduardo De Filippo. Quello più appassionato, Filumena Marturano, che in ogni passaggio descrive minutamente questa straordinaria protagonista, oppure L'arte della Commedia, spiazzante e affascinante.
      Non conoscevo Kantor e questo Classe morta. Ne ho visto alcuni passaggi in rete, particolarissimo. La regia dinanzi a una cosa di questo tipo è automaticamente portata a realizzare ciò che il maestro desidera. E' appunto come una variazione coreutica.

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  3. Il Sogno per me è stata una scoperta meravigliosa, lo avevo voluto leggere in inglese (anche senza sapere bene l'inglese, ci provavo) e da allora tutte le traduzioni mi sembrano goffe, i versi sono bellissimi, il ritmo, quasi sempre le messe in scena non riescono ad essere all'altezza - che è vertiginosa. Detto tutto il bene possibile di Eduardo (come ti dicevo per i dialetti, la fortuna di vivere in Lombardia è che si impara anche a capire il napoletano, io penso soprattutto a Goldoni, Le baruffe chiozzotte è stato un altro spettacolo straordinario di Strehler, leggendo il testo tante cose sfuggono e c'è proprio bisogno della messa in scena, degli attori - ma Goldoni è difficilissimo, richiede la perfezione in ogni minima battuta o movimento scenico. E qui mi ricollego a Kantor, citato da Clementina: un ricordo che fa ancora venire la pelle d'oca. In Kantor il testo è quasi assente. Impossibile capire Kantor se non sei in teatro. E anche questo è qualcosa su cui ragionare, si va dai testi in cui è tutto scritto alle pure invenzioni sceniche... la conclusione è che in teatro bisogna essere bravi, alle volte basta un attore con una sedia per fare un grande spettacolo (Beckett, direi)

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    1. Quanto hai ragione. Alle volte basta un attore con un sedia per fare un grande spettacolo. Io sono molto lontana da questo. Ritengo di fare un buon teatro (siamo stati a Ischia per il Premio Aenaria pochi giorni fa, l'accoglienza è stata entusiastica) ma so anche che il palcoscenico è un luogo difficile, dove imitare la realtà è un compito arduo. La preparazione di ciascun interprete non è mai abbastanza.
      Che meraviglia quelle tue esperienze. Vivere a Milano e vedere una cosa di Strehler ai tempi... Se penso al piccolo paese di provincia del sud in cui mi sono formata fino ai 26 anni... :)

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  4. dimenticavo: L'arte della commedia, di Eduardo. Un testo straordinario.

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  5. Magnifico post! Ho intervistato Claudio Settembrini, il regista de Il Diavolo nella Torre, intervista che apparirà sul mio blog a tempo debito. Per quanto riguarda la minuziosità dei copioni di Eduardo de Filippo, mi hai fatto venire in mente un punto dell'intervista in cui Claudio mi ha rivelato che ci sono registi che si arrabbiano molto, perché sembra che la loro creatività venga limitata dall'eccesso di indicazioni. Per quello, forse, noto che si tende ora a limitare al minimo il numero di descrizioni sceniche.

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    1. Credo che proprio la drammaturgia ormai si sia discostata da certi canali. Il copione non è che un manuale, somiglia sempre di più a una sceneggiatura del cinema.
      I miei copioni sono essenziali solo perché li scrivo io stessa, quindi l'impronta regista è già insita nelle parole. Se affidassi un mio copione ad altra persona, non so cosa diventerebbe (ma sarebbe assai curioso vedere come andrebbe a finire).
      Grazie, Cristina.

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  6. Un post molto interessante. Mi è capitato di leggere qualche copione cinematografico e teatrale, e trovo davvero affascinanti somiglianze e differenze rispetto alla narrativa. E' interessante anche questa recente entrata nel nostro blog-circolo di temi come il teatro e la recitazione, un bel modo di usare la rete per fare cultura, ampliando gli orizzonti. :)

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    1. Infatti, davvero bello. Un paio di anni fa, quando ero agli inizi col blog, esitavo a pubblicare post su questo argomento. Ora mi sento più incoraggiata, perché l'opera di Cristina, la sua intervista su Drama Queen e il mio contributo fanno circolare un po' di contenuti riguardanti questo mondo. Sconosciuto, troppo sconosciuto ai più.

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    2. Grazie, Luz! Purtroppo il teatro è visto come un argomento di "nicchia" solo da chi non lo conosce bene.

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  7. Mi dispiace ricommentare adesso, purtroppo non come avevo fatto la prima volta, qualche giorno fa, invano. Ho avuto problemi con blogger che sembrano essersi risolti, ma mia hanno fatto perdere un bel po’ di commenti in giro per la rete.
    Tra l’altro, questi tuoi approfondimenti mi piacciono molto, avendo ben poca dimestichezza con i testi teatrali, giusto quest’anno ho letto Goldoni, Ibsen e Pirandello (così è se vi pare).
    Una lettura diversa, una bella esperienza, per me abituata solo alla narrativa.

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    1. Ho letto che hai avuto problemi, peccato essermi persa il tuo commento. :(
      Grazie per il tuo apprezzamento, carissima. Sono felice che ti piaccia la drammaturgia come lettrice e spettatrice.

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