mercoledì 25 ottobre 2017

Il genio e l'alcolismo

Ernest Hemingway (1899 - 1961)
Mi piace gustare del buon vino e prediligo il rosso. Mi piace anche la birra fredda. Apprezzo meno il parterre di superalcolici. Diamo un'occhiata al mondo dell'arte
Fra scrittori, pittori e cantanti la dipendenza dall'alcool - o da droghe - è una costante. 
In letteratura è noto l'alcolismo di Kerouac, Bukowski, Hemingway, Fitzgerald, Joyce, Faulkner per dirne alcuni. 
Per molti di questi grandi nomi della letteratura mondiale non si trattò di un semplice vizio occasionale, ma proprio di alcolismo, una dipendenza distruttiva e per molti fatale. 
Non è difficile supporre che il genio sia legato a forme di dipendenza da alcool o da droghe proprio in quanto fughe vere e proprie dalla depressione, da vite ed epoche in cui queste grandi menti non si sentivano a proprio agio. Bukowski scrive "Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare, se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare, se non succede niente si beve per far succedere qualcosa". 
Anche Murakami si è accorto che qualcosa lega tutti gli scrittori più grandi: "Gli scrittori che mi piacciono, chissà per quale ragione, erano tutti alcolisti". L'alcool uccise molti di essi, tutti finiti in una spirale di autodistruzione che probabilmente è stata consapevole.
Marguerite Duras (1914 - 1996)
E cosa dire delle scrittrici? Ci sono alcuni nomi eccellenti delle scrittrici alcolizzate, per esempio Marguerite Duras e Patricia Highsmith. In generale, tutte donne segnate da infanzia difficile.
C'è da fare una premessa. Se il connubio letteratura-bottiglia era appena accettato per quanto riguarda gli uomini, per le donne invece essere scrittrice e alcolizzata significava essere bollata in maniera spregevole. Ne seppe qualcosa proprio la Duras, alla quale fu diagnosticata a 68 anni una grave forma di cirrosi epatica. "Quando una donna beve, è come se bevessero un animale o un bambino. In una donna l'alcolismo è scandaloso, socialmente inaccettabile. Ogni volta che bevevo mi rendevo dolorosamente conto dello scandalo che creavo attorno a me". 
In un'intervista al New York Times del 1991 ammise di essere stata capace di scolarsi fino a otto bottiglie di bordeaux prima di perdere i sensi. "Ero un'alcolizzata così come sono una scrittrice. Bevevo vino rosso per addormentarmi e cognac al risveglio. E poi cominciavo a scrivere, e le parole venivano fuori".  C'è da dire che stiamo parlando di una scrittrice prolifica e sapere che questa sua vena creativa era intimamente legata al bere... fa una certa impressione. E farebbe pensare che quella vena creativa si esaurisca se non si beve affatto o se ci si libera da quella dipendenza. 
La Duras fu autrice del best seller "L'amante", da molti considerato un capolavoro. 
Patricia Highsmith, autrice di grandi romanzi come "Carol" e della serie di cinque romanzi thriller con Tom Ripley come protagonista, ebbe un'infanzia segnata dall'essere rifiutata dalla madre, che aveva tentato di liberarsi di lei bevendo trementina al quarto mese di gravidanza e che la abbandonò quando Patricia aveva solo otto anni. La Highsmith cominciò a bere negli anni universitari, come scrisse nel suo diario: "Un'artista ha bisogno di bere per vedere la verità, la semplicità e l'essenzialità delle emozioni". In molte testimonianze è riportato che reggesse bene l'alcool e che era prediligeva la vodka. Morì sola, nella sua casa di Locarno, in Svizzera. 

Cosa pensate del connubio genio/dipendenze distruttive? E' sempre necessario vivere vite estreme per essere geni dell'arte? 

31 commenti:

  1. Questa cosa che bisogna alterare in qualche modo i sensi (alcool, droghe) per scrivere meglio (o fare meglio qualsiasi cosa di artistico) non la comprendo mai fino in fondo. Davvero alterare i sensi fa produrre cose migliori? oppure semplicemente c'è gente BLOCCATA che si sblocca solo con queste sostanze?

    Moz-

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    1. Forse non è proprio nel senso: bevo o prendo droghe, ergo mi vengono idee geniali. L'osservazione riguarda in particolare il fatto che la maggior parte dei grandi nomi della letteratura o dell'arte in generale facessero uso di alcool. Insomma, dei "disadattati" completi, geni nel ristretto spazio della loro scrivania.

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  2. Non credo in un connubio del genere. Ci sono molte persone autodistruttive che non sono né scrittori né cantanti, però si ubriacano (o si drogano) costantemente. Penso che, semplicemente, quando è un famoso scrittore a essere autodistruttivo tramite un rapporto malato con l'alcool restiamo sorpresi perché pensiamo che essere famoso, forse ricco e capace di scrivere libri che piacciono a migliaia di persone sia un motivo più che sufficiente per essere felice. Evidentemente a volte non basta, l'istinto autodistruttivo che alligna in alcuni di noi trova motivi di manifestarsi anche quando tutto va fin troppo bene...

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    1. Argh, commento svanito.
      Scrivevo che non mi trovo d'accordo, che qualche legame invece sembra esserci a mio parere. Dice bene Mariella qui sotto: la fragilità sembra essere il leit motiv di tanta letteratura, in particolare del Novecento. Sono pareri, ovviamente.

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  3. Io credo che il comune denominatore sia la fragilità.
    Sia per le persone comuni che per i grandi artisti.
    Chiaro che quest'ultima non può essere usata come arma di difesa capace di giustificare qualunque cosa.
    Anche nella pittura c'è spesso l'alcool che torna come denominatore comune:
    Gauguin, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec, Pollock...

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    1. Infatti, concordo in pieno: fragilità. Sembra esserci un legame indissolubile fra questi disturbi devastanti e fatali e la grande letteratura del Novecento. E anche, come tu precisi, nell'arte del secolo precedente.

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  4. Come hai sottolineato, bevevano per sfuggire a una realtà in non si sentivano a loro agio. Penso che sia questo il punto che accomuna tutti questi grandi scrittori o scrittrici, il disagio interiore. Ed è lo stesso probabilmente a far sì che producessero qualcosa di indimenticabile (unito ad altro, ovviamente). L'alcool diventa un modo per allinearsi con qualcosa di diverso. In qualche modo li capisco, anche se non bevo.

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    1. Il disadattamento è una chiave di volta di tanti talenti in ogni epoca e in ogni branca dell'arte. Il mio discorso sta tutto in questo nucleo: coloro che hanno lasciato una traccia profonda nella letteratura di Ottocento e Novecento, sembrano avere in comune questa forma autodistruttiva che però è stata anche quella cifra percorsa incessantemente perché potessero diventare indimenticabili e ineguagliati.

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  5. E' difficile stabilire una relazione necessaria tra i due termini, ovvero tra alcool e creatività; sono tantissimi gli scrittori e gli artisti che non hanno avuto e non hanno bisogno di ricorrere ad alcun tipo di sostanze per eliminare i freni inibitori. L'ispirazione e il suo prendere forma in uno scritto, in un dipinto, in uno spartito è comunque qualcosa che difficilmente si presta ad essere inquadrato razionalmente e una volta per tutte e forse per questo i Greci ricorrevano alle Muse per rappresentare il motore primo dell'atto creativo, quasi presupponessero un rapporto privato e segreto con altro sè o con una entità olimpica..
    Ciao Luz! Buona giornata:-)

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    1. Bella questa citazione delle Muse. Come se i greci, effettivamente, non sapessero spiegarsi il giungere di quella perfetta ispirazione. Crearono una magnifica suggestione, queste entità ispiratrici e dotate di immanenza.

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  6. non so se sia davvero così, nel senso che probabilmente la percentuale di artisti alcolizzati (nel passato) era probabilmente in linea con la percentuale di gente normale che beveva tanto. Una volta bevevano tutti, e fumavano tutti... Leggendo i libri di James Herriott (il veterinario, libri molto belli e ottimo scrittore) il tasso alcolico è sempre altissimo, soprattutto pinte di birra. Una volta si usava, penso che anche Joyce fosse nato in quell'ambiente. I russi, gli svedesi, i nordici in generale... da noi la macchietta dell'ubriaco veneto ha fatto la fortuna di molti comici di quelli bravi, come Toffolo e Bramieri. E poi ci sono artisti grandi del tutto esenti da stravizi, come Verdi. Quanto a Puccini, la sua rovina fu il sigaro (morì per un tumore alla gola).
    Lo stesso discorso lo farei per i morti per droga: è vero, Hendrix, Jim Morrison, sono tanti; ma anche tanti ragazzi della mia età sono morti per droga, in quel periodo.
    Probabilmente bisognerebbe andare fino alle origini di queste cose, in origine il fumo e l'alcol erano legati a riti religiosi (in America prima che arrivassimo noi, intendo, e ai tempi di Noè)
    :-)

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    1. Mi piace questa tua espansione. Se spostiamo lo sguardo molto in là rispetto alla letteratura del Novecento, ci accorgiamo che questi fenomeni non solo sono sempre presenti ma assumono nelle diverse epoche significati differenti.
      :-)

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  7. Mi è venuto da pensare a Tito Lucrezio Caro, che ha scritto un'opera ponderosa e decisamente la migliore di tutta la poesia latina -Virgilio e Orazio inclusi- quale il "De rerum natura". Lessi nella Storia della letteratura latina di Ettore Paratore che se non si ubriacava non cominciava nemmeno a scrivere.
    Bukowski non sarebbe Bukowski senza gli intrugli che ingozzava, e nemmeno sarebbe uscito dalla sua penna quel capolavoro che è Il vecchio e il mare se Hemingway non avesse avuto sul tavolo la sua bottiglia di whisky.
    Per la pittura mi basta pensare a Van Gogh, a Gauguin, a Pollock a Toulous-Lautrec per capire quanta arte dobbiamo all'alcool.
    A me non riuscirebbe. Se mi sbronzo dormo come una marmotta ronfando come una scrofa incinta. Solo una volta, quando ero ancora solo a Francoforte e dormivo nel mio atelier, forse per la noia, forse per la nostalgia della mia donna e dei miei figli mi sono ubriacato e regolarmente addormentato. Risvegliatomi di botto a notte fonda afferrai una tela intonsa dei colori e dei pennelli e dipinsi non so in quanto tempo un quadro. Al mattino, da quasi sobrio, guardai quel quadro: era completamente privo di freni inibitori. Lo misi da parte, ma alcuni mesi dopo -tanti- me lo andai a riguardare: conteneva spunti efficaci; uno su tutti, una tecnica che non avevo mai avuto il coraggio di tentare. Da quel momento usando esclusivamente acrilici misi in atto e perfezionai quella tecnica con cui da allora in poi ho dipinto quasi tutti i miei quadri, che è diventata una mia caratteristica.
    Purtroppo io non sono accademico e questo manco ha sbarrato il mio cammino in un settore dove essere diplomato in un'Accademia d'arte conta tantissimo nella quotazione del prezzo, ed i galleristi è a quello che sono per lo più interessati.
    Ma la sbornia avrebbe aperto la strada al mio successo, e nessuno ne avrebbe saputo nulla.
    Bel blog, Luz, interessante proprio.

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    1. Ciao Vincenzo, benvenuto.
      Ecco, il tuo commento testimonierebbe in modo efficace e diretto che almeno per quanta riguarda i nomi di cui in questo post si parla, non ci sarebbe stato genio senza l'ausilio della sbronza. Senza se e senza ma. Perché non riconoscerlo? Questi grandi nomi erano tali in quanto scrittori di certo calibro, noti in vita e dopo per lo stile nuovo e provocatorio, che scuoteva qualche coscienza di benpensante.
      Non dobbiamo fare fatica a riconoscerlo. La plausibilità di questa ipotesi non mi fa sentire qualunquista o ingenua. Probabilmente questi cultori della parola sapevano bene che senza la spinta dell'alcool non avrebbero scritto niente di buono.
      Interessante il tuo racconto della tela nata in una notte in cui avevi bevuto troppo. Sul tuo blog parli della tua arte? Hai messo immagini? Andrò a dare un'occhiata (ammetto però che faccio fatica in tutto quel rosso dello sfondo, la mia retina protesta vivamente).

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    2. Che peccato! Il rosso è il MIO colore. Il colore che sento in tutte le sue sfumature, anche nei secondari e terziari. Lo sento di più e basta.
      Debbo deluderti. Io in tecnologia valgo un accidenti. Sono capace di inventarmi un racconto di dieci cartelle in un attimo e dis criverlo senza smettere per due ore; sono stato capace di scrivere romanzi anche di più di 400 pagine; posso scrivere poesie complesse che mi portano via setimane, oppure le cosiddette "cotte e mangiate" che scrivo di rimbalzo a quelle di Myrtilla's , al secolo Patricia Moll; posso dipeíngere senza fermarmi una tela di quattro metri per tre metri (in teatro ho dipinto per anni fondali di 40 metri per 20 metri), ma difronte ad una foto da riprodurre mi sento come un povero deficiente e annaspo in un mare di....non ti voglio dire di cosa.
      Sto cercando di apprendere e prima o poi ce la farò. Quel giorno -me lo immagino- mi verrà un infarto dalla gioia, ma metterò sul mio blog, in mezzo al rosso, qualche cosa di mio.
      Mi farà enormemente piacere accoglierti nel mio blog, che ho iniziato nel 2008 per parlare del primo romanzo che pubblicai.

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    3. Il rosso è un colore nelle mie corde, Vincenzo. :)
      Leggere su uno sfondo rosso è per me faticoso. Ossia: ogni blog che frequento è anche un luogo in cui leggo senza fatica su questo schermo. Vabbè, pure amenità che lasciano il tempo che trovano. Posso provarci, non posso garantire assiduità.
      Inserire immagini in un post è molto semplice. Dai, fatti dare qualche dritta e provaci.

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  8. Personalmente sono contrarissimo sia al consumo di alcol che di droghe, anche in quantità minime. Ma venendo al discorso del post, penso che un artista che per creare fa uso di queste sostanze non tenti altro che di sbarazzarsi momentaneamente della propria personalità ordinaria, che percepisce come negativa o troppo ingombrante, per accedere all'estasi creativa. Una personalità equilibrata può accedervi ugualmente senza bisogno di questi palliativi, ma una personalità fragile o anche solo troppo rigidamente strutturata, no.

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    1. Non si proponeva un giudizio morale o salutista, infatti. Sono contraria anch'io, che non ho mai neppure fatto un tiro da una sigaretta. :)

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  9. Per parte mia non bevo nè faccio uso di sostanze, ma credo che tu abbia centrato il punto: erano personalità troppo sensibili e avevano bisogno di una fuga e ognuno ha le sue. Se pensi poi anche al passato, tutti i Poeti Maledetti sono legati al consumo di sostanze e, in genere, a una vita sregolata... Spesso il genio si accompagna al vizio, non so dire però se le sostanze abbiano stimolato la creatività o meno. Semplicemente si tratta del genio unito alla fragilità, che viene espressa da un uomo molto intelligente o molto stupido in maniera simile.

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    1. Secondo studi di antropologia, l'uso di sostanze stupefacenti stimolava certi comportamenti durante i rituali tribali. In qualche modo i componenti del gruppo erano anche più "creativi" nelle danze e nel porsi verso i pari. Metto qui questa osservazione a commento della tua.
      Penso anch'io ai Poeti maledetti. C'è il particolarissimo film "Total Eclipse" che li racconta senza filtri.

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  10. Non credo sia vera l'equazione che sia sempre necessario vivere vite estreme per essere geni dell'arte, come nel famoso binomio genio + sregolatezza. Anzi, leggo che molti grandi autori letterari, per rimanere in un campo che conosco, hanno raggiunto i loro vertici con una disciplina a dir poco ferrea, quasi militaresca. Secondo me l'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti attiene più a una sfera intima di grande fragilità, che esula dal campo artistico, in cui si prova il bisogno di dimostrare qualcosa agli altri sbloccando determinati meccanismi. Non a caso l'alcool è usato spesso per essere più disinvolti - e disinibiti - in ambito sociale, specie tra i giovanissimi.

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    1. Opinione rispettabilissima, cara Cristina.
      Non è infatti una condicio sine qua non per essere scrittori o in generale artisti di talento. Sembra però che i più illustri nomi del Novecento siano stati legati anche se brevemente all'uso di alcool o di sostanze stupefacenti.

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  11. Non credo che qualcuno, con pallottoliere alla mano, si sia mai messo a contare quanti fossero gli artisti (scrittori, musicisti, pittori, attori, …) con una dipendenza dichiarata da droghe/alcool e quanti no. Non so nemmeno rispondere se sia sempre necessario vivere vite estreme per essere geni dell’arte, nel senso che dipende: possono essere infiniti i modi di percepire l’esistenza “estrema”. Di sicuro, un po’ come Murakami, mi sono accorta anch’io che gli artisti più grandi sono legati tra loro dal dipendere da qualcosa.
    Gli esempi in questo caso sono tantissimi e aggiungo che, seppure nell’Ottocento, nel Novecento e ancora oggi, siano state raccolte molte evidenze a testimonianza di tutto ciò, anche artisti vissuti in epoche più lontane facevano uso di eccitanti, stimolanti e ne erano diventati in qualche modo dipendenti. Penso a Catullo, penso a Caravaggio, molto spesso immersi tra i fumi dell’alcool. Caravaggio, per esempio fu un grandissimo frequentatore di osterie dove trascorreva ore e ore a bere e ad azzuffarsi con chi gli capitasse a tiro. Pensando anche al mondo della musica, non sono certo mancati gli esempi, così come una vita dissoluta, al limite della morale comune, ha accompagnato molti attori di ieri e di oggi. Carmelo Bene è indubbiamente uno di questi.
    Il punto, secondo me, è che il cosiddetto male di vivere sia sempre stato un tema profondamente e tragicamente presente negli animi più sensibili e, siccome un artista è tale proprio perché manifesta di possedere una sensibilità spiccata, è facile che cada in una dipendenza, qualunque essa sia.
    Di contro, non credo che alcool, droghe e altro facciano di un cretino un grande artista, il talento lo devi aver dentro. Questi espedienti aiutano, forse inizialmente a sbloccare certe resistenze, ma alla lunga si ritorcono contro. Insomma, Bukowski o la Duras non sono stati dei grandi perché bevevano, ma erano dei grandi che hanno creduto di poter tirar fuori il meglio solo bevendo. È una questione di illusione.
    Inoltre, diffido anche da chi esprime giudizi troppo moralistici a riguardo e tendo a immaginare che costoro abbiano sempre qualcosa da nascondere.
    Per concludere, credo che gli artisti più grandi (che poi sono quelli che amo di più) abbiano avuto esistenze difficili e che il loro problema principale sia stato riuscire a veicolare sensazioni e emozioni drammaticamente intense a un pubblico superficiale, o comunque impreparato ad accogliere e comprendere il loro punto di vista.

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    1. Grazie per questo tuo commento molto articolato, che tocca diversi aspetti della questione, Clementina.

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  12. Quando ho iniziato a leggere questo post, la mente mi ha subito suggerito il club 27.
    Probabilmente non è un riferimento che calza a pennello con l'argomento dibattuto, ma intravedo qualche attinenza.
    La tendenza autodistruttiva, ma ancor prima il "semplice" abuso di sostanze è stata caratteristica di alcuni settori, in altri lo è ancora.
    Certamente per alcuni si tratta di fuga da una realtà che non piace, per altri una compensazione della propria fragilità, ma ipotizzo che per tanti altri sia anche solo un modo per far parlare di sé, uno status "da avere" per essere collocato a pieno titolo tra gli altri precedessori.
    Non ho una conoscenza storico-geografica adeguata per comprendere in quali situazioni versassero alcuni dei sopracitati, ma sicuramente posso concordare sul fatto che è una questione decisamente intimistica e relativa al rapporto con gli altri. Ritengo che questo connubio sia legato più all'incomprensione (o alla sensazione della stessa) che non a precise collocazioni nel tempo e nello spazio. Probabilmente i contemporanei, nelle varie epoche, di alcuni di questi famosi personaggi non erano al passo con gli stessi. O forse ad alcuni piaceva quel tipo di eccesso e ci si è ricamato sopra, da parte degli interessati o da chi per loro.
    D'altra parte esistono anche geni incompresi che eccedono in tutt'altro che non sia distruttivo o anche che non eccedono affatto. È un po' come dire che un ottimo comico ha sicuramente un animo travagliato, e mi/ti domando: possibile che non ce ne sia almeno uno che è contento e soddisfatto e che brilla come tanti altri?

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    1. Lo ammetto, sono andata a cercarmi questo Club 27 e mi sono ritrovata dinanzi una riflessione su quanti fra grandi artisti sono scomparsi giovanissimi per abuso di droghe e alcool. Nomi eccellenti, su diversi dei quali ancora il pubblico si sente come frastornato, incredulo, oltre che addolorato quando si tratta di artisti che appartengono all'immaginario collettivo.
      Riguardo alla tua domanda, se penso per esempio al mondo del teatro e del cinema, mi vengono in mente moltissimi artisti del tutto insoddisfatti, magari di grande successo ma altrettanto depressi e con tendenze autodistruttive.
      Se se ne salva qualcuno, forse non appartiene proprio all'Olimpo dei più grandi.
      Parrebbe essere un leit motiv imprenscindibile.

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  13. Anche a me pare che l'accoppiata "artista-disagio che si esprime in molte forme" sia abbastanza evidente. Mi vengono in mente pochi sommi che non rientrano nella categoria. Bach, ad esempio.

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  14. Complimenti per l'articolo. L'alcol è una piaga

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  15. Credo che la creatività non abbia nessun legame con l'alcol e con la droga, mi pare una mistificazione tipica del nostro tempo. Hemingway beveva perché era un alcolista non perché i racconti gli venivano bene quando era ubriaco: dopotutto il suo il detto, "scrivi da ubriaco, ma correggi da sobrio" ed è un detto che la dice lunga.

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  16. Alcol e' la cripta di chi vuole concentrare pensieri creativi e abbassare quelli distruttivi.

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