sabato 17 marzo 2018

Intervista a Enzo Iacoponi

Enzo ci ha lasciato proprio oggi, giovedì 26 settembre 2019, dopo una grave complicazione renale.
Questa l'intervista che gli feci nel marzo 2018.
Che la terra ti sia lieve, amico mio...

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Conoscersi grazie alla blog-sfera è piacevole. Ho avuto modo di incontrare virtualmente belle persone, con cui condivido pressoché abitualmente idee, opinioni, gusti. Perché non dedicare occasionalmente un po' di spazio a qualcuno di voi? Un'idea non molto originale che però mi intriga e oggi comincio con Vincenzo Iacoponi
Ho conosciuto virtualmente Enzo di recente, ma è bastato poco per avvertire la sensazione di conoscerlo da sempre. 
Si diletta di scrittura, casualmente ho scoperto che si è occupato di scenografia, che ha una vena artistica non indifferente, che vive in Germania al centro di una famiglia grande e molto unita. 
Enzo ha il pregio di essere diretto, schietto e senza filtri. Sulle prime può anche spiazzare, poi avverti che è un uomo buono, perbene, fino a quando viene fuori che è uno di quei vecchi che valgono, e tanto. 
Di solito la parola vecchio è tabù. Come se di invecchiare ci si dovesse vergognare. Enzo porta i suoi anni con la vivacità intellettuale di un trentenne. Ha decine di amici blogger che lo stimano e gli vogliono bene, ultimamente ci ha fatto pure prendere un bello spavento perché è andato sotto i ferri, poi è tornato ed è stato un tripudio collettivo. Enzo è un pezzetto di blog-sfera che vale, ecco perché l'ho intervistato, oltre al fatto che per molti aspetti mi ricorda mio padre, che nacque un anno dopo di lui e non ho più la fortuna di avere accanto. 
Qui sopra, Enzo all'età di 22 anni con la sua amatissima nipotina in braccio. 

Grazie per aver accettato di farti intervistare. Cominciamo da questo: un evento storico importante dell'anno in cui sei nato. 
Potrei risponderti con una battuta che l'evento più importante storicamente del 1934 avvenne il 9 di febbraio, giorno in cui io nacqui. Non lo farò. Annulla la risposta.
Mi sembra che iniziassero i preparativi per quella angosciosa campagna di Abissinia, che il Maresciallo Graziani - se non erro grossolanamente - condusse barbaramente con uso di gas asfissianti ("tanto sono solo negracci puzzolenti") e di cui Mussolini tanto vanto ne trasse insignendo Vittorio Emanuele III del titolo di Imperatore di Abissinia, appunto; titolo che "sciaboletta" accettò di buon cuore.
Da qui le sanzioni, una barzelletta, messe per far vedere che qualcosa il mondo stava facendo, ma in quel periodo Mussolini aveva seguaci dappertutto, financo negli Stati Uniti.
Altro non so, e mi pare abbastanza.

Mussolini e Vittorio Emanuele III
Hai ricordi della guerra? 
Ne ho un'infinità.
Il soggiorno coatto a Valentano per due anni da "sfollato" con la gente del paese che ci guardava come fossimo appestati, e pensare che mia nonna Michelina Viti, la mamma di mia mamma, era nata in quel paese ed aveva ancora in vita la sorella maggiore.
La ritirata delle truppe tedesche che si portarono via tutti i maiali, le galline e gli asini, che erano l'unico mezzo di trasporto per quei poveri contadini. Gli uomini tutti nascosti per non venir deportati (servivano per i lavori, per riassettare strade), le prime case del paese bruciate e la minaccia di bruciare tutto il paese se non venivano fuori gli uomini per ricoprire due enormi buche fatte da bombe aeree americane. Allora il Podestà, l'Arciprete, le donne più giovani e noi ragazzi a lavorare per rifare sta strada con i tedeschi col mitra che ci tenevano sotto tiro e non ci facevano fare nemmeno la pipì a noi ragazzini.
L'arrivo degli americani dopo quattro giorni e tre notti passate in un cantinone comunale senza quasi toccare cibo perché piovevano granate. A noi morti di fame tiravano caramelle, sigarette e gomme da masticare. Finché non capirono e misero su in mezz'ora un'enorme cucina da campo per dar da mangiare ad un migliaio di persone esauste. Una minestrina che conteneva tantissime vitamine e sostanze e carne congelata... carne, capisci, che noi non mangiavamo da oltre un anno, e loro la buttavano. E pane bianco, niveo, non nero come quello dei crucchi.
Ma quello che non dimenticherò mai è il primo bombardamento di Civitavecchia, il 14 maggio del 1943. Il porto era pieno di soldati che si imbarcavano per andare in Libia. C'erano sette navi da carico e in rada quattro cacciatorpediniere di scorta. Alle 15 e qualche minuto io stavo affacciato alla finestra della camera da letto dei miei a chiacchierare con i miei amici di sotto nel cortile. C'era qualcosa di strano nel cielo. Cicale ed uccelli cantavano sugli alberi. Di colpo smisero tutti e fu un silenzio irreale.
Io alzai la testa e vidi scendere in diagonale (lo vedo ancora adesso) un chicco di grano nero, veniva giù velocissimo. Un attimo dopo un'esplosione enorme che non avevo mai sentita e tutti gli uccelli si alzarono in volo. Il porto era a non più di un chilometro in linea d'aria da casa mia.
Dopo per dodici minuti fu l'inferno. Eravamo tutti in ginocchio nel corridoio che era al centro dell'appartamento e le mura dondolavano come quando si sta in barca con onde grandi e grosse. Scoppiava tutto ed io vedevo sul pavimento della cucina passare velocissime le ombre degli aerei da caccia che mitragliavano tutto. Anche casa nostra. Mia nonna era rimasta sola sotto la finestra della cucina e mio padre corse barcollando e tenendosi con le sue manone alle pareti del corridoio arrivò fin da lei con un ruzzolone e la portò via di lì, che mia madre già la piangeva morta. Poi ricordo quel sibilo atroce, come di un treno che frena e non si ferma e la cucina piena di terra e di calcinacci. Mio padre mi spiegò che era stata una bomba che aveva raschiato casa nostra ed era andata oltre. Quando tutto di colpo finì il cielo era nero del fumo degli incendi ed io capii dove era andata quella bomba. Aveva appena scoperchiato una tettoia sopra il nostro terrazzo, aveva continuato la sua corsa ed era esplosa dentro la casa del mio amico del cuore, Marcellino, che adesso era un cumulo di macerie. Scavarono in tanti, anche il mio papà e tirarono fuori i genitori di Marcellino, sua sorella di quattro anni e lui per ultimo. Tutti morti. E io lo porto sempre dentro di me da allora.
Altro non voglio ricordare. Non sono mai cose belle.

Un'immagine di Civitavecchia al termine dei bombardamenti, 14 maggio 1943
Anzitutto grazie. Perché raccontare quegli anni non è facile e posso solo immaginarlo. Passiamo a cose belle. Gli anni della ricostruzione, della gioia, del boom economico. 
Hai detto di avere frequentato la Roma di quegli anni, quella della Dolce vita. Com'era?
Gli anni della Dolce Vita erano un sogno ad occhi aperti.
Io con altri amici miei - due - avevamo cercato e trovato un lavoretto a Cinecittà. Facevamo un po' di tutto. È stato lì che ho imparato a fare scenografia velocissima. Poi, per "Rocco e i suoi fratelli" la Ponte De Laurentis - insieme allora- cercavano dei fotografi. Io avevo imparato a fotografare da papà, Gianni Digati sapeva fare tutto a sentir lui e Roberto Dimaria effettivamente era figlio di un fotografo e lavorava nel negozio del padre. Ci presentammo pensando di dover fare un esamino. Invece niente. Ci diedero due macchie a testa a soffietto, strepitose, una borsa con duecento rullini dentro (e ricordatevi di scattarle tutte ci dissero). 
"Adesso passate alla Cassa in ufficio, che vi danno i soldi che vi occorrono".
Andammo e quella alla cassa ci mette sotto il naso una ricevuta a testa. "Firmate", e intanto si mette a contare fogli da 10.000. Conta conta... settantacinque a testa. 750.000 lire! Mio padre che allora era vicedirettore alla Cassa di Risparmio di Civitavecchia prendeva 250.000 lire al mese per quattordici mensilità. 
"Aò, nun fate i tirchi. Guardate che non voglio vedere resti... insomma ve li dovete spende tutti... avete capito? Però vojo le ricevute".
A quei tempi la Democrazia Cristiana, mi pare fosse stato Andreotti che era sottosegretario di non mi ricordo più, aveva fatto un decreto legge per cui il cinema veniva al primo posto e spendevano e spandevano tutti come matti per far vedere che i soldi servivano veramente. Un tipico sistema all'italiana.
Ci dettero una Lancia Flaminia - hai capito bene - blu notte della produzione e ci mettemmo in marcia per Torino, Milano e qualsiasi città del nord dove dovevamo fotografare cortili popolari con scale e scalette e panni al sole. Tutto quello di caratteristico che c'era.
Stemmo in viaggio 28 giorni sghignazzando e facendo orride puzze, e sganasciandoci dalle risate. Fotografammo tutto, Luana, ma proprio TUTTO, il sudiciume, la miseria, gli stracci, i vasi da notte e gli archi, gli archetti, gli interni di tutti i cortili immaginabili di Torino, Genova, Milano, Vercelli, Busto Arsizio e non ricordo più quanti. Guidavamo, incontravamo un paese e la prima strada ci mettevamo a piedi in cerca di cortili e giù foto. Un delirio di scatti.
Tornammo senza una lira, senza benzina e con 600 rotoli x 36 scatti e una caterva di ricevute.
"Voi sì che sete quelli boni" disse la capoufficio. Te credo, avevamo bruciato in 28 giorni 2.250.000 lire più quasi 350.000 in buoni benzina per la Flaminia, che beveva come una spugna.
Non dimenticherò mai quel viaggio, anche se non ci fu nessuna avventura erotica.
Alla fine portammo tutti i rotoli in quella che chiamavamo "l'officina". Lì stamparono tutte le foto in una giornata e ne fecero una straordinaria serie di molte migliaia di bianche e nere come tutto allora - fatti il conto - formato quaranta per cinquanta. Le appiccicarono con nastro adesivo alle pareti di uno studio immenso. 
Ci mettemmo ad aspettare che arrivasse il grande regista, bravissimo ed elegantissimo omosessuale, Visconti.
Il giorno dopo arrivò, entrò, fece un giro completo mormorando qualcosa alla sua segretaria che annotava veloce.
Alla fine venne verso di noi.
"Bellissimo lavoro. Ho scelto una ventina di foto. Faremo una fusione di elementi e ricostruiremo il risultato in questo studio. Complimenti ragazzi"
E intanto teneva d'occhio me e Gianni Digati. Beh, eravamo ventenni e due gran bei ragazzi.
Nel film riconobbi alcune cose che avevamo fotografato, ma era stato un lavorone per nulla o quasi.

Luchino Visconti (a destra) sul set di Rocco e i suoi fratelli
In breve, il tuo incontro con Anna Magnani. 
Un pomeriggio sul tardi stavamo io e un'altra persona in uno dei locali in Via Veneto, seduti ad un tavolo. Facevamo cagnara e più in là una signora bella piena di capelli neri e con due occhialoni scuri leggeva quello che chiaramente era un copione. Sollevò la testa, abbassò gli occhiali e vidi gli occhi. La riconobbi. "Nun ce riuscite propio a stevvene zitti e boni" ma le ridevano gli occhi. Anna Magnani. Che donna mamma mia! Da perderci la testa, non bellissima ma travolgente e una risata de gola che te strappava lembi dell'anima. Chiaccherò con noi per oltre mezz'ora finché non errivò un tipo della produzione a portarsela via.
"Come te chiami tu?"
"Enzo"
"Tutto lì?"
"Beh no, io mi chiamo Vincenzo"
"Ecco, questo è mejo assai, nun te nasconne mai, che sei bello come er sole".

Come sei arrivato in Germania?
Marcello Del Monaco, regista già allora famoso e figlio del grandissimo tenore Mario,  mi aveva conosciuto a Verona per l'allestimento scenico di un'opera di Verdi, se ricordo bene. Mi aveva fatto un sacco di domande, tra cui se avessi in uggia l'idea di trasferirmi "momentaneamente" in Germania, a Francoforte sul Meno dove aveva intenzione di mettere in scena una Bohéme. Il suo scenografo era un certo Scott, irlandese molto bravo ed educato. "Mi occorre un pittore di scena bravo come te e che non la manda a dire" Avevo risposto di sì, mica tanto convinto. Qualche mese dopo mi telefona e mi dice che mi aspetta a Francoforte. Tutto spesato. "Vieni a vedere poi decidi". 
Allora vivevo con la mia famiglia a Treviso ed io andavo quasi ogni settimana a Quarto d'Altino dove c'era "La bottega veneziana" di Rocchetta, amico mio ed eccellente pittore. Curavamo allestimenti scenici di teatri italiani, tipo San Carlo di Napoli, Opera di Roma, Bellini di Catania e svariati altri, compresa La Scala ma solamente per dettagli e che mai se ne parlasse per favore. Ne parlai con Rocchetta e lui mi diede la sua benedizione. "Vai a vedere, che ti costa?"
Capitai in un ambiente completamente nuovo ed inimmaginato. I crucchi sono programmatori nati, capaci di programmare il numero della pennellate perfino. Tutto sehr gut ma noi italiani - che abbiamo inventato questa arte nel settecento a Venezia - sosteniamo che arte è improvvisazione ed istinto. 
I bozzetti di Scott era pensati per una sala di pittura italiana, c'era poco da fare. I crucchetti rimasero esterrefatti nel vedere come lavoravo io. Si scrutavano l'un l'altro imbambolati. Per farti capire non sempre i palazzi si costruiscono dalle fondamenta, soprattutto in teatro capita di fare solamente il tetto, tanto solo quello si deve vedere, ma vaglielo a far capire ai francofurtensi.
Morale: per due mesi di lavoro mi offrono alloggio in albergo pagato, vitto pagato e 3500 marchi lordi al mese, circa 2700 netti, cioè nel 1971 quando il cambio era circa tremila lire per un marco, una cofra pazzesca che si guadagnava solamente a Verona. Sarei stato un pazzo a non accettare.
Alla quinta settimana mi mandò a chiamare l'Intendente generale offrendomi un contratto rinnovabile di un anno. Stesse condizioni tolto vitto e alloggio. Telefonai ad Anna Maria assolutamente reticente. "Hai pensato ai bambini?" Vaglielo a far capire che avevo pensato di cambiare tutto. Lei a Treviso era a 200 chilometri da sua mamma; ce ne doveva aggiungere altri mille. Battaglia persa in quel momento e lasciai perdere. Firmai il contratto e mi trovai un appartamento, affittando in seguito un magazzino ben illuminato come mio atelier. 
Ho lavorato a Francoforte fino al 1979. Con la nuova stagione mi sono trasferito a Karlsruhe, nel Baden. Perché proprio lì? Tre anni prima era arrivata Anna Maria coi bambini. Le due più grandi erano ragazze di 15 e 13 anni, scuole medie, piene di drogati. Volevo proteggere la mia tribù dalla droga ed andai ad informarmi su quele fosse la piazza più favorevole a sfuggir la droga. Al Polizei Praesidium mi risposero che la cosa era messa brutta. Meno brutta a Karlsruhe. Chiesi aiuto a due scenografi e un regista incontrati a più riprese nella capitale dell'Assia e loro mi fecero un'ottima réclame, considerato che buoni pittori non crescono come i funghi.
Condizioni ottime ma non speciali come a Francoforte, ma la vita era molto meno cara.
Quello che non avevo previsto era l'ostilità dei Badenser, dei locali, marpioni che usavano tra loro il dialetto strettissimo, una specie del nostro bergamasco per capirci, per cui io che venivo da dove il tedesco era di facile intuizione entravo nell'imbuto di una lingua del tutto sconosciuta.
Cercarono in ogni modo di tenermi lontano dal lavoro costruttivo, tantoché mi vidi costretto ad andare a parlare col Direttore generale che mi assicurò che quella era brava gente un po' gelosa e diffidente. Una vigorosa mano me la diede Ulrich Benninghof, un celeberrimo - forse l'unico a quel livello - regista e scenografo dell'allora Repubblica democratica tedesca, la DDR, invitato dal nostro Intendente a rappresentare da noi un opera di Wagner, il Tannhäuser. 
Aveva preparato un bozzetto complicatissimo che presupponeva una conoscenza assoluta della tecnica pittorica, cosa che questa squadra nemmeno lontanamente aveva sperimentato. Costruivano fondali su teloni come se dovessero imbiancare muri esterni di uno stabile.
Una mattina - io non avevo avuto nemmeno l'onore di scambiare due parole con Benninghof - stavo aggiustando non ricordo cosa sulla scena del piccolo teatro di prosa, quando mi vengono a chiamare. "Ti vuole il bolscevico di sopra in Malersaal". Cosa può volere adesso il comunista da me?
Una scena da film di Fellini: un'intera squadra di pittori al centro della sala ad occhi bassi e la coda tra le gambe, come solo soldati tedeschi sconfitti ed umiliati possono tenere, muti senza più una stilla di vita ed in mezzo enorme e fatidico Benninghof che gli urla nelle orecchie "INCAPACI. PULITECI LE STRADE COI VOSTRI PENNELLI".
Appena mi vede mi apostrofa: "Sind sie italiener?" Lei è italiano? Annuisco e lui, sbattendomi sotto il muso il suo bozzetto a gran voce mi chiede: "SIND SIE FÄHIG DAS ZU MALEN?" Lei è capace di dipingere questo?
Do un'occhiata al foglio sgualcito che mi agita sotto il muso, faccio due passi verso di lui e lo apostrofo io a brutto grugno. "Dov'era lei dieci anni fa? In quale teatrino della sua repubblichetta faceva rappresentazioni? Sa dove io fossi? A Verona. Lavoravo con Rocchetta della "Bottega veneziana", facevamo cose immense non robette come questa scheise Vorlage, e lei viene oggi a chiedere a me se io sia in grado di dipingere questi zeppetti? Da noi lo fanno gli apprendisti al secondo anno".
Lo stavo umiliando davanti a tutti, che ricominciavano ad avere colore nelle guance. E adesso che gli risponderà? NIENTE. Mi guardò, sorrise  e disse: "Non lo dubitavo. Adesso me lo finisca in tempo per la prima".
Ero diventato il loro eroe, senza aver fatto altro che un paio di urlacci. Ma da quel momento nessuno più si è messo d'intralcio sulla mia strada.
Dico la verità: avrei potuto lavorare a Berlino oppure a Monaco di Baviera, ma credo che la stima e l'affetto che ho raccolto a Karlstuhe non avrei potuto averlo altrove, fino all'ultimo fondale, che il mio direttore generale mi pregò di firmare e datare. La cosa è assolutamente inconsueta. Ma io avevo deciso di smettere e di cambiare lavoro andando ad insegnare ai giovanotti come si usano i pennelli lunghi da teatro.
Quel fondale, bellissimo ancora oggi è appeso nel foyer del teatro. L'unico, firmato e datato a perenne memoria del passaggio del sottoscritto.
Sotto, alcune opere di Enzo.

Senza titolo, 1987 - acrilico
Anna Maria di fronte alla finestra - acrilico
I bevitori, 1976 - olio

37 commenti:

  1. E bravi entrambi!
    Vincenzo è un uomo che ride e scherza, a volte senza tanti riguardi ma quando lo si conosce un po' meglio si capisce che dentro non è così. 😊 ha tante cose interiormente e le butta fuori come un vulcano in eruzione. Quando vuole essere serio e profondo peròci riesce alla grande!

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    1. Infatti, lo definirei "poliedrico". :)

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    2. Decisamente irruento!!! ah ah ah :-D

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    3. Ahahahah ... hai cassato il mio commento, eh ???
      Bene, mia casa Luz ... e tuttavia NON hai cassato il termine errato di IRRUENTO, facendo piangere lacrime amare sia alla grammatica italiana, sia alla sintassi latina : CATTIVONA !

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    4. Avevo cassato perché non mi era piaciuto il modo, ma hai le tue ragioni. Lascio perché il termine è valido anche nella forma che leggi.

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    5. Nel post è stato inserito il resto dell'intervista.

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    6. Leggerò con piacere il resto dell' intervista, cara Luz ... ma rimango,saldo sulla roccia della Grammatica Italiana e della Sintassi Latina : non si deve scrivere IRRUENTO ( che è davvero un termine spaventosi di sumarità atavica ), bensì IRRUENTE, così come si deve scrivere NOBILE e non NOBILO oppure NOBILA : la Grammatica Latina impone di scrivere gli aggettivi che derivano dalla 3^ classe con la desinenza E, sia per il maschile che per il femminile ! ^_^

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  2. Intervista doppiamente interessante per me: non solo per gli argomenti trattati in se - pezzi di storia della nostra patria - ma anche per comune appartenenza geografica: essendo di Civitavecchia il bombardamento è qualcosa che ha fatto comunque parte della mia vita pur non avendolo vissuto per motivi anagrafici. Ma innumerevoli volte l'ho sentito raccontare dai miei zii, da mio padre, da tanti concittadini che l'hanno vissuto e che costantemente ricordano come quella distrutta fosse un'altra città rispetto a quella ricostruita nel dopoguerra.

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    1. Infatti ho pensato a questa intervista proprio perché poteva esserci opportunità di raccontare allo stesso tempo un'epoca.
      Come insegnante di Storia, leggere testimonianze di chi ha vissuto personalmente l'esperienza del bombardamento di Civitavecchia è una grande occasione di riflessione. Sono contenta che tu abbia potuto trovare un elemento strettamente vicino a te in questo post.

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  3. Interessante questo percorso nella nostra penisola, leggerò con interesse anche la seconda puntata dell'intervista. Si percepisce la bella amicizia che è nata tra intervistato e intervistatrice. Complimenti a entrambi.

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    1. Nei limiti di chi ha un contatto da lontano e scambiando parole attraverso questi mezzi, sì, possiamo definirla amicizia. :)

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  4. Molto interessante questa intervista, complimenti a entrambi. Mi sono molto commossa per il racconto del bombardamento su Civitavecchia, sarà che mio padre, che era del 1924, mi raccontava sempre un momento analogo del suo periodo di guerra.

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    1. Addirittura del '24. Una fucina di esperienze. Il mio, come ho scritto nel post, era del '35 e aveva ricordi molto nitidi della guerra, nonostante fosse un bambino. Per esempio ricordava perfettamente lo sbarco degli americani in Sicilia. Quando ne parlava, lo ascoltavo sempre totalmente rapita. Anzi, mi sono fatta raccontare più e più volte tante sue esperienze. Lui ne aveva piacere.

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  5. Buonasera Luz.
    Che bello leggere del gran signore e grande persona qual è Vincenzo.
    Complimenti per questa prima parte che trovo magnifica.
    Ti seguo volentieri ed attendo il resto. Grazie di cuore e buona serata.

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    1. Grazie, Pia, nel post trovi il resto dell'intervista.

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    2. Luz grazie davvero. Qualcosa già sapevo ma vedere i suoi dipinti mi ha fatto piangere, non dirlo a Vincenzo però... 😉 Abbraccio.

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  6. Davvero una bella intervista. Non succede spesso di sentire raccontare i fatti drammatici di quel periodo su un blog, dalla viva voce di chi li ha vissuti. Grazie a entrambi.

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  7. Un’intervista molto interessante. C’è sempre molto da riflettere quando si legge la testimonianza di chi ha vissuto quegli anni. Sono rimasta molto colpita dalla terrificante descrizione del bombardamento di Civitavecchia, dal ritratto della povera gente stremata dalla fame con gli americani che inizialmente elargivano futilità e dall’aneddoto dell’incaricato di Cinecittà che invitava a sperperare danaro per dimostrare che nel Paese tutto stava prendendo una nuova piega (quando ci sono voluti decenni perché l’Italia uscisse dalla miseria). Ecco, la prima cosa che mi son detta è che l’umanità non impara mai nulla dai propri errori e certe scene di allora, certe ottusità, certi comportamenti tossici li ritroviamo ciclicamente nella storia e sono molto vivi ancora oggi. Aspetto la seconda parte, nel frattempo ringrazio di cuore entrambi.

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    1. Grazie, Clementina, nel post trovi il resto dell'intervista. Sono riuscita a integrarla senza tagliare troppo.
      Interessante perché tratta di scenografia e teatro.

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    2. La vita di Vincenzo è davvero avventurosa ed è stato un vero piacere leggere anche questa seconda parte dell’intervista. Due cose mi sono saltate subito agli occhi: è un uomo fortunato ed è anche un uomo a cui non è mai mancata la prontezza di spirito, la capacità di essere diretto e trasparente (cosa che apprezzo moltissimo); uno che sa il fatto suo e che non si lascia mettere i piedi in testa. Avrebbe avuto la stessa fortuna se fosse stato altrettanto preparato, ma meno impavido? Probabilmente no. Insomma, la buona sorte è amica di coloro che osano e lui è decisamente un tipo tosto! Tantissimi complimenti a entrambi! ^__^

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    3. Sì, è un mix di esperienza e carattere, in effetti.
      Grazie, Clementina! :)

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  8. Mamma mia, che vita! Questa è un’autobiografia in piena regola, peraltro davvero interessante. Hai avuto una bella pensata, Luana: intervistare Vincenzo ci porterà un sacco di sorprese, già questa prima parte con il racconto del bombardamento a Civitavecchia è un ricordo tristissimo, ma molto molto intenso e bello. Complimenti.

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  9. Eclettico davvero! Vulcanico ed esplosivo ma lo avevo già capito anhe dalle poesie che mete sul mio blog :)

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    1. Dal suo poetare in effetti emerge molto del Vincenzo che conosciamo!

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  10. Innanzitutto voglio ringraziare te, Luz per l'idea che hai avuto e per il peso che ti sei accollata. In merito ti giuro che ho cercato di essere leggero il più possibile. Mi sarebbe infatti piaciuto narrare dei miei amori infantili -quasi al ritmo di uno all'anno- perché da giovanissimo amante ero un gaglioffo, prepotente e parmaloso, tanto che mio padre temeva diventassi uno di questi bullacci, magari uno che "o me la dai o scendi". Mi ha trasformato in un essere civile Rosalba P. il primo vero amore della mia vita.
    Tutte le scuole sempre insieme, dalla seconda elementare fino alla maturità, dove feci il mio componimento di italiano (esentato dall'orale perché avevo 10) ed il suo. Fu il primo 8 in italiano scritto della vita scolastica di Rosalba, futura assistente di letteratura greca alla Sapienza, buona allieva anche lei di Agostino Masarachia. Piango dentro dal 1984, anche adesso, quando un cancro se l'è portata via. Un'amica vera, sincera, assoluta alla quale raccontavo tutto e lei a me tutti di suo. Ecco specifico: avrei voluto raccontare di lei. Ner avrei di argomenti buoni per un romanzo, ma appena incomincio a buttare giù una mezza idea mi si appanna il cervello e tutto scappa via: troppo interessato alla questione, troppo da presso.
    Ma forse è meglio così: sarebbe diventato qualcosa di eccessivamente personale e qualcuno avrebbe fatto sorrisini e smorfie. No, va bene così, ci hai indovinato tu.
    Sento parlare di amicizia tra noi. Chiaro che sì. Un istintivo feeling, anche se tu sei quella che ho iniziato da poco a frequentare, ma abbiamo molto in comune, tanti interessi e tu sei come me, assolutamente sincera e trasparente. Tu e Marina vi incontrate, credo. Mi piacerebbe una volta fare come una mosca per un po', poi mi piacerebbe spuntar fuori e farvi marameo.
    Ma capiterà. Con tante che ho conosciuto qui succederà.
    Per ora un GRAZIE grosso come un palazzo di sette piani per questo tuo bellissimo post che altamente mi onora e mi commuove.
    Un bacio e un abbraccio.

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    1. Sì, per ovvie ragioni doveva essere un'intervista che potesse suscitare interesse mediante riferimenti alla Storia, all'epoca, ai costumi di quell'epoca. Perché il merito di questa pubblicazione è tutta lì: la possibilità di avere un amico blogger che può raccontare tanto del secolo trascorso. E poi, come ribadisco, pubblicare un pezzetto della tua vita è stato un po' come un regalo fatto a mio padre per ragioni anagrafiche.
      Bello anche questo cenno che fai alla donna che tanto ha rappresentato per te. Grazie a te per esserti reso disponibile a questa piccola cosa, che aggiunge valore a questo posto.
      Magari vederci a Roma io, te e Marina! :)

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  11. Più che un'intervista, capitoli di romanzo. Davvero tutto bello e intenso. Mi ha solo sorpreso dover arretrare di un paio di decenni l'idea che mi ero fatto dell'età di Vincenzo, che seguo soprattutto attraverso i commenti che lascia sul blog di Patricia.

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    1. Anch'io sono rimasta stupita quando ho saputo che età abbia.
      Giovanile in tutto e per tutto. :)

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    2. Io mi ero fatto l'idea che fosse nato intorno al 1950.

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  12. Ho letto con attenzione, e anche con commozione, la narrazione di Vincenzo. Mi sono sentita coinvolta in modo particolare nel racconto degli anni di guerra, proprio perché mio padre era carrista in Libia e perché ho trovato e letto in tempi recenti tutta la corrispondenza della mia famiglia in quegli anni. Ma ho letto con altrettanto piacere, e con divertimento, il resoconto dell'avventura con gli amici in giro per l'Italia, e poi dell'esperienza in Germania. Un grande talento. Per combinazione anche mio padre aveva lavorato molto in Germania, ma non nella DDR.
    Grazie a entrambi per questa bellissima intervista. Anch'io, come Ivano, devo rivedere l'età del protagonista!

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    1. Grazie per aver apprezzato, cara Cristina.
      Il valore di questa intervista è innegabilmente legato a quanti ricordi possa suscitare in noi, anche solo per aver sentito fatti molto simili da un nostro genitore. Il Novecento è stato un secolo difficile, ricchissimo di eventi, è stato bello ospitare chi può raccontarne un bel po' fra quelli più significativi. Considera che l'intervista è stata adattata alle esigenze del blog, se Vincenzo potesse realmente parlare di sé, non basterebbe un volume della Treccani talmente vive intensamente. Stranissimo, ne parlo come se ci conoscessimo da sempre.

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  13. Vincenzo qui c'è tutto, anche se lui dice che avrebbe voluto raccontare altro, non rendendosi conto, così la vedo io, di come il suo "personaggio" riesca a prendere immediatamente spessore anche in un racconto limitato.
    E tu sei stata bravissima, ed è ancora poco dire "bravissima", a tirarlo fuori così vivo e schietto.
    Bravi, bravi, bravi.

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    1. Grazie, Sabina! Non è stato semplice racchiudere nello spazio di un post alcuni fatti significativi della sua vita, ma abbiamo provato.
      Felicissima che questo articolo abbia raggiunto il suo scopo. :)

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  14. E io riscrivo che avete dato una prova di bravura notevole, proprio nello scegliere e nel condensare nell' intervista, attraverso elementi parziali di una vita, un ritratto così efficace.

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