sabato 7 settembre 2024

Il vaso di Pandoro. Ascesa e caduta dei Ferragnez - Selvaggia Lucarelli


Seguiti, chiacchierati, invidiati, amati, odiati: Chiara Ferragni e Fedez sono tra i volti più noti del panorama social italiano, incarnando il paradigma moderno che muove la ricerca di visibilità e potere sulle piattaforme, dove l'essere percepiti come autentici non è solo una caratteristica apprezzata, ma anche una qualità strategicamente mercificabile. Coltivando la propria immagine pubblica per anni, attraverso una condivisione quotidiana di tutti gli aspetti della loro vita e della loro relazione, hanno trasformato i propri contenuti in un prodotto da consumare, creando e solidificando il legame con i follower al fine di renderli un capitale sociale da sfruttare economicamente per i propri progetti commerciali. 
Dalla prefazione di Serena Mazzini

In un paio di pomeriggi di luglio, mentre fuori imperversava il caldo torrido, ho letto una delle inchieste più discusse e di successo di questi mesi. L'autrice è Selvaggia Lucarelli, celebre personaggio televisivo e nota sui social per il suo stile diretto e assai spesso caustico. 
Non seguo in modo assiduo Lucarelli, forse per le polemiche gravitanti attorno ai suoi articoli innegabilmente livorosi, ma le ho sempre riconosciuto un certo fiuto nell'approcciare in particolare casi poco chiari riguardanti la beneficienza e l'impegno nel sociale. 
Lucarelli è poi brava a scrivere, la sua padronanza lessicale mi spinge a leggere, insomma non è una che si improvvisa. 
Da un paio d'anni in qua è anche legata a filo doppio con uno degli scandali più clamorosi degli ultimi tempi, la truffa del pandoro e delle uova di Pasqua con l'occhio sopra, a firma Chiara Ferragni. 

Qui devo fare una digressione che forse può chiarire il perché abbia letto questo libro. 
Cosa penso io di Chiara Ferragni?

Ferragni è una "imprenditrice" celeberrima, resa celebre dai profili social sui quali esiste da moltissimo tempo. Prima modella, fashion blogger e ragazza immagine, ha cominciato a costruire il suo brand in maniera massiccia nel 2010, proprio quando viene lanciato Instagram, l'applicazione che consente di pubblicare esclusivamente immagini, cui si aggiungeranno negli anni le "stories" e altro. Oggi su quella piattaforma Ferragni conta 28 milioni e 700 mila followers da tutto il mondo (che sembrano niente rispetto ai 638 milioni di Cristiano Ronaldo e ai 397 milioni della modella Kylie Jenner, ma è comunque un cospicuo numero).
La storia di Chiara Ferragni è inevitabilmente legata a una piattaforma social come Instagram: veloce, basata sulla diffusione massiva di immagini da tutto il mondo, intuitiva e quant'altro. Oggi possiamo dire, dopo 14 anni dalla sua fondazione, che Instagram è stato quel fenomeno che ha ingigantito in maniera esponenziale l'uso di immagini e video fra utenti di tutte le età e di tutto il mondo.
Dalla sua acquisizione da parte del team Zuckerberg nel 2012, dopo due anni in cui Instagram ha bruciato ogni record in fatto di diffusione, la piattaforma è stata ampliata, modificata, ottimizzata. Oggi conta più di un miliardo di utenti. 
Mentre Facebook è diventato sempre più una piattaforma su cui siamo rimasti noi, Generazione X (nati fra il 1965 e il 1980), e prima di noi i Boomers (nati dal secondo Dopoguerra fino al 1964), i Millennials, la Generazione Z e quelli che vengono definiti Alpha imperversano su Instagram e dal 2016 anche sulla piattaforma cinese Tik Tok. 
Va da sé che Instagram rappresenti un'opportunità molto preziosa, anzi fondamentale, per i "creatori di contenuti", che possono accedere a un bacino di utenti immenso per diffondere un prodotto. 




A contatto con alunni e alunne, mi sono imbattuta in Chiara Ferragni diverso tempo fa, quando venne fuori non solo dall'algoritmo che mi suggeriva di seguire chi fra i miei follower seguiva chi. 
Veniva fuori dai quaderni di Italiano con l'occhio Ferragni sopra, dai tanti "vorrei diventare come lei" scritti nei temi, dagli innumerevoli "vorrei fare tanti soldi come la Ferragni" nei dibattiti in classe. 
Ferragni se la contendeva con Ronaldo, insomma, fra i miei pargoli dagli 11 ai 14 anni, una "imprenditrice" influencer e un campione del calcio (che almeno possiede il talento nel piede).
Nei tg Ferragni faceva notizia durante le fashion week di Milano, Parigi, New York. 
- Sa, prof? È stata pagata un botto solo per andare a sedersi in prima fila!
- Sì, ma cosa fa questa Ferragni? Cosa produce?"
- Tutto, prof. Vestiti e accessori, trucchi e poi corredo per la scuola. 
- No, aspetta, questo quaderno è Pigna, non l'ha prodotto la Ferragni.
- Ah no? Beh, allora l'ha firmato, per questo costa il triplo dei normali quaderni. 
- Ok ok. Comincio a capire.

In quegli anni, sul profilo Instagram della bellissima Ferragni cominciava ad apparire il primo dei suoi due figli, Leone. Mi capitò di scorrere il feed e le storie. Il brand Ferragni occupava il suo storytelling quotidiano con una proporzione 1 a 10 rispetto al racconto del suo privato. 
Il bambino, Leone, era ripreso in ogni suo gesto e mossa, fotografato, instagrammato anche 5/6 volte in un giorno. Al suo brand e ai post in cui indossava vestiti e accessori altrui Chiara dedicava sì e no un post ogni due o tre giorni. Il resto solo Leo, Leo, Leo. 
I numeri erano stratosferici. Al pari dei gattini e degli incidenti stradali, l'innocente Leone faceva milioni di visualizzazioni e likes, con un consenso che cresceva esponenzialmente. 
Leo era pienamente nel gioco di mercificazione del "prodotto", raccogliendo simpatie e partecipazione, entusiasmo, affetto. Tutto per lui e per i celebri genitori, l'influencer e il rapper. 
C'è stato un periodo in cui seguivo una serie tv direi geniale, Black Mirror. Ebbene, si trattava di aberrazioni molto simili a quello che stava succedendo sul profilo della Ferragni, ma di questo ci accorgeremo solo dopo. 
Aggiungo un piccolo significativo episodio. Il 2 ottobre 2020 pubblico in un gruppo Fb riservato una foto, quella che ritrae il piccolo Leone che sventola una foto dell'ecografia della sorellina, allora un feto di poche settimane subito "instagrammato". Chiara lo ha pubblicato sul suo profilo, i like sono milioni ovviamente, gli auguri centinaia di migliaia. È una notizia appetitosa per il suo storytelling
Ovviamente sarebbe troppo poco fare un reel con se stessa che dà l'annuncio, meglio mettere in mano a Leo una foto dell'ecografia e lanciarla nell'universo web. 
Scrivo un commento alla foto, manifestando il mio disagio verso l'immagine. Invito tutte (è un gruppo femminile) a cercare di non pensare si tratti di Ferragni, altrimenti diventa l'apologia dell'influencer. 
Vi riporto alcuni commenti.
  • Io lo trovo tenero, al suo posto avrei fatto lo stesso. Non sempre è un'imprenditrice, a volte è anche solo e semplicemente una donna e una mamma.  
  • C'è pieno fra le mie amicizie di gente non famosa che posta foto di figli ed ecografie. Non mi scandalizzano così come non mi scandalizza lei. 
  • Io non ci trovo proprio niente di male... fra tutti i personaggi pubblici lei la trovo fantastica.
  • Nulla di strano, sui social ci sono milioni di madri e padri che fanno la stessa cosa.
  • Meglio lo facciano loro e non fotografi che li assedierebbero. 
  • La verità è che si parla di Chiara Ferragni, quindi quello che fa è messo alla gogna. 
Ecc. ecc. 
Per fortuna, ci fu anche chi concordò pienamente, ma in percentuale assai minore rispetto alle estimatrici e Ferragni addicted. 
Il fenomeno era tale, di una tale portata, da rendere ovunque in rete aggressivo chi non era dalla parte di Ferragni. I suoi followers erano una fiumana di difensori dell'impossibile. Chi criticava o mostrava qualche perplessità era "invidioso", "bacchettone", "polemico". 
Il parere di gente esperta, come di chi si occupa di tutela dei minori online, di chi afferma che c'è un problema rispetto al controllo dei dati, della privacy, dei diritti più elementari, non veniva nemmeno preso in considerazione. Ferragni è Ferragni: è una "che si è fatta da sé, imprenditrice", è bella, dolce, simpatica, buona e generosa, quindi può tutto. Perfino mostrare le immagini della propria bambina ricoverata d'urgenza in ospedale, mentre al collo, occultamente si sta pubblicizzando un collier. 
Ecco, questo era il prima
Poi la caduta. 
Andiamo al libro di Lucarelli. 


La clamorosa, e forse prevedibile, caduta di Ferragni.
 
Lo scintillante mondo dell'influencer da quasi 30 milioni di followers e un fatturato (dichiarato) di 19 milioni di euro annui si incrina e poi crolla con il "caso Balocco"
Nel dicembre 2022 la Balocco affida a Chiara Ferragni il lancio di un pandoro griffato col suo logo, il Pink Christmas, e lei non sa di stare facendo il primo passo verso la fine. 
Non ci sono slogan, solo l'invito, attraverso foto e video, di acquistare a circa 10 euro il pandoro firmato, i proventi delle vendite saranno devoluti all'Ospedale Regina Margherita di Torino
In realtà, Balocco ha fatto una donazione di 50 mila euro all'ospedale, sei mesi prima del lancio, e Ferragni prende dalla Balocco un milione di euro circa per l'uso della sua immagine e del celebre "occhio" sul pandoro. Insomma, una truffa bella e buona, aggravata dal dettaglio non da poco della beneficienza, della generosità. 
Il caso Balocco è stato l'assist per arrivare anche alle uova di Pasqua. Stesso refrain, stessa truffa. La Giochi Preziosi coinvolta nell'indagine dell'Antitrust assieme alla beniamina dei social. 
Fu proprio Selvaggia Lucarelli a fare la prima indagine, contattando l'ufficio stampa della Balocco. Attraverso quel primo contatto, viene a sapere non solo dell'opacità attorno alla campagna pubblicitaria, ma del veto posto dalla società di Ferragni, che ha imposto di gestire mediaticamente l'intera operazione. 

Lucarelli smaschera la collaborazione, che è esclusivamente commerciale e non di natura benefica.
Codacons e Antitrust faranno il resto, accedendo a contenuti, scambio di telefonate e email, setacciando, passando poi il tutto al tribunale di competenza. Occorre del tempo, un anno circa, e il caso esplode lo scorso dicembre.
Ferragni ha mentito. Ha mentito ai suoi milioni di followers, intascando cifre da capogiro millantando una generosità inesistente. Si è come autosabotata, è implosa assieme al suo mondo fatto di nulla, di virtualità. Perché "fatto di nulla"?, si potrebbe obiettare. Ci sono società, un brand, proprietà immobiliari, un'immagine capace di fatturare milioni. 
Perché quello che accade dopo è, paradossalmente, l'aspetto più clamoroso. Vediamo perché. 
Dinanzi a un grave incidente un imprenditore ricorre a società esperte di crisi delle imprese. Non sono pochi gli imprenditori, quelli veri, che hanno affrontato tempeste e crisi di vario tipo. Crisi di immagine, crisi delle vendite, crisi familiari. Ci sono esperti, molto ben pagati, che si assumono il compito di risollevarne le sorti. 
Nel caso Ferragni, e visto che trattasi di influencer da molti milioni e quindi in grado di pagare, la normalità sarebbe stata rivolgersi a una di queste società. A maggior ragione perché il suo brand è legato particolarmente all'immagine social, e quindi alla reputazione della persona al vertice: la figura di esperto di crisis management è fondamentale. 

Uno di questi esperti, Alberto Mattia, viene intervistato da Lucarelli.
La gestione della crisi non si limita alla comunicazione a tutela della reputazione. È richiesto un coordinamento trasversale su diversi aspetti, come ad esempio saper agire sotto pressione in assenza di certezze. [...] Gli impatti che possono derivare da una crisi sono molteplici (perdite economico-finanziarie, ricadute commerciali, ripercussioni legali, danni alla reputazione, ecc.) e questo obbliga a riflessioni specialistiche che necessariamente devono essere indirizzate e persone con competenze e prospettive differenti. Se manca una visione d'insieme, si rischia di aggravare la situazione. 
Il caravanserraglio Ferragni invece fa tutto da sé e fa un disastro clamoroso. L'arroganza del suo manager di punta, Fabio Maria Damato, colui che negli anni l'ha fatta diventare l'influencer che sapevamo fosse fino a qualche tempo fa, indirizza Ferragni verso un suicidio mediatico che prende forma nel video grottesco di lei con capelli scomposti e tuta grigia. Ci dice Alberto Mattia:
Ferragni dà l'ennesimo spaccato (non richiesto) della sua vita privata, mostrandosi in tenuta da casa, e parla nell'ordine della sua fortuna, della famiglia e dei figli, per poi arrivare ad annunciare di voler rimediare con una donazione di un milione di euro, fornendo ai suoi detrattori l'occasione di sostenere come lei non abbia minimamente compreso la natura del problema (con il sottinteso, nemmeno troppo velato, che quindi sia anche priva di strumenti per risolverlo).

 

Un fotogramma dal video in tuta grigia

Insomma, davvero un grottesco modo di affrontare la cosa, se pensata da parte di una "imprenditrice" del suo livello. Quando invece un imprenditore, uno vero, ben guidato e consigliato in una "crisi reputazionale", deve affidarsi alla regola delle tre R: recognize, regret and resolve
Deve cioè anzitutto riconoscere di avere torto, di aver commesso un errore grave (non come la buona Chiara, che parlò di "errore di comunicazione"), deve comunicare un certo pentimento per aver sbagliato (cosa che la nostra non ha fatto) e quindi procedere alla risoluzione, riprendendosi la stima del pubblico. Come afferma Alberto Mattia, dovrebbe essere capace di mettere da parte il proprio ego. 
E però, forse, non sarebbe stato nemmeno così semplice nel suo caso. Perché la polvere sotto il tappeto non riguarda solo i casi Balocco e Giochi Preziosi. Il vaso di Pandor(o/a) è stato aperto e vengono fuori tutte le "opacità" del passato. Eccone alcune:

- Terremoto del 2016: Ferragni collabora con Tod's lanciando un progetto di raccolta fondi per i terremotati. L'influencer non inviò nulla stando a quanto fu raccolto nella ricostruzione. 

- Fondazione Soleterre per il diritto alla salute dei bambini, dicembre 2017: Ferragni promette di devolvere l'intero ricavato della vendita dei suoi abiti per tutto il mese di dicembre, ma la Fondazione Soleterre dichiara di aver ricevuto poco più di quattro mila euro.

- La bambola Trudi con le sue fattezze, 2019: indagine tutt'ora in corso da parte della Procura di Milano; l'intenzione dichiarata pubblicamente era quella di devolvere i profitti delle vendite online dal suo sito personale a un'organizzazione americana che combatte il bullismo (c'è un video in cui non specifica neppure che trattasi delle sole vendite dirette dal suo sito); la detta associazione, contattata, dice di non aver ricevuto nulla e i rapporti di collaborazione con Trudi restano poco chiari.

- I biscotti Oreo, 2020: Ferragni riceve il solito cachet per l'utilizzo del suo "occhio" sui biscotti e annuncia di devolvere in beneficienza il ricavato della vendita di abiti col suo brand; in ogni video e post compare Oreo che intanto paga per essere mostrata; un ulteriore momento in cui la beneficienza non si distacca dal business. 

- L'incubatrice, 2021: a seguito della pubblicazione di immagini troppo intime della sua bambina ricoverata d'urgenza, molti commenti sono sfavorevoli: Ferragni decide di riparare con la "beneficienza", ancora una volta vuole vendere i propri abiti usati (il grosso da sempre un regalo delle aziende, mai acquistati da lei) e devolvere il ricavato all'ospedale... per un'incubatrice nuova di zecca. In ogni immagine la sigla di #adv di sponsorizzazione aziendale. 
Lasciamo perdere la vendita di magliette a favore di Haiti nel 2010, il caso del disco Le palle di Natale del 2017, il compleanno al Carrefour con i reparti di frutta e verdura vandalizzati dalla coppia d'oro e poi per riparare ai commenti negativi con l'ennesimo gesto di "beneficienza". 
Mi fermo perché si sarà capito il tenore di questi "progetti benefici". 

Giulia chi?
Le testimonianze degli ex dipendenti poi completano il quadro. Una su tutte: quella della responsabile dei contenuti del sito The blonde salad. Entra nell'azienda con uno stage a 300 euro al mese e lavora fino a 8 ore al giorno per un anno a questa cifra ridicola. Dopo un anno le offrono 1500 euro al mese a partita Iva. Ha un figlio. A tre mesi dal parto le propongono l'incarico di content manager ufficiale del sito, alla cifra generosa di 1600 euro al mese. Senza rimborsi spese. Dice che ci deve giustamente pensare e dodici ore dopo le comunicano che la proposta è revocata. Ne chiede il motivo e la risposta è che avrebbe dovuto accettarla al volo, che è un prestigio lavorare per Chiara Ferragni, una fortuna insperata per la quale c'è la fila fuori dalla porta. 
Alla faccia del "sentiti libera" sciorinato a Sanremo. E alla faccia di tutte le buone cause che Ferragni dice di aver sostenuto legate al mondo femminile e dei diritti delle donne sul lavoro. Osceni. 
Qui si potrebbe obiettare che di tutto si occupava il suo prezioso Damato, aveva lui la gestione del personale e Chiara... non ne sapeva niente. Però, che grande "imprenditrice": uno staff al vertice di pochissime persone e lei non sa neppure come si chiami la ragazza di cui stiamo parlando, la responsabile dei contenuti del suo business/blog. Giulia chi? chiederà a sua sorella Valentina, quando questa le dice che Giulia è incinta. 

L'abbandono
Con il manager Damato lo scorso anno
Quando il caso Balocco deflagra, pubblico e privato di Chiara Ferragni affondano con lei. Il team del vertice si sfalda, il famoso Damato se ne va, abbandona la nave nel momento più difficile, così come fa il prima innamoratissimo Fedez, che lascia la moglie e si affretta a svolazzare (Lucarelli lo descrive come una falena che ha bisogno del luccichio altrui) verso un altro luogo, altre amicizie, forse nuove relazioni, e perfino incidenti come il pestaggio che lo vede coinvolto. 
Nello stesso periodo i principali marchi si affrettano a chiudere i contratti con il gruppo Ferragni, in particolare con Fenice, che gestisce il marchio. 
Chiudono i contratti Pantene, Tod's, Safilo, Pigna, Coca Cola ritira gli spot già pronti, nessun rinnovo con Nespresso
Il celebre negozio di Milano, Chiara Ferragni Store, preso di mira qualche settimana fa con atti vandalici ma in realtà mai pienamente decollato, chiuderà entro l'estate. 
Il danno economico è ingente, assieme a un'immagine ormai appannata e un profilo che perde followers e viene assalito da commenti al vetriolo. Al momento le perdite ammontano a circa sei milioni di euro, ma è una cifra destinata a salire e forse l'aspetto meno importante di tutti dinanzi al danno reputazionale. 
Una débacle totale in grado di lasciare attoniti addicted, detrattori e indifferenti. 
Non è servito nulla di ciò che Ferragni ha messo in atto finora, dal famoso video/disastro all'ospitata da Fazio, cosa evitabile per l'assenza di argomentazioni. Né nelle settimane estive il mostrarsi con gente comune, come a dire "sono una di voi!", che è una cosa non vera per un milione di ragioni. 
Dall'uscita di suo marito dalla sua vita sono terminati i video dei suoi bambini, che vengono mostrati solo di spalle, prova evidente di una separazione in atto. Che differenza da quella sovraesposizione, Ferragni perde la sua gallina dalle uova d'oro, il suo storytelling ormai è povero, fatto di nulla o poco altro. Privata di marchi, collaborazioni commerciali e possibilità di sovraesporre i bambini, Ferragni resta quasi una donna come tante, un'influencer come tantissime. 

Fra coloro che le sono rimasti fedelissimi c'è chi scrive cose come "i veri problemi sono altri", "che schifo questo accanimento", "pensassero ai veri truffatori dello stato", ecc. 
Ma non è che Chiara Ferragni debba diventare un capro espiatorio, il punto è, ammesso che si arrivi a capirlo, che questa implosione è figlia di se stessa, è esattamente quello che accade quando si costruisce un "impero" sul niente. E poi quando si millanta una beneficienza che non esiste. 
Chiara Ferragni è un'immagine, bidimensionale e piatta, fatta di questo "nulla" social, senza un vero talento, senza nulla che sappia fare, senza neppure l'intelligenza di sapersi circondare delle persone giuste. Possibile? Sembra incredibile, ma è assai probabile. 
Un "nulla" tipico di questo tempo di mancanza di valori e totalmente dipendente dai milioni di clic dei followers. Alla fin fine quasi un simbolo del nostro tempo, la riprova della sua artificiosità e la conferma che abbiamo il dovere di fronteggiare e mettere in guardia i giovani da certi fenomeni. 
È la cosa che fa pensare di più e mi ha stupito di più leggendo questo dettagliatissimo dossier. 
Quello che le è accaduto non racconta solo di lei, racconta la nuova società, l'evanescenza del successo ai tempi dei social, racconta chi siamo noi, anche. Siamo noi, in fondo, ad aver consegnato quel potere a una influencer credendo a ogni cosa che ci diceva, e siamo noi che glielo stiamo togliendo non credendo più a nulla. Il patto di "sospensione dell'incredulità" è ormai tradito. 

 Cosa pensate di questa faccenda?

30 commenti:

  1. Articolo splendido: esaustivo e dettagliato. Complimenti.

    Credo che la vicenda Ferragni non vada sottovalutata né liquidata semplicemente come irrilevante, ma vada analizzata con una certa attenzione. Viviamo nella civiltà dei social, di internet, della comunicazione veloce e immediata, che per motivi antropologici il nostro apparato cognitivo non è in grado di gestire compiutamente, col risultato di venirne "travolto". I milioni di ragazzi e ragazzini che idolatrano questi nuovi eroi del nulla, che costruiscono imperi mediatici e commerciali sul nulla, ne sono la dimostrazione.

    Complimenti di nuovo.

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    1. Andrea, grazie per aver apprezzato. Hai colto pienamente il perché mi sono incuriosita attorno a questa triste vicenda. Come insegnante non posso fare a meno di guardarmi attorno, di cercare di capire chi siano i personaggi di cui alunni e alunne parlano. Ferragni è stata (e spero si possa dire al passato in via definitiva) un'icona perfetta di questa virtualità, un modello negativo dinanzi a tantissimi giovani portati a vedere in questo suo mondo patinato il meglio che si possa sognare. La fatica che facciamo nel cercare di trasmettere valori e concretezza viene già messa alla prova per tutto un "ambiente" (sociale, spesso familiare) in cui non ricevono insegnamenti che li fortifichino, questa virtualità va a porsi in mezzo alla débacle. Ecco perché si deve parlare del fallimento di questo brand.

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  2. Sono d'accordo con Andrea, sopra: è un articolo perfetto, pubblicabile su un giornale o su una rivista.
    La parte conclusiva del post racchiude tutto ciò che penso anch'io: questo è il tempo del nulla, dei valori azzerati, delle apparenze costi quel che costi e tale vicenda ne è proprio l'esempio più evidente.
    La Ferragni imprenditrice aveva il mio rispetto, ma ne è rimasto ben poco dopo lo schifo che è venuto fuori. Solo la sovraesposizione di sé e della famiglia mi metteva a disagio, ma gli errori prima o poi si pagano. Mi dispiace, perché il lato umano andrebbe trascurato, però non quando fingi innocenza mentre fai la furba giocando sporco col prossimo.

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    1. Una sintesi di questo saggio inaspettatamente interessante. Mi rendo conto di essermici dedicata anche con un certo accanimento, perché mi serve come strumento per parlarne in classe. Eccome se ne parlerò. Mi capita di parlare di questa virtualità e finzione cercando di metterli in guardia, ma il caso Ferragni è uno di quelli ghiotti a riprova di quanto diciamo. È utilissimo e andava "studiato" in certo senso.

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  3. Detto con la massima sincerità, mi viene in mente un gregge di pecore, anche abbastanza stupide. I suoi followers più ossessivi al primo posto, ma anche i tanti pseudo-giornalisti che puntualmente piazzavano su rai news o ansa (doppiamente colpevoli e stupidi in quanto informazione pubblica) i loro post come "notizie di costume".
    Personaggi degni della decadenza da basso impero in cui ormai versa il nostro paese, e includo anche la Lucarelli che di prassi fa la giustiziera del web coi ladri di galline (una si è anche suicidata ma tant'è, cosa gliene può fregare alla redattrice del quotidiano più squallido d'Italia, perché dovrebbe porre limiti ai propri deliri di onnipotenza?)
    Francamente credo che siano tutti personaggi degni del film "Il falò delle vanità", se lo hai visto capisci certamente ciò che intendo.

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    1. Ho cercato di non lasciarmi distrarre dalle polemiche attorno a Lucarelli, che come ho scritto certamente ha le sue pecche nei modi e nel suo operato. Proprio il suo metodo da rottweiler che non molla ha permesso di smascherare questa truffa, quindi non posso che esserle grata in questo frangente. E poi sì, concordo in pieno. Un caravanserraglio osceno, tutto e tutti senza distinzione. Come comune cittadina questo caso mi avrebbe sfiorata, come insegnante ed educatrice non posso permettermelo. Come scrivevo sopra, è un caso utilissimo da utilizzare in classe a supporto delle nostre lezioni su questo mondo falso di modelli diseducativi.

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  4. Devo essere sincero: ho iniziato a leggere il post, ma mi sono immediatamente arenato e l'ho abbandonato. Mi annoiano e mi intristiscono questi personaggi; e mi annoiano e mi intristiscono ancor di più tutti coloro che li seguono, i cosiddetti follower. E' un mondo che sta ad una distanza siderale da me...e dal mio mondo. Anche se appartengo a questo mondo. Mi domando e vi domando: ma se questi sono gli "eroi del nulla" che stanno rimbambendo un'intera generazione, se i follower sono un "gregge di pecore" perchè se ne parla? Se nessuno ne parla e nessuno ne scrive e nessuno li mostra in televisione, questi non esistono. Siamo noi che diamo loro visibilità e importanza. Mi fate ricordare quel tale che, per accusare coloro che sporcavano i muri con graffiti, andava scrivendo, lui stesso, sui muri "è scemo chi scrive sui muri". Siamo noi genitori che diamo l'esempio ai nostri figli stando sui social - come loro - e sempre chini su un cellulare. Ma sti social servono davvero? E a chi? Aboliamoli!

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    1. Pino, mi trovi d'accordo su tutto. Il punto è che il caso in sé è troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire. Non ero convinta di leggerlo, benché incuriosita, poi l'ho letto perché non contiene solo il racconto della deflagrazione, ma diversi capitoli riguardanti il "come è fatto questo mondo" e come può sorgere su nulla. Ecco, è una sorta di inchiesta utilissima nel mio lavoro di insegnante. Come ho scritto nel post (non so se eri arrivato a quel punto), Ferragni ha cominciato a comparire da qualche anno in temi e discussioni in ambito scolastico e avere per le mani la storia della sua ascesa e caduta è uno strumento preziosissimo.

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    2. Ha ragione Pino. Sono sempre gli altri che bagliano perchè stanno sui social e perchè stanno sempre con un cellulare in mano. Ferragni o non Ferragni...E noi? Mai un'autocritica. Eppure anche chi spara a zero sulla "civiltà dei social" li utilizza eccome questi benedetti social. Però li usa meglio, a parer suo. Come se esistesse un modo giusto e un modo sbagliato per stare su facebook o su istagram o su vattelapesca. Smettiamola di essere ipocriti e facciamo tutti un esame di coscienza. E poi ne parliamo.
      Giu.

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    3. "Eppure anche chi spara a zero sulla "civiltà dei social" li utilizza eccome questi benedetti social". Esattamente come hai fatto tu commentando questo post. Può anche darsi che esistano persone che cercano di farne il migliore uso possibile e magari ci riescono. Definiamo "migliore uso possibile" (che non significa "uso perfetto"): seguire pagine o profili a contenuto divulgativo - vedasi i vari Tlon, Geopop, Factanza, Dataroomgabanelli, Ecogreen, La fisica che ci piace, caffé letterari vari, seguire la traduttrice Laura Bartoli esperta in usi e costumi d'epoca vittoriana, la fotografa e reporter Lyndsey Addario, The Globe Theater, il Salone del Libro, pagine di quotidiani, editoriali ed editori, perfino Giallo Zafferano. Ma potrei citarti molto molto altro. Personalmente curo una pagina Instagram di libri e una di teatro (le mie attività fra laboratori e produzioni).
      Se siamo parte della "civiltà dei social", questa è fatta anche di ottimi contenuti. Qui si parla del marcio, una parte cospicua di questo mondo purtroppo specchietto per le allodole di tanti adolescenti. Una parte che, anche se non seguiamo e non ci interessa, noi educatori e insegnanti dobbiamo conoscere almeno da molto lontano, sapere "di cosa si tratta" e avere strumenti per decostruire questo ambiente dannoso.

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    4. Mi par di capire che se uno segue la Ferragni è sbagliato (e secondo me lo è), se invece segue "i vari Tlon, Geopop, Factanza, Dataroomgabanelli, Ecogreen, La fisica che ci piace, caffé letterari vari, seguire la traduttrice Laura Bartoli esperta in usi e costumi d'epoca vittoriana, la fotografa e reporter Lyndsey Addario, The Globe Theater, il Salone del Libro, pagine di quotidiani, editoriali ed editori, perfino Giallo Zafferano. Ma potrei citarti molto molto altro. Personalmente curo una pagina Instagram di libri e una di teatro (le mie attività fra laboratori e produzioni)" e chi più ne ha più ne metta.... è giusto. Ma non è così semplice! Qui stiamo parlando di dipendenza da questi strumenti on line. E c'è dipendenza sia nel primo caso che nel secondo. Sono due modi, sbagliati, per estraniarsi dalla realtà. Anche chi sta apparentemente dalla parte giusta, usa i social in maniera ossessiva e sbagliata, a cominciare dallo scrivente. Veniamo risucchiati in una spirale dalla quale è difficile uscire, e siamo fregati. Tutti.
      Giu.

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    5. Infatti non è mai neppure una questione di "giusto o sbagliato". È una questione complessa che ci rende tutti, chi più chi meno, dipendenti da questi strumenti o perlomeno fortemente attratti da questo mondo. Ma perché demonizzare a prescindere? Essere perennemente connessi è qualcosa di inquietante, per non dire della reperibilità sul lavoro (ci sono contratti interni nelle scuole in cui c'è scritto a chiare lettere che è necessario dare la propria disponibilità alla reperibilità pressoché h24), il lato oscuro dell'accesso alla rete, troppo facile, troppo "intuitiva" e pertanto fatta per accalappiarci... Questo è ciò contro cui è ormai difficile lottare. Che siamo dei tossici della rete è indubbiamente vero, non saremmo qui a scrivere.
      Dopo questo sguardo a 360°, che dovrebbe portarci a disconnetterci e basta, continuiamo a connetterci. Allora perlomeno cerchiamo di farne un uso costruttivo. Un uso costruttivo per me è anche tenere questo blog, dare un'occhiata se qualcuno commenta per rispondere poi. Seguire il master online sull'intelligenza emotiva, ecco un'altra cosa per me costruttiva. Se dobbiamo dichiararci dipendenti dal mezzo, eccomi, non mi esimo.

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  5. Posso essere d'accordo, dal tuo punto di vista di insegnante, sull'avere in mano strumenti precisi per affrontare e smontare il fenomeno. Per il resto, tutto il resto, no.

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    1. Purtroppo non ho afferrato del tutto. Su cosa esattamente non sei d'accordo?

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    2. Hai ragione, ti ho liquidato in fretta.. forse perché non sopporto offrire spunti, spazi e ulteriore pubblicità a certi soggetti.. non andrebbero neanche studiati ma affidati all'oblio e all'effimero che tanto curano, con le loro stesse armi. I brand che falliscono e le icone che svaniscono vanno protette e incentivate.. parlarne va bene forse nel tuo campo, a scuola, dove purtroppo il terreno è fertile, per sbeffeggiarle e metterne a nudo la vacuità. Altrove non devono meritare neanche l'accenno. Perché campano di eco, e il loro richiamo deve ammutolirsi come un urlo nell'oceano.

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    3. Non concordo con Franco. La vicenda Ferragni ha avuto un impatto sociale enorme, non credo che parlarne significhi regalarle pubblicità. Anche perché è difficile regalare pubblicità a chi ha già decine di milioni di seguaci sui social, senza contare che è lei che presta (anzi, prestava) la sua immagine ad alcune delle più blasonate aziende italiane e straniere. Come si può pensare che si possa regalarle pubblicità?

      Io penso che non si risolva un problema evitando di parlarne, ma parlandone, studiandolo, mettendo alla berlina i meccanismi truffaldini che ne stanno alla base e tramite i quali tanta gente è stata raggirata.
      Credo anzi che se di questi fenomeni sociali si parlasse di più, forse ci sarebbero meno vittime di queste truffe. Ecco perché penso che Selvaggia Lucarelli abbia fatto benissimo a scrivere quel libro e Luz ha fatto altrettanto bene a dedicarle un post così esaustivo.

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    4. Rispettto ma non condivido a mia volta, la dimostrazione è il tuo avere dubbi sul regalarle ulteriore pubblicità. Questi soggetti campano di spazio pubblicitario, citazioni, richiami, tag. Altre volte ti ho già velatamente rimproverato sulla controindicazione del sottolineare altri episodi beceri. Ti ricordi l'ondata di suicidi militari? Il silenzio avrebbe disinnescato l'emulazione. Qui la cosa è infinitamente meno grave, ma il principio il medesimo. Seppellire (mediaticamente) la ferragni è il danno peggiore che si possa procurarle. E sto sbagliando anche io a insistere.. poi ovvio, ognuno benpensa a modo suo..

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    5. Mi trovo in linea col pensiero di Andrea. Dopotutto, parlarne mentre Ferragni era all'apice le donava quella luccicanza anche come detrattori, perché la schiera nutrita dei difensori comunque avrebbero gonfiato la sua immagine. Oggi parlarne non significa solo dire "non sono d'accordo col come si pone" ma "vi racconto come è precipitata questa influencer" che è tutta altra storia. Io stessa, leggendo questo libro, ho appreso come funzionano le tante dinamiche di questo mondo controverso, non avrei potuto capire come è fatto senza questa inchiesta. E poi, come hai compreso perfettamente, per me è stata un'esperienza preziosa di lettura per il mio mestiere e la mia funzione.

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    6. Io invece sono totalmente in linea con il pensiero di Franco. Diceva Oscar Wilde: parlate pure male di me, purchè ne parliate. E la Ferragni ha fatto suo questo aforisma. Così come tutti quelli - e sono tanti - che vivono esclusivamente di visibilità e che, invece, andrebbero oscurati.

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    7. L'aforisma di Oscar Wilde "Parlate pure male di me, purché ne parliate" poteva valere fino ai primi anni del Duemila, ma l'avvento della rete e dei social media ha cambiato tutto, soprattutto per chi utilizza la propria reputazione per vendere. E proprio questo fanno gli influencer come Ferragni. Finché il business funziona, l'influencer posta contenuti e aumenta le vendite del brand che pubblicizza, un certo numero di haters è normale. In quel momento, parlarne male aumenta le visualizzazioni anche positive, incrementa gli introiti e il numero di aziende interessate a collaborare con lei. Ma parlarne male adesso - che poi non è parlarne male ma riferire dati oggettivi, risultanti dall'indagine di Lucarelli in primis, e dalla magistratura in seguito - non sta facendo il suo gioco. Il suo gioco è finito nel momento in cui le aziende le hanno cancellato tutti i contratti. Un influencer vive di contratti, non di visibilità e numero di follower, anche se sono questi a consentirle di arrivare a firmare contratti. Parlarne adesso significa analizzare quanto è successo con l'ottica che non accada mai più. Per anni gli influencer hanno guadagnato sulla mancanza di una legislazione specifica del loro lavoro. L'obbligo di mettere l'hashtag #adv in un contenuto sponsorizzato è recente, prima era solo scrupolo personale dell'influencer. Dichiarare che un tale prodotto è stato creato per la beneficenza - o non dichiararlo, ma farlo comunque credere, perché in genere funziona così - è reato, truffa aggravata. E se ne deve parlare eccome. I ragazzi, che non hanno ancora sufficienti strumenti per comprendere la cosa e si sono lasciati abbindolare dalle copertine luccicanti con l'occhietto azzurro, devono essere guidati nell'analisi di quanto è accaduto. Non parlarne sarebbe peggio: non resterebbero testimonianze in rete per il futuro (i quotidiani non lasciano tutto l'archivio online per questioni di costi) e lei potrebbe "rifarsi la verginità commerciale". E' il momento di parlarne, regolamentare queste attività e porre dei paletti.

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    8. Bravissima, Barbara. Tu hai saputo scriverlo, hai dato forma al mio pensiero con molta precisione.

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  6. Lasciami dire che la foto che hai scelto per questo post è davvero molto potente. Dice tutto in un frame. La caduta della Ferragni e l'insostenibile leggerezza di un mondo, quello dei social, che appare irreale ma che di tanto in tanto alla realtà è costretto a tornare. Sembra incredibile che una manager così di successo si sia affidata a mani così superficiali e inesperte, ma se posso dire, la responsabilità è innanzitutto sua. Mi fa tornare in mente quei personaggi sportivi, molto spesso calciatori, che trovano un successo subitaneo e tanto grande da travolgerli, perché essi stessi non hanno strumenti per affrontarlo. Sembrava diversa, ma non lo era. A mio avviso avrebbe dovuto verificare se lo storytelling che narrava , di cui va fiera e che le procurava tante soddisfazioni, fosse davvero basato sulla realtà delle cose. Ha fallito come manager e come comunicatrice: la prima regola è la veridicità di ciò che si sostiene, sui social come nella vita reale. Mi spiace invece vedere che tutto il suo mondo è stato spazzato via, compreso quello affettivo. Non conoscendo la situazione, non aggiungo altro ma certo la frana è stata davvero corposa!
    Brava la Lucarelli, coraggiosa anche se spesso insopportabile; ha trovato il modo di comminare una pena esemplare, bypassando il velo di euforia che intorno a lei milioni di persone, non solo ragazzine, aveva elevato, trasformandola in una guru. Forse per lei era davvero troppo.
    Commento a latere: sarà il rientro frizzantino dall'estate, ma anche io domani esco con un post su gossip, Instagram e potere :D

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    1. Pensa che ho scattato quella foto a Bressanone, a una vetrina di un ottico molto elegante. Occhiali Ferragni in prima fila e con quello sconto clamoroso. È come dire "dimmi che la Ferragni è caduta senza dirmi che la Ferragni è caduta". :)
      Sì, non siamo nuovi a queste notizie, ma forse mai prima d'ora c'era stato un evento così clamoroso. Non dimentichiamo che Ferragni nello stesso anno era stata accolta a Sanremo come fulgida stella portatrice di messaggi sui diritti umani, splendida e inossidabile, perfetta. E pochi mesi dopo è cominciato il suo declino, la sua implosione. E questa cosa del non avere saputo affidare la vicenda nelle mani giuste è ciò che mi ha impressionato di più, perché svela tutta la precarietà e fragilità di questo ambiente.

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  7. Vabbè, già descriverla come una che si è fatta da sé fa ridere. La Ferragni non è una poveraccia qualunque diventata famosa per caso facendosi dei selfie, è il risultato di un esperimento di marketing della Bocconi, evidentemente ben riuscito, e nell'ambiente lo sanno tutti. Poi basta vedere le sue origini. Con queste premesse il passo falso prima o poi era inevitabile.

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    1. Sì, era la base di questo storytelling costruito su fondamenta in realtà fragili: si è fatta da sé, è un'imprenditrice, ecc. Chiacchiere senza fondamento, perché il background era di quelli patinati, fortunati. Ricordo di avere dedicato un post a quella precoce laureata in medicina passata per una piccolo genio perfetto e invece poi dietro ci stava una famiglia borghese, fortune, amicizie, contatti. Il successo vero è di chi viene fuori dal nulla e costruisce davvero qualcosa. Insomma, non è il caso della Ferragni.

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  8. Seguo Selvaggia Lucarelli su Facebook, sì, è parecchio caustica, ma ahimè ci azzecca. E quando ha iniziato a "indagare" sulla Ferragni era impressionante leggere i commenti sotto, a difesa dell'influencer modaiola. Vorrei vedere cotanta passione per la cosa pubblica, forse risolveremmo gran parte dei problemi del Paese...
    Che Ferragni abbia avuto la sua esplosione sui social media con Instagram sì, ma lei era già presente e ben attiva anche prima. Aveva già sperimentato il blog, dove aveva cominciato a pubblicare i suoi outfit già a 16 o 17 anni, se ricordo bene, prima ancora di aprire quello ufficiale The Blonde Salad. Non è nemmeno un'imprenditrice "fatta da sé" perché se da ragazzina la tua mamma ti regala borse di lusso e sei abituata a frequentare certi ambienti, Bocconi compresa, capisci che parti già avvantaggiata rispetto al figlio dell'operaio che deve ottenere la "borsa" di studio per non finire in fabbrica. Certo, rispetto ad altre ragazze benestanti lei ha colto l'occasione di investire nel web, magari anche solo per noia del momento.
    Ci vorrebbe un capitolo a parte per l'esposizione dei minori in rete, come il povero Leone, brand inconsapevole, e l'ecografia sventolata: parecchi genitori non si rendono conto dei rischi connessi alla privacy, senza contare il diritto dei loro figli di avere un futuro digitale pulito alla maggior età. Dovrebbero essere loro a decidere cosa essere, e non ritrovarsi già delle foto in rete di quando erano minori. Non sempre la famiglia decide il meglio per i propri figli.
    Il caso Balocco l'ho seguito dal profilo di Lucarelli ma tutto il resto l'ho letto, per la verità, proprio dai profili di professionisti di marketing, comunicazione e social media, che giorno per giorno analizzavano la reazione di Ferragni e/o del suo staff. E qui si è visto il nulla, come spieghi tu. Sarebbe stato persino così semplice raddrizzare subito tutta la barca nella direzione corretta, salvo poi tracciare una rotta molto più etica. Capiamoci: non è che metti una pezza e poi, ad acqua calme, continui come prima con la beneficienza farlocca. Ma niente, errori sopra errori. Senza nemmeno rendersene conto. E temo (o spero? non sono mai stata convinta della sua funzione sociale - soprattutto i ragazzi hanno bisogno di altri riferimenti) non potrà proprio più raddrizzarsi. Al momento giace su un fianco come la Costa Concordia.

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    1. Sì, i ragazzi hanno bisogno di altri riferimenti, dici bene, Barbara. Gongolano dietro queste figure effimere e noi cerchiamo, in direzione ostinata e contraria, di porvi dinanzi figure diverse, concrete, esempi di vita. Ma è spesso una lotta donchisciottesca.
      Ferragni offre a noi insegnanti ed educatori l'occasione irrinunciabile di far capire ai ragazzi come funziona questo mondo e quanta "fuffa" c'è sotto. La sua precarietà ci dice tutto, a partire da come tutto è nato a come si è sviluppato a come poi è precipitato nella perdita di buona reputazione. Qui c'è un evidente caso di arroganza, ma di arroganza senza limiti. Non c'è stato mai un atto di umiltà da parte di questi personaggi, che alla fin fine si sono perfino traditi gli uni gli altri. Lo staff, marito, "amicizie" interessate, ecc.

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    2. Condivido ogni parola del commento di Barbara.

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  9. Hai scritto un post davvero interessante che spiega bene quello chd è successo. In effetti tutto questo non sarebbe accaduto senza questa nuova società e questa l'evanescenza del successo ai tempi dei social, racconta chi siamo noi, anche.
    Non ho mai seguito la Ferragni e mi stupivo tutte le volte che qualcuno ne parlava (mi chiedevo ma perché questi idioti comprano un prodotto che costa il triplo solo perché é firmato Ferragni, pensai a proposito di una certa bottiglia di acqua). È come vendere fumo (e non l’arrosto). È per questo che la discesa è stata precipitosa. Comunque non mi è troppo simpatica neanche Selvaggia Lucarelli, però in certi casi ci prende.

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    1. Non dimentichiamo di dovere tutto alla Lucarelli. Ci pensi? Un'inchiesta che non sarebbe mai esistita se un personaggio come Lucarelli non se ne fosse interessata. il governo s'è svegliato solo adesso chiedendo restrizioni per gli influencer che ricevono regali e bonus senza dichiarare nulla. Ci sono veri e propri business del tutto ignorati dal legislatore. Non può essere più accettabile.

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