lunedì 25 settembre 2023

Pinocchio: un libro parallelo - Giorgio Manganelli (o del perché ho deciso di portare il burattino sul palcoscenico)

Incipit: C'era una volta...
"Un re..."
No...
Quale catastrofico inizio, quanto laconico e aspro, una provocazione, se si tiene conto che i destinatari sono i "piccoli lettori", i "ragazzi", soli competenti di fiabe e regole fiabesche. A scrutare tra gli interstizi di queste sette parole, si scopre subito una favola nella favola, qualcosa che è prossimo al cuore d'ogni possibile favola. Il "c'era una volta" è, sappiamo, la strada maestra, il cartello segnaletico, la parola d'ordine del mondo della fiaba. E tuttavia, in questo caso, la strada è ingannevole, il cartello mente, la parola è stravolta. 

Questa recensione è anche un post sul teatro, su quello che sta formandosi lungo una prospettiva che mi vede al momento stare costruendo una regia fedele all'originale, ma anche in grado di toccare alcuni punti fondamentali di una delle più grandi storie mai narrate: Pinocchio

La maggior parte delle persone mi dice di avere di questa storia un ricordo malinconico, legato al film di Comencini o a cartoni animati di un'infanzia lontana. Alcuni ne hanno un ricordo pure ruvido, dicono di non amare particolarmente la fiaba di Collodi. 
Beh, anch'io non ne ho ricordo luminoso, ma ho sempre pensato, dacché produco spettacoli teatrali, che prima o poi sarebbe arrivato il suo momento. 
Pinocchio è innegabilmente una storia straordinaria e fuori dal tempo, possiede quella forza narrativa tipica della fiaba classica, offre l'opportunità di sperimentare. È una grande storia "di formazione", nello specifico una grande storia di educazione e contiene uno di quegli elementi che amo di più: la metamorfosi. Forse non esiste personaggio nelle storie di ogni tempo che possa vantare un cambiamento e una trasformazione più forte di quella del celebre burattino. 
Solo che questa metamorfosi ha un prezzo altissimo ed esige l'attraversamento di vicissitudini, dolore, esperienze spaventose e molto pericolose, cadute, pentimenti, lacrime amare e di gioia. 
Insomma, la vita. 
Direi che la pagina comincia da quella esigua superficie in bianco e nero, ma si dilunga e si dilata e sprofonda, ed anche emerge e fa bitorzoli, e cola fuori dai margini. Il lettore non ignora che una pagina, una riga, una parola è un gran suono dentro di lui, un rintocco cui offre i suoi nervi, gli anfratti anonimi, le latebre latitanti e tenebrose. 
Veniamo al saggio di Giorgio Manganelli, scrittore che ho scoperto per caso fra lettrici su Instagram, a quanto pare uno dei maggiori saggisti e scrittori contemporanei. 
Scritto nel 1977, e magistralmente come Manganelli sa fare, offre una disamina molto particolareggiata del romanzo di Collodi, assieme al tentativo di una lettura anche fuori dai soliti canoni. Fin da quell'incipit che svela un intento diverso dai tradizionali libri di fiabe, direi uno dei migliori incipit della storia della letteratura, in grado di afferrare il lettore e portarlo con sé, ancora ignaro di quanto possa essere originale e ricca di colpi di scena la storia del burattino. 
Il libro di Manganelli, prendendo le mosse da quel celebre incipit, si configura come "libro parallelo". 

Mangiafuoco (Gigi Proietti) e il Teatro dei Burattini

Leggete qui che meraviglia, vale per ogni tipo di analisi di un romanzo:
... si immagini che il libro di cui si vuol disporre la struttura parallela sia non già simile a lamina inscritta, ma piuttosto ad un cubo: ora, se il libro è cubico, e dunque a tre dimensioni, esso è percorribile non solo secondo il sentiero delle parole sulla pagina, coatto e grammaticalmente garantito, ma secondo altri itinerari. [...] ... Un libro, rettamente inteso nella sua mappa cubica, diventa così minutamente infinito da proporsi, distrattamente, come comprensivo di tutti i possibili libri paralleli, che in conclusione finiranno con l'essere tutti i libri possibili. 
Partendo da questo principio, secondo l'autore Pinocchio si presenta come un libro contenente una certa ricchezza di tracce e di possibilità di analisi di queste secondo principi variabili. Ve ne ho trovato tante davvero molto interessanti. 
Anzitutto Collodi, negando l'esistenza di un re, uccide la fiaba creandone una incompatibile con la tradizione e potenzialmente esposta a una serie di scenari pericolosi. La sua assenza è riempita dalla presenza di un pezzo di legno, uno molto ordinario, di quelli destinati al focolare. 
Il pezzo di legno non è stato nemmeno acquistato, è stato trovato, è lì e basta. Nasce in una notte invernale tempestosa e si affaccia in un mondo che non sembra adatto a lui, dove lo accoglieranno fin da subito alcune vicissitudini: il fuoco, il freddo, la fame, l'ammonizione e il primo esperimento della violenza.

Geppetto è un "taumaturgo", colui che rende possibile il destino del suo burattino. Apparentemente Geppetto è l'inventore della fiaba, colui da cui tutto ha inizio, ma in realtà è lo stesso Pinocchio a scegliere il suo "inventore". Lo sceglie e lo rende creatore e responsabile della sua storia.
Geppetto è il "maieuta" e possiede anche una qualità materna: il burattino è suo e dovrà accettare di riceverne amore ma anche profondo patimento. 
Geppetto è anche il suo custode, un "pedagogo", è "l'antagonista magico del magico Pinocchio".  
È il padre perché perdona, perché è indulgente anche dinanzi alla disobbedienza più estrema. E anche perché, affamato, cede il suo pasto al figlio (le tre pere mangiate con la buccia). 

Bozzetto per il Gatto e la Volpe
Il Grillo Parlante rappresenta la coscienza e l'onniscienza. Nello scontro con Pinocchio finisce male, lo sappiamo, spiaccicato sulla parete, vittima di un atto violento e conclusivo. Io invece ho deciso di tenerlo in vita, dandogli voce nei noti momenti cruciali e in quelli più marginali. 
Pinocchio è stato insolente con il "padre" e violento con il grillo, è di legno ma come abitato da infinite passioni, alcune leggere, non durevoli, altre profonde. 
Una delle caratteristiche più singolari del burattino è l'apparente ravvedimento, il pentimento che segue all'uccisione del grillo-coscienza, e la conseguente intenzione di studiare e imparare in fretta per risarcire Geppetto dell'aver venduto la giacchetta per comprare l'abbecedario, ma poi...
... ecco l'apparire del teatro
Un luogo che è impossibile rendere reale, un insanabile contagio di fughe, tentazioni, scoperte, frustrazioni, rivelazioni. [...] Il burattinaio è la totalità dell'attore, il luogo della recitazione, è il Teatro come Orco che divora tutto, incluso se stesso. 
Straordinario Mangiafuoco, perché è di fatto un tirannico orco ma è anche duplice, una sorta di "orco fallito" perché capace di compassione.  È un orco di teatro e pertanto possiede un proprio codice per la rappresentazione del suo sentimento più segreto: starnutisce quando s'impietosisce. Mangiafuoco è l'archetipo della contraddizione, l'inatteso, l'imperscrutabile. Insomma, appunto, il "teatro". 

Che dire dei due personaggi più iconici di tutta la fiaba, il Gatto e la Volpe?
Le pagine dedicate ai due loschi figuri sono fra le più affascinanti di tutto il saggio. 
Essi sono i due "fraudolenti" esperti del mondo, lo conoscono e lo manipolano mediante la frode, ma sono capaci anche di ferocia praticando l'assassinio. Si imbattono in Pinocchio quando il burattino ha intrapreso la sua vita da vagabondo, gettandosi in pasto ai due come vittima ideale. 
Essi sono i "criminali sventurati", eppure profondamente poetici. Possono derubare solo chi è disposto a lasciarsi ingannare. 
Il Gatto è "un raffinato e sapientemente crudele, la Volpe è abiettamente ipocrita, miserabile odiatrice dei miserabili". 
Non posso non riportare alcuni magnifici passaggi: 
La Volpe è eloquente, fantasiosa, svelta di riflessi mentali, gran mentitrice anche all'impronta: ha molto del letterato. Le sue menzogne non sono mai generiche: con la passione esclusiva del maniaco ama il particolare, la minuzia, l'assurda cronachistica invenzione del vero; ma la Volpe è anche prigioniera di questa sua stupenda vocazione. Le sue menzogne trasformano le truffe e i raggiri in imprese elaborate, contraddittorie, faticose, frustranti; la truffa è per la Volpe un'allucinazione, qualcosa da perseguire come una follia, un grande amore, un vizio eroico; questo freddo retore della menzogna è un passionale, un essere inseguito dal destino. [...]
Il Gatto è il centro del male, e se non fosse associato alla Volpe sarebbe un ottimo gangster; ma anche i gangster hanno un destino. Questo animale malvagio e taciturno si è alleato con un grande oratore sfortunato. Il Gatto non sa parlare, ma al più fa da eco all'ultima parola dei mirabili discorsi volpeschi. Interrogato, si impaccia, e solo l'improntitudine favolosa della Volpe lo salva. Avido e calcolatore, brutale, è l'anima omicida della banda, ma senza la Volpe è impotente e con la Volpe è perduto. 

Ci sarebbe da chiedersi come è mai possibile che Pinocchio caschi in pieno tra le grinfie di questi due, ma... 

... ma Pinocchio ama frode, la generosità dei ladri, il disinteresse dei ribaldi, la devozione dei falsari, la sollecitudine dei saltastrada. 
Il Gatto e la Volpe portano Pinocchio verso la notte più lunga, l'ultima nella prima versione del romanzo. Pinocchio trova il paese dei morti laddove ha sfidato il sogno, quello di far nascere un albero di monete nell'immaginario "campo dei miracoli". Ha sfidato il sogno e pertanto deve morire. 

Qui termina la fiaba nella sua prima versione, pubblicata a puntate fra il 1881 e il 1882 sul giornale per ragazzi Il Fanfulla. I lettori insorsero, l'editore convinse Collodi a darle un seguito e grazie a ciò Pinocchio incontrò la sua fortuna, con centinaia di edizioni e la traduzione in... 260 lingue. 
La morte di Pinocchio rappresenta dunque la sua rinascita e il suo primo incontro con la misteriosa "fata dai capelli turchini". Dapprima è una bambina appartenente al regno dei morti, una mentitrice, poi si manifesta come aiutante, la fata responsabile del destino del burattino. 

La Bambina e la Fata

La Fata è una "polimorfa affettiva", è subito tentata di essere sorella e madre del burattino e in quanto tale anche a usare misure estreme con lui. La Fata sorride della disobbedienza di Pinocchio e delle sue bugie, ma è un sorriso anche sarcastico e per certi aspetti crudele, tanto più che adopera le proprie arti per gettarlo nella vergogna del renderlo un palese bugiardo. 
La Fata, insomma, denuncia Pinocchio e gli getta addosso il marchio del suo peccato più grave: la menzogna. Ciò malgrado sia evidente che, senza il burattino, la Fata non ha neppure motivo di esistere. 
Solo lei, assieme a Geppetto, può comunicare a Pinocchio "l'orrore infantile della disperazione". 
Al primo incontro con la Fata, nel quale il burattino sembra aver preso coscienza dei propri errori e voler risarcire nuovamente il babbo, segue la sua nuova caduta perché la sua natura è ancora irreparabilmente sleale: il paese di Acchiappacitrulli
Non l'ho incluso nella mia drammaturgia, per semplificare sia la messa in scena che il racconto. 

La morte della Fata, al ritorno dalle nuove vicissitudini, ha un duplice significato: vuole essere punitiva per Pinocchio ma anche inevitabile; di fatto il burattino disconosce la "madre" e pertanto questa non può esistere. Per riapparire dovrà esserci nuovo pentimento, nuovo dolore. È il dolore, profondo, pungente, acuto, della perdita. È la prima volta che Pinocchio sperimenta l'assenza. Il padre vaga alla sua ricerca, ma la Fata invece è perduta, morta, e senza di lei non vi è possibilità di gioia futura, il progetto viene a mancare. La disperazione di Pinocchio è totale. 
Ma la Fata è anche abile mentitrice e orditrice di inganni. Non può rinunciare alla possibilità di esistere e torna ma sotto mentite spoglie. È la vecchina, è la donna portatrice di acqua. 
La "buona donnina" si svela e torna come Fata-madre, non più sorella. Adesso ha il compito di svelare a Pinocchio che un burattino non può andare incontro a metamorfosi alcuna, non può diventare un bambino, a meno che non rinunci totalmente a se stesso, in sostanza a meno che non muoia da burattino. 
Da questo momento il ravvedimento del burattino diventa concreto, sebbene vacillante. Non lo racconto sul palcoscenico ma segue un lungo periodo in cui Pinocchio in effetti va a scuola e si misura con bambini in carne e ossa, per poi cadere nuovamente nella disobbedienza. 
Seguono un nuovo perdono e nuove intenzioni, anche queste destinate a fallire.
L'azione si ferma quando Pinocchio si comporta bene. Collodi fa continue ellissi, come se non ci fosse in fondo nulla da raccontare. L'obbedienza è una condizione incompatibile con la storia del burattino. 
Non v'è piaga, angoscia, inesistenza, nulla patito nell'essere che non si faccia parola; per sfiorare i significati sempre più periferici occorre viaggiare, percorrere spazi, pellegrinare, fuggire; occorre perdersi, smarrire il nome, dissociarsi dalla socievolezza. 
È a questo punto che il burattino incontra Lucignolo, l'incarnazione della disobbedienza più totale, l'amorale, colui che descrive il Paese dei Balocchi con "catastrofica euforia". Il bello di questo personaggio è che porta in sé una nota di malinconia. Lucignolo è un disadattato, un infelicissimo alla ricerca di un paese che non può esistere se non nei suoi più sfrenati desideri. 
E di fatto al Paese dei Balocchi si arriva su un carro che ha qualcosa di funebre, di ineluttabile. I due non possono immaginare cosa li attende, la metamorfosi più terribile, dalla quale questo disobbediente ragazzo non tornerà a differenza di Pinocchio. 
Il Paese dei Balocchi è una delle più straordinarie rappresentazioni di tutto il romanzo e ha un potere metaforico e allegorico che ho trovato abbagliante. È uno di quegli elementi che rendono la fiaba eterna, trasversale, senza tempo: è il luogo costruito dal "falsificatore del mondo" per bambini e ragazzi, il luogo dove questi sono destinati alla morte dell'umano, dove perdono per sempre se stessi. Sono adulti quelli che lo hanno preparato, rendendolo attraente, irresistibile. È il luogo della negazione di ogni sacrificio, dove non esistono libri né maestri e dunque non vi è la conoscenza, e senza di questa, bambini e ragazzi sono destinati a perire. 
Non credete che assomigli alle tante lusinghe e alle trappole tese ai più giovani per impedire loro di trovare una strada, per renderli manipolabili e inetti? 
Qui si raccolgono e si depositano tutti i sogni costruiti dalla delusa mitomania infantile e sul suicida rifiuto di morire dell'adolescente. Le estasi terribili e leggere dei ragazzi sono esplose, e il grande corruttore notturno ha costruito per accoglierli una città. [...] ...il furore del gioco non consente dialoghi, non pare vi siano società o bande, e l'unica forma di contemplazione collettiva è il teatrino di tela. Tutti sono amici ma nessuno si conosce. Il Paese dei Balocchi è la capitale del rumore, del fracasso come letizia sociale: terribile profezia.  
Lucignolo e Pinocchio in attesa di partire per il Paese dei Balocchi

La metamorfosi di Pinocchio in ciuchino provoca in lui dolore e vergogna. E le vicissitudini che seguono sono estreme: passa di padrone in padrone, soffre, piange disperatamente, fino a quando ritrova nel suo nuovo incontro con l'acqua la sua nuova trasformazione. 
Nel mare Pinocchio ritrova le sue fattezze e la speranza di un'espiazione, ma prima deve essere inghiottito dal terribile Pescecane, un mostro del mare "labirintico" nel quale è destinato a riabbracciare il falegname-padre. È sospettabile un intervento della Fata in questo miracoloso ritrovamento. 
La Fata perdona tutte le volte che Pinocchio conosce la disperazione più profonda, il dolore più acuto. 
Nel ritrovare Geppetto, Pinocchio è come se ne diventasse padre. Il ravvedimento è adesso totale e per sempre, perché il burattino si riconosce nel compito di portarlo in salvo e donargli nuova vita. La missione è altissima e gli offre l'insegnamento definitivo. 
Nelle ultime pagine ricompaiono il Gatto e la Volpe, ormai due esseri finiti, angariati dalle loro stesse angherie, sono il prodotto, la conseguenza dell'insieme dei loro atti. Pinocchio non ne ha pietà alcuna, prosegue la strada reggendo il proprio creatore-padre e va avanti, la sua scelta non ha più tentennamenti. Il Gatto e la Volpe ridotti a due maschere in disfacimento rappresentano la fine della favola. 

Il perdono concesso al burattino è affidato al Grillo Parlante redivivo, ormai evidente strumento della stessa Fata, che comprendiamo essere stata sempre presente. La strega-fata-madre che ne ha in certo senso anche tessuto il destino. Le ultime sue parole a Pinocchio sono affidate al sogno, il "luogo" dove la Fata deve tornare adesso che la missione è compiuta. 
Il distacco non è doloroso, piuttosto pieno di gioia perché Pinocchio è pronto a diventare un bambino vero, la promessa di obbedienza è proiettata sul futuro, l'apprendimento della lezione invece è nata dall'infrangersi della promessa sui numerosi atti di disobbedienza. 
Nel diventare un bambino in carne e ossa, Pinocchio deve "morire a se stesso". Nella sua morte/rinascita che è anche metamorfosi lascia l'involucro fuori da sé: un burattino appare in un angolo, un pezzo di legno senza vita.

Pinocchio è uno dei più alti esempi di narrazione che definirei escatologica. È una  rappresentazione dei destini dell'uomo ed è per questo una storia senza pari nella letteratura italiana. 
È un patrimonio straordinario che in tutto il mondo hanno fatto proprio, perché tutto il mondo ne subisce il fascino e l'incanto. La sua bellezza sta anche, secondo me, nella sua "italianità". Il romanzo è uno spaccato di vita regionale, popolare, che forse un po' si perde nelle numerose rappresentazioni nel mondo, ma proprio questo rende unica questa storia. Perché in definitiva è una storia epica. 
La mia trasposizione teatrale ne sarà una rappresentazione possibile, semplice ma spero efficace, la difficoltà sta tutta nel toccare quelle note così particolari e uniche e rilanciarle allo spettatore. 
Impresa difficile ma per questo affascinante e irrinunciabile. 

Qui la sigla del Pinocchio di Comencini, a molti di noi porterà un po' di nostalgia.



Che mi dite della vostra conoscenza di questa fiaba? Che ricordi ne avete? 

[Le immagini scelte per il post appartengono al film di Matteo Garrone, a mio parere una delle migliori trasposizioni]

32 commenti:

  1. Essendo un autentico cultore dei film di animazione Disney (che considero capolavori della cinematografia in assoluto, oltre il genere cartoon) ho riscoperto da adulto il suo "Pinocchio" che avevo colpevolmente considerato "minore" per molti anni. Certamente è un Pinocchio molto "americanizzato", ma questo per certi versi lo rende ancor più interessante, proprio per l'interpretazione che ne diedero zio Walt e la sua fenomenale squadra di artisti (non dimentichiamo che fu praticamente il secondo lungometraggio animato della ditta, quindi significativo che scelsero proprio quella storia, dopo il successo planetario di Biancaneve). Fra le tante scoperte, c'è la rappresentazione degli umani rispetto ai personaggi "di cartone". Mi spiego: una delle grandi novità dei cartoni Disney, da Biancaneve in poi, fu il realismo. Prima, anche nei loro cortometraggi, i personaggi erano elastici, "di gomma", si allungavano si torcevano si distruggevano per poi ricomporsi (ciò che a continuato ad avvenire, ad esempio, per tutti i personaggi della Warner). Da Biancaneve Disney sceglie di rispettare l'anatomia. I personaggi hanno uno scheletro (anche se non si vede). Proporzioni, dimensioni e movimenti diventano realistici. E c'è un particolare interessante: nei cartoni precedenti i personaggi avevano 4 dita (anche topolino & c, è tipica la sua mano con guanto giallo con un pollice + tre dita). Questo anche per semplificare l'animazione. Biancaneve e gli altri personaggi ormai "umani" ne hanno 5. Ma, attenzione, non i sette nani, che continuano ad averne 4. Questo perché (nulla è casuale in quei film), si tratta di personaggi più "di fantasia". Loro sono ancora, in qualche modo, "cartoni". Che la scelta non sia casuale diventa evidente proprio in Pinocchio. Geppetto e la fatina hanno 5 dita, Pinocchio burattino e il gatto e la volpe, ad esempio, continuano ad averne 4. Sono ancora personaggi "di fantasia", simbolici. Clamoroso il dettaglio nelle scene finali (non è una cosa esibita, dimostrazione della necessità da parte loro di una coerenza indipendente da quanto fosse visibile o meno agli spettatori). Nella scena finale Pinocchio muore, c'è una famosa immagine, terribile, di pinocchio annegato a testa in giù (che tra l'altro richiama in modo impressionantemente preveggente una recente immagine di un bambino profugo affogato su una spiaggia). In questa scena, affiorano dall'acqua le mani del burattino, con 4 dita. Nelle scene successive il burattino, morto, è steso sul letto a casa di Geppetto, ugualmente con le sue 4 dita. Con la magia finale della fatina, si trasforma finalmente e definitivamente in un bambino, e a quel punto... et voilà!, le sue mani hanno 5 dita ;-)

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    1. Il Pinocchio disneyano non è mai stata una mia grande passione, almeno non quanto Biancaneve, ma questi dettagli lo rendono certo più interessante di quanto si creda. Anch'io ho seguito con interesse l'evoluzione del disegno di animazione, pensa che ai tempi dell'università, nell'esame di Filmologia (ebbene sì, esiste anche una scienza di cui ignoravo l'esistenza e il nome, ai tempi sapientemente insegnata all'Unical da un docente molto in gamba, Ilario Principe) studiammo anche questa parte dell'animazione, con particolare riferimento ai cartoni disegnati a mano, ai movimenti realizzati al millimetro da quelle squadre di magnifici artisti. Ricordo che una lezione fu dedicata proprio all'evoluzione del disegno dai famosi scheletri danzanti, al primo Mortimer fino all'uso di attori in carne e ossa che mimavano le scene su cui poi i disegnatori realizzavano le varie sequenze.
      Ricordavo dunque questa virata verso il realismo ma avevo del tutto rimosso che avesse riguardato anche il numero di dita delle mani. :) Il finale allora è da recuperare e vedere.
      Dicevo non ho mai amato particolarmente il Pinocchio disneyano perché non mi piacque proprio la scelta del disegno del protagonista, oltretutto ripreso nel film del 2021 con Tom Hanks nel ruolo di Geppetto. Un evidente omaggio al disegno animato che rese celebre Pinocchio in tutto il mondo. In generale mi sono piaciute molto le sperimentazioni degli ultimi anni, su tutte il magnifico film in stop motion di Guillermo del Toro.
      Grazie del commento preziosissimo!

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    2. Il Pinocchio di Del Toro è splendido. Su quello di Disney, come detto, concordo anche io sul non entusiasmo, credo sia una questione, come dici tu, soprattutto estetica. Per questo ne ho apprezzato altri aspetti più "concettuali" riscoprendolo da adulto. Ad esempio la scena della trasformazione in somarelli sua e di Lucignolo è puro horror, se si pensa all'epoca (1940) assai poco per bambini. Tra l'altro, se non ho capito male la tua reinterpretazione del ruolo del grillo è assai simile a quella adottata dalla Disney (che credo per primo lo trasformò in un personaggio portante che segue pinocchio per orientarlo nelle scelte). Credo che, essendo il film strapieno di trovate tecniche strabilianti, proprio per questo alla fine risulti un po' freddo, e purtroppo ne soffra. A guardarlo da un punto di vista di invenzioni e soluzioni tecnico-artistiche è assolutamente straordinario. Tra le altre, fu utilizzata qui per la prima volta la Multiplane-camera, tecnica che permetteva di realizzare zoomate e carrellate negli ambienti disegnati, e che poi venne usata in modo mostruosamente amplificato nel finale di Fantasia, durante l'Ave Maria di Schunert, per la lunghissima carrellata "impossibile" in mezzo alla foresta-cattedrale.

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    3. PS: Biancaneve? uhhh quante te ne posso dire su Biancaneve (stampe giapponesi, espressionismo tedesco, Piranesi, statue gotiche tedesche, western... :-) )

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    4. Eh sì, mi ha fatto ricordare che il Grillo disneyano segue Pinocchio per tutta la sua storia. Per quanto mi riguarda non avrei potuto fare altra scelta: nel ruolo del Grillo Parlante ci sarà Gioele Testa, ormai 21enne, che tu hai conosciuto nel ruolo di Moriarty nel maggio 2019 e nell'anno precedente Nana nel Peter Pan. Insomma, un giovanotto appena salito a bordo al quale ho dato un bel ruolo "espanso" e ricchissimo. Lui è diventato nel frattempo un buon caratterista e il suo Grillo è davvero uno spasso.
      Ecco, pure su Biancaneve si potrebbero dire tante cose. Sta arrivandomi un'ideuzza per una rubrica sul cinema... ne parleremo! :D

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  2. Manganelli è il mio autore feticcio, soltanto scorgerne il nome tra i titoli del blogroll mi crea palpito.. mi precipito e trovo un magnifico post, e lo spirito "teatrante" che ancora vaga in me se ne bea ulteriormente; rigiardo a Pinocchio, Manganelli ne ribalta la concezione concependolo schiavo e sconfitto proprio quando smette i panni di burattino preferendo la vita umana, perdendo tutti quei privilegi che solo lo status di "favola" gli permettono. Calvinianamente colma le righe, aggiungendo senza mai sostituire, rivelando ciò che noi, non vogliamo vedere. Curiosamente l'ultimo saggio teatrale cui ho assistito è una messa in scena scolastica proprio su Pinocchio, dove la regista ha riproposta la celeberrima filastrocca di Rodari creando entusiasmo tra i piccoli attori e il pubblico affascinato dall'entusiasmo, dalla freschezza esibita.. ora sono curioso del tuo esperimento del quale spero ci aggiornerai.. p.s. se conosciuto da poco Manganelli, ti consiglio Centuria, un libro magico..

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    1. Mi sa proprio che diventerà anche il mio autore feticcio, perché mi ha letteralmente conquistata e ho intenzione di continuare a leggerlo. Oltretutto la saggistica è sempre più un genere che mi attrae molto. Sì, ho già in lista Centuria ma anche Concupiscenza libraria. Fin dai titoli libri che fanno venire l'acquolina in bocca. :)
      Ricordavo che sei stato teatrante, ma visto che abiti a Roma, che ne diresti di venire a vedere lo spettacolo a dicembre? Saremo in zona Eur e mi farebbe molto piacere conoscerti di persona. Io e Marina Guarneri ci siamo incontrate per la prima volta proprio durante un mio spettacolo teatrale. Riguardo al Pinocchio "schiavo e sconfitto" quando abbraccia la vita umana, accade l'opposto: il burattino muore, il bambino si libera del suo involucro, che diventa altro da sé al punto da poterlo vedere al di fuori di se stesso e trova la propria libertà dalle passioni che fino a quel momento, o poco prima, lo avevano reso schiavo e in perenne ricerca del vero se stesso. Comunque, questo saggio è davvero una cosa meravigliosa.

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    2. Sarebbe bellissimo! Proprio sotto casa praticamente! Ci saremo.. resto in attesa di date e coordinate!!

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    3. Bello, facciamole coincidere, così avrò il piacere di conoscerti anch'io! :)

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  3. Me gusta leerte
    Aunque no me guste traducir lo bello No se capta con la raduccion
    un beso

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    1. ¡Lamento que la traducción no sea perfecta para ti! Me alegra mucho que te haya gustado el post.

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  4. Se devo essere sincero non ho mai amato granché "Pinocchio", e infatti quello di Comencini mi metteva tristezza e non l'ho più rivisto né ho voglia di rivederlo. La mia "fiaba" preferita (anche questa peraltro è stata oggetto di numerosi studi per cercare di trovare i significati nascosti o i messaggi inconsci dell'autore) è "Alice in Wonderland" (e ovviamente "Through the looking glass"). Mi piace proprio la versione originale, non quella troppo edulcorata della Disney né l'improponibile pastiche cinematografico al quale ha preso parte Johnny Depp.
    Naturalmente in bocca al lupo per questa nuova avventura teatrale!

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    1. Infatti nel post ho scritto che molti condividono il tuo stesso pensiero a riguardo. Non è una fiaba particolarmente amata, a molti... "mette tristezza". Anch'io adoro Alice nel doppio romanzo di Carroll (e ricorderai che ho portato entrambe le storie sul palcoscenico) ma il saggio di Manganelli mi ha fatto scoprire i mille significati della fiaba collodiana che pertanto non è da meno quanto a livelli narrativi rispetto alle celebri storie di Carroll. Dei due film di Tim Burton ho apprezzato il primo, il secondo è stato davvero un minestrone di cattivo gusto, una forzatura, non ne ricordo quasi nulla.

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  5. Luz, hai scritto un nuovo Pinocchio, che non è una favola, ma un romanzo con tanti personaggi.
    Ognuno di noi può dare un significato a questi undici che sono: Pinocchio, Geppetto, il Grillo Parlante, Figaro, Cleo, Fata Turchina, Gideon e Honest John, Stromboli, il cocchiere, tignola e blu balena. Danno vita a questa storia piena di avventura e moralità.

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    1. Semmai lo ha scritto Manganelli, che io ho solo sintetizzato al massimo. :)

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  6. Quanti spunti interessanti! Devo ragionarci su prima di dirti la mia. Intanto confermo che anch'io ho grande ammirazione per Giorgio Manganelli, poliedrico intellettuale (scrittore, traduttore, giornalista e critico letterario).

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  7. Cara Luz, grazie per lo spunto che ci dai con questo tuo scritto. Sono andato ad informarmi sulla produzione letteraria di Manganelli: oltre al famoso Centuria e a quello su Pinocchio di cui tratti, ne ho trovati tanti altri che penso meritino di essere recuperati (ti suggerisco anche Emigrazioni Oniriche: Scritti sull'Arte). Pur non avendo ancora letto le sue opere, mi ero già fatto un' idea del valore di Manganelli sulla base della lettura di articoli suoi o su di lui e di interventi in video proposti dalla TV di qualche decennio fa.
    Per quanto riguarda Pinocchio, che tu stai rileggendo per la tua versione teatrale, non posso considerarmi un esperto ma un paio di considerazioni mi sento di farle. Ma quanto è vera la considerazione di Manganelli sulla tridimensionalità di certe opere letterarie! Come in questo caso se ne può discettare all'infinito, proponendo riletture e significati sempre nuovi e tutti con una loro dignità interpretativa. Più in generale, parlando di favole, pensiamo a quanto spesso, oltre al semplice significato rivolto ai bambini, esse possano trasmettere dei messaggi reconditi, direi quasi subliminali, che parlano soprattutto agli adulti. Ecco il perché di tutte quelle venature oscure, se non addirittura horror, che ci possiamo trovare.
    Ti auguro ogni successo per questo tuo progetto teatrale.

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    1. Grazie per questi spunti, Stefano. Il pensiero di Manganelli riguardo alla potenziale molteplice lettura di ogni romanzo è affascinante e anche innegabile. Ultimamente, poi, mi sono imbattuta in un commento da qualche parte su Fb in cui chi scriveva sollevava il dubbio se realmente nelle storie, in particolare nelle fiabe, gli autori di ogni tempo abbiano voluto inserire tutti i significati che vi legge la critica o possiamo leggervi noi. Io mi sono fatta una mia idea. Maneggiando gli archetipi, ogni autore è perfino inconsapevole di stare creando dei significanti. Accade e basta. Lo straordinario delle fiabe è proprio tutto in questo paradosso, l'inconsapevolezza del creatore.
      Ho riletto Pinocchio molti mesi fa e ne ho scritto un mio copione che necessariamente ne è una riduzione, spero efficace. Grazie per gli auguri! :)

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  8. La mia fiaba preferita da sempre. Forse perché mio nonno mi aveva comprato il libro e me la leggeva molto teneramente. Mio nonno adorava Pinocchio e mi ha trasmesso quest’amore. Sicuramente è una fiaba originale perché possiede tante chiavi di lettura. È possibile darne anche una lettura completamente diversa: ovvero Pinocchio quando è burattino in realtà è libero, ma il suo diventare un bambino vero lo ingloba in un sistema di regole che è la cultura, che è la società. Nella sua libertà Pinocchio ha tanta curiosità, tante sete di avventura, cerca sempre di superare il limite, diventando un bambino vero se ne sta zitto e buono. Non so se ho reso l’idea. Io ci ho visto sempre tanta umanità nel burattino, ma con umanità non intendo la pietas umana, ma la natura curiosa ed esplorativa di noi umani, il voler conoscere sempre nuovi mondi, “superare le staccionate”. Comunque questa è solo una delle chiavi di lettura di uno dei racconti più belli, più complessi, più articolati della letteratura mondiale. E non è un caso se dopo la Bibbia e il Corano, Pinocchio è il libro più letto al mondo. In bocca al lupo per il tuo spettacolo 🤗

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    1. Eh sì, il Pinocchio non solo bambino ma quello ubbidiente (diventa tale a sprazzi nel romanzo, per poi tradire puntualmente ogni buona intenzione) ha il potere di fermare il racconto. Pare che il nostro Collodi ci voglia dire di non aver nulla da raccontare quando il burattino è conforme alle regole. Non possiamo negare sia così per ogni principio di narrazione. Pinocchio deve disobbedire altrimenti manca proprio la storia. A me piace in particolare come evolva in alcuni tratti del racconto e poi faccia dei passi indietro, ma in ogni disavventura lui aggiunge un tassello alla propria conoscenza del mondo.
      Anch'io ho un ricordo legato a mio nonno. Adorava il Pinocchio di Comencini.
      Grazie per il tuo in bocca al lupo! :)

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  9. Nella tua bella e puntuale disamina hai toccato tutti i personaggi e le situazioni significative e messo in evidenza tutto ciò che può ispirarti nella costruzione del tuo Pinocchio ( penso in particolare a come potrai interpretare il paese dei balocchi ). Sono certa che per te sarà un lavoro stimolante. Tra i personaggi minori del Pinocchio televisivo, sono stata suggestionata dalla lumaca al servizio della fata, è l'immagine davvero del tempo che sembra scorrere ma rimane sempre identico a se stesso )

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    1. Ciao, Giacinta! La lumaca non comparirà nel mio spettacolo per ragioni di tempo, spazio e logistica ma è un personaggio che piace molto anche a me. La variabile "tempo" è cruciale nel romanzo, anche se non la avvertiamo come per esempio nella Alice di Carroll.

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  10. Io con Pinocchio ho un rapporto di odio/amore: me lo ricordo nel film con Nino Manfredi nei panni di Geppetto e ancora adesso la colonna sonora di Comencini mi mette una malinconia terribile. La pena di Geppetto povero e preso in giro, quando con mille sacrifici compra l'abbecedario a Pinocchio che sappiamo la fine che farà, l'atmosfera grigia del film... non so, è una storia che mi ha sempre intristita. Tanto che non ne conosco altre versioni né ho mai letto il libro. Però, l'anno scorso ho letto quello di Fabio Stassi (lo abbiamo comprato insieme, dopo la sua bellissima presentazione a PLPL) e mi è piaciuta la versione nuova dello scrittore narrata tutta dal punto di vista di Mastro Geppetto. Adesso non vedo l'ora di vedere la trasposizione che ne farai tu. Sarà fantastica (come sempre). Tra l'altro gli approfondimenti di Manganelli fanno venire voglia di rileggere Pinocchio con occhi nuovi.

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    1. Manganelli mi ha spalancato una visione molto più completa, ma prima anche la stessa lettura del romanzo, che è molto più sfaccettato e ricco rispetto alle tantissime trasposizioni. Anche a me il Pinocchio di Comencini suscita un po' di tristezza, il regista riuscì a farne un racconto molto popolare e "italiano" ma lo modificò anche tanto. Giorni fa ne vedevo una scena con il Gatto e la Volpe: dialoghi e scene del tutto inventate, era evidente che Comencini lasciò Franco e Ciccio liberi di inventare, anche se penso che in tanta di questa improvvisazione si perda il ritmo del racconto. Meglio le trasposizioni di Garrone e Del Toro anche se un po' azzardate nell'invenzione.
      Non vedo l'ora, come sempre, che tu veda questa mia operina! :D

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  11. Pinocchio è fra quei testi italiani conosciuti in tutto il mondo e basterebbe già questo per capire quanto sia importante nella letteratura e non solo in quella. Anch'io ricordo con piacere le produzioni televisive italiane del passato, forse perché ero in quella fase in cui stai passando dall'essere un bambino al diventare ragazzo e tutto ti rimane più impresso nella mente e dentro di te.

    Un salutone e buon fine settimana

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    1. Eh sì, vogliamo mettere come le tante storie che abbiamo visto ci siano rimaste impresse proprio perché eravamo piccoli e la nostra mente e immaginazione assorbivano tutto come una spugna? Ne è prova il potere del nostro ricordo, sempre vivido. Un salutone a te, carissimo. :)

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  12. Ho letto interamente il libro di Collodi solo due anni fa, quando il regista che collaborava al progetto teatrale della scuola ha proposto una sua rivisitazione del testo, riletto nella chiave delle aspettative e delle influenze sociali che subisce chi cresce, incappando in errori e ingenuità e approdando alla definizione della propria identità. Anche lui partiva dal contributo di Manganelli, che, però, non ho ancora avuto occasione di approfondire.

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    1. Mi fa piacere che sia stato un regista partito da questo saggio irrinunciabile. E sono certa che Manganelli, dalla scrittura solida e appassionante, potrebbe piacerti molto.

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  13. Non ho molta memoria del Pinocchio televisivo, quello con Nino Manfredi, ma avevo il 45 giri della Disney col libricino allegato, quindi conosco più la versione americana. L'influenza di Pinocchio però è stata, secondo me, maggiore sulle generazioni precedenti, forse perché era in televisione uno spettacolo notevole, a colori, in anni in cui c'era poco o niente. Tanto per dire, mia madre quando trova un grillo per casa ancora oggi esclama "Chi ha perso la sua coscienza, qua?"
    E sì, Pinocchio è conosciuto in tutto il mondo ed è parte della nostra italianità quanto gli spaghetti (non col cucchiaio! No spoon!) e la pizza. Ad un'amica americana che sta imparando la nostra lingua ho regalato una bellissima edizione di Pinocchio, semplificata in alcune parole (per il livello B2) e con esercizi di apprendimento. Non ho dovuto dirle altro, Pinocchio lo conosce da bambina. :)

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    1. Ma sai che anch'io, inevitabilmente, se vedo un grillo nelle vicinanze non posso fare a meno di pensare alla coscienza? E devo dire che penso pure al fatto di farmelo piacere e risultare simpatico, perché con gli insetti, soprattutto questi così insospettabilmente grandi, ho un pessimo rapporto. XD
      Che bella l'idea di quel dono! È uscito da poco un'edizione deliziosa di Pinocchio, narrato da un'attrice notissima e illustrato in maniera magnifica. Sono molto tentata. Manca pochissimo al debutto in palcoscenico! Non sarà facile rendere questa storia. Speriamo bene.

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