domenica 25 agosto 2019

Notre-Dame de Paris - Victor Hugo

Incipit: Son oggi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni dal dì che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane suonanti a distesa nella triplice cinta della Cité, dell'Université e della città intera. 
Tuttavia il 6 gennaio 1482 non fu uno di quei giorni che la storia ricorda. Niente di memorabile nell'avvenimento che scuoteva così, fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi. 

Il vero e proprio incipit di questo romanzo, di cui riporto solo le prime righe, è questo. A essere precisi, però, il romanzo si apre con una piccola prefazione dell'autore, quel celebre riferimento che riporta la data Marzo 1831, in cui Hugo parla di sé in terza persona, annunciando fra le righe un intento ultimo di questo monumentale romanzo: guardare indietro, al Medioevo, e rivalutarne la portata e l'importanza
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La parola greca traducibile in "destino", che l'autore immagina essere stata scolpita in una delle torri della cattedrale, è il leit motiv di questa lunga narrazione, e qui ravvisiamo un ulteriore scopo, molto fedele allo stile di Hugo, ossia portare il lettore all'interno di una trama complessa da cui impara che una tragica e fatale necessità governa i destini dell'uomo.
È evidente che alla base del romanzo ci sia stato un progetto cui l'autore si attiene fedelmente. Non è previsto un "lieto fine", anzi. La finzione diventa una fedele imitazione della vita, giacché la storia, ambientata alla fine del XV secolo, è costruita rispettando eventi e parametri del tempo. 
Non sarebbe improprio definirlo, pertanto, "romanzo storico", se cerchiamo di individuare un genere. 


La tragica e fatale necessità lega indissolubilmente i protagonisti della storia: l'arciprete don Claude Frollo, il deforme Quasimodo e la giovane zingara Esmeralda
Sullo sfondo un nugolo di altri personaggi che reggono le fila di questi destini, poi il luogo, che non è solo ambientazione sullo sfondo ma assai di più: la cattedrale di Notre-Dame
Il romanzo porta il nome dell'iconica cattedrale di Parigi non solo perché è il luogo cardine degli eventi, ma anche e soprattutto perché è l'emblema dell'epoca narrata
La cattedrale è il luogo del culto, ma anche del potere, nell'immaginario del popolo parigino è come un essere vivente attorno al quale esso si muove, pensa, muore. In ogni descrizione, negli anfratti delle sue pietre, nelle sue segrete, fra i pinnacoli e le gargolle, i mirabili vetri istoriati, Hugo riversa azioni e passioni umane, oltre alle proprie notevoli capacità di narratore. 
Notre-Dame diventa simbolo di un'epoca che la Storia vuole dimenticare, o sminuire, quel Medioevo che Hugo ricostruisce, racchiudendone il racconto nel perimetro di una città che l'autore ama visceralmente. Prendo a esempio il capitolo "Parigi a volo d'uccello", che da solo varrebbe un piccolo racconto a sé. Monumentale, come tutto il romanzo. 
In questa Parigi ricostruita rispettando le movenze del tempo, si aggira il popolo
Da solo è anch'esso uno dei protagonisti del romanzo. Il popolo che segue fedelmente un rituale pubblico diventa lo stesso che acclama la Morte durante le condanne capitali, lo stesso che si sfrena nelle feste, che palpita dietro finestre socchiuse, che chiede giustizia ma più spesso sangue

Notre-Dame prima dell'incendio dello scorso aprile
Rispettando fedelmente gli usi dell'epoca, poi, Hugo descrive i poteri più forti della capitale francese, divertendosi a delineare un grottesco ritratto di re Luigi XI, ma restituendoci anche l'immagine di quel tardo "feudalesimo" in cui il potere era frammentato, con i signorotti che lo esercitano senza scrupolo alcuno e nelle cui maglie precipitano spesso gli innocenti.

Il popolo acclama la sofferenza, dunque i detentori della "giustizia" condannano alla ruota e al pubblico ludibrio, torturano per estorcere confessioni, impiccano i condannati in un rituale collettivo che esalta i parigini, avvezzi a inneggiare o a disprezzare il malcapitato di turno. 
Si avverte che il potere obbedisce, oltre ai classici dettami dell'abuso del più forte sul più debole, anche alla volontà di un popolo che ha bisogno di guardare l'orrore per sentirsi coeso e "al di qua" di quel rischio, del terribile epilogo degli sventurati. 

Tornando ai tre protagonisti del romanzo, si direbbe che abbiano un aspetto in comune: precipitano nel sentimento d'amore che li esalta e li condanna simultaneamente. L'amore diventa una forza motrice cui non ci si può opporre e investe ulteriori personaggi, se penso alla Reclusa della Gréve. 
L'amore porta alla rovina tutti coloro che sono in grado di provarne la possanza, li trascina verso una fine terribile, seguendo un'ideale spirale che li risucchia verso il basso, sia esso il baratro in cui precipitano col cuore spezzato o la bassezza che schiaccia colui che non può né deve provare amore per una donna. 
La nobiltà d'animo di Quasimodo ed Esmeralda si confronta e scontra con la bassezza di don Claude, con la superficialità di Febo, con l'egoismo del poeta Gringoire, con la mancanza di scrupoli del re e dei suoi accoliti, la spietatezza di Clopin il "re dei mendicanti".

La Corte dei miracoli, il piccolo quartiere dei mendicanti, è un micromondo fatto di regole proprie, in cui troneggia una gerarchia che non ammette discussioni del potere. Nella Corte pertanto si fa di tutto per assomigliare al mondo esterno, con tanto di assemblee, feste, condanne a morte.
Apparentemente fuori di senno e senza regole, in realtà è una perfetta imitazione di quel "fuori" in cui gli scaltri mendicanti si guadagnano da vivere, ingannando, rubando e maledicendo.
L'esotica Esmeralda ne rappresenta una sintesi di bellezza possibile, nelle forme attraenti e nella bontà d'animo. Rispettata e amata da tutta la Corte, che si muove in sua difesa per strapparla alle grinfie di una giustizia priva di compassione, la sua "maledizione" è l'Amore, un sentimento che la priva di buon senso e avvedutezza e le dona invece il coraggio in cui si perderà.
Strappata a una madre amorevole da piccola, la ragazza vive fra quegli stessi zingari che la rapirono e solo al termine della sua breve vita il destino le riserva un ultimo straziante incontro con lei.
Esmeralda è accecata dai suoi sentimenti per il capitano degli arcieri reali, Febo - omen nomen, ma capovolgendone il senso, giacché il giovane brilla di bellezza come un Apollo, ma la sua interiorità è del tutto vacua - al punto di perdere ogni discernimento, persa in una seduzione che non le lascia scampo, pur restando salda ai propri valori di purezza e onestà. Febo, sebbene attratto dalla giovane zingara, mira a un matrimonio appropriato al rango, e sposa la ricca Fleur-de-Lys, mentre Esmeralda muore con una corda attorno al collo.
Dalla fine di Esmeralda emana il potere della tragedia più cupa, immersa in un dolore senza pari.

"The Hunchback of Notre-Dame", film del 1939

Assai complesso il personaggio di don Claude Frollo, deus ex machina e antagonista. Arcidiacono della cattedrale, giganteggia per intelletto e curiosità. Apparentemente uomo di chiesa integerrimo, è attratto dall'alchimia, pratica esperimenti e ricerche nascondendosi nel piccolo studiolo, dedicandosi a lunghe meditazioni sulla Natura.
Frollo è un personaggio di grande fascino se pensato all'interno di quel tardo Medioevo in cui la Controriforma di lì a poco avrebbe soffocato ogni velleità di pensiero e in cui la caccia alle streghe è pratica ampiamente seguita. Immerso in tale atmosfera complessa, la vita gli offre l'opportunità di un atto generoso quando soccorre il piccolo Quasimodo, mostruoso bambino abbandonato nella ruota dei trovatelli della cattedrale. Così come assistiamo a un Frollo decisamente umano nel suo tentare di ergersi a modello per suo fratello minore, lo scapestrato Jehan.
Folgorato dall'attrazione e poi dall'amore per la giovane Esmeralda, divorato dal senso di colpa scaturito dalla sua veste e addolorato per il disprezzo della ragazza, don Claude Frollo precipita in un abisso di malvagità, che lo porta a esercitare con ogni mezzo la menzogna, il ricatto e l'inganno.
Hugo delinea questo personaggio con una tale maestria da lasciarci avvertire la progressiva, lenta, discesa in un infero dal quale Frollo non può risalire, poiché vi trascina le persone a lui più care.

E veniamo a Quasimodo, uno dei personaggi più noti della letteratura di ogni tempo, il deforme gobbo della cattedrale che il popolo disprezza, colui che viene incoronato "Papa dei folli" nella sfrenata festa della Corte dei miracoli, il gobbo in grado di udire solo il flebile suono delle possenti campane di Notre-Dame perché sordo, e in grado di scorgere eventi lontani dal solo occhio buono.
Quasimodo è una figura tragica e struggente, poiché la bruttezza ne segna inevitabilmente il destino, è come uno scherzo di natura che può trionfare solo durante una festa in cui impazza la volontà di premiare la bruttezza.
Tutta la sua persona era una smorfia. [...] Poteva sembrare un gigante rotto a pezzi e saldato male. 
Rifiutato da chi lo ha generato e accolto fra le mura della cattedrale, Quasimodo non conosce bontà umana se non nel suo "padrone" don Claude, fino all'attimo in cui una giovane zingara gli dà da bere, mentre giustizieri e popolo ne fanno oggetto di ludibrio sulla ruota nella pubblica piazza.
La compassione di Esmeralda accende in lui l'amore per lei, pur consapevole di un sentimento non ricambiato, anzi cosciente di essere oggetto di disprezzo e paura da parte di lei.

Anthony Quinn e Gina Lollobrigida nel film del 1956

Esmeralda ha bisogno di tempo per comprendere il grande animo di Quasimodo e ritenerlo amico, fino a dovergli la vita quando lui la strappa all'artiglio della legge e offrirle il "diritto d'asilo" in Notre-Dame. Un rifugio su cui pende la condanna a morte e la minaccia degli assalti di don Claude.
Sullo straziante finale, Quasimodo rende giustizia come può all'amata Esmeralda falcidiata dal capestro, togliendo la vita al suo padrone e scegliendo per se stesso la morte.
Perfetto quel finale, quel "matrimonio di Quasimodo" che muore avvinghiato al fragile corpo esanime di lei, nel sotterraneo di Montfacon, "il più antico e superbo patibolo del reame". Un luogo spettrale e terribile, su cui l'amore del deforme protagonista getta una luce di speranza.
... quando tentarono di staccarlo dallo scheletro che teneva abbracciato, si disfece in polvere. 
Questa recensione di certo non abbraccia tutti i livelli possibili del romanzo, che è uno dei più belli e complessi della tradizione ottocentesca.

Notre-Dame de Paris è uno dei romanzi più narrati al cinema e di cui si conoscono diverse versioni. Ebbi modo anni fa di vedere il musical tratto dal romanzo, recensito qui. Mi piacque perché rispettò l'essenza del racconto, non rinunciando alla rappresentazione della tragedia come suo nucleo.
Sorvolo sull'edulcoratissima versione Disney, che ho amato ma che stravolge totalmente la trama.
Del romanzo esistono una quindicina di versioni per il grande schermo, di cui probabilmente la più nota è la prima girata a colori, di Jean Delannoy, del 1956. Ma come non pensare alla trasposizione muta del 1923 con Lon Chaney nel ruolo di Quasimodo o quella del 1939 di William Dieterle?
Ho intenzione di portare questa storia sul palcoscenico per il prossimo maggio, restando fedele alla sua versione originale. Difficile ma irrinunciabile.

Avete mai letto il romanzo o visto qualche sua trasposizione? 

16 commenti:

  1. Come sai, ho visto il musical un paio di anni fa e sto per tornare a vederlo a inizio ottobre. Il romanzo però non sono riuscita a leggerlo, nonostante lo avessi preso in prestito alla biblioteca. Forse non era il momento giusto; più probabilmente è la mia solita difficoltà ad apprezzare i classici, o in generale gli stili "vecchi". Ci provo, ma poi, dopo avere lasciato il libro fermo per giorni, a fare da tappo per le possibili letture successive, rinuncio. Anche per questo mi ha fatto molto piacere leggere il tuo articolo, che mi ha permesso di andare più a fondo nella storia.

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    1. Il musical è particolarmente coinvolgente, capisco che tu voglia rivederlo. Cast di livello internazionale, cantanti all'altezza. Mi piacquero anche quelle scenografie minimal.
      Sono stata spinta a leggerlo sull'onda emotiva del brutto incendio di qualche mese fa, ma soprattutto dal mio desiderio di metterlo in scena. Di solito anch'io non torno molto sui classici.
      È stata una lettura molto impegnativa, in effetti.

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  2. Grazie Luana, non ho mai trovato il coraggio di affrontare questo monumento di romanzo ma mi hai incuriosito! Ho in casa una copia che mi aspetta. Mi attrae per il filo rosso del potere che scorre in due temi di cui hai parlato. Mi attrae l'analisi del popolo, come agisce come è mostruoso e malleabile quando gli individui che lo compongono rinunciano alla razionalità per il conformismo. Mi attrae il discorso dell'amore deformato dalla voglia di possesso. In attesa di vedere lo spettacolo che ne trarrai mi immergo nelle pagine del racconto!

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    1. Sì, oltre all'intreccio, che senz'altro ha tutti gli ingredienti per essere avvincente, ho trovato particolarmente intrigante questo sfondo storico e il fatto che l'autore lo conoscesse perfettamente. Non dimentichiamo che decide di ambientarlo diversi secoli prima, questo lo obbliga a una ricerca dettagliata, che si rivela bene nel romanzo.
      Sono contentissima di avere acceso in te questa curiosità. Sono certa che costruiremo uno spettacolo indimenticabile. :-)

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  3. Ti ringrazio per questo post perché, udite udite, non ho mai letto il caro Victor e se dovessi dirti il perché, non lo so. Ma sono talmente tanti i classici che mi mancano, che averli tutti in lettura sarebbe impossibile. Apprezzo molto il tuo desiderio di trasporre la versione originale in teatro. Sarà un lavoro lungo ma senza dubbio gratificante. Buon lavoro e buon rientro cara Luz

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    1. Anch'io non avevo ancora avuto questo piacere! Conoscevo bene "I miserabili", che da più parti mi dicono sia perfino più bello di questo, ma ancora non l'ho letto. Rimedierò.
      Non vedo l'ora di mettere mano sul copione. Sarà una sfida difficile... ma necessaria. :)

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  4. Una mia lettura di tanti anni fa, che, probabilmente, mi trovò impreparata ad affrontarla. Merita forse una seconda occasione.

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    1. nel film del 1939 Quasimodo era Charles Laughton, un attore formidabile, e lei era Maureen O'Hara, direi la più bella in assoluto fra le Esmeralde. Il film inizia alla maniera del grande cinema, con una panoramica che poi si stringe sui personaggi, sembra di essere lì in mezzo. Gli altri film li ho guardati poco o niente.
      Ho frequentato poco Hugo ma è una figura da gigante, la sua biografia è da sola un romanzo. E poi mi avevano colpito i suoi disegni, che sono quasi degli acquarelli fatti con un colore che si preparava da solo, usando i fondi del caffè. Li hai mai visti? sono impressionanti.

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    2. Cristina, forse come i grandi romanzi che hanno questa impostazione "epica" ha bisogno di un momento giusto. Io penso di leggere "I miserabili", ma so che devo riservargli un periodo in cui potrò dedicargli il giusto impegno. La bellezza dei classici è che sono impegnativi. :)

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    3. Giuliano, non sapevo nulla dei suoi acquerelli. Ho dato un'occhiata, sono veramente belli, si direbbe da grande artista.
      Non ho visto il visto del '39. Mi è rimasto impresso, quindi sono certa di averlo visto da ragazzina, quello con Anthony Queen. Poi ho visionato diversi spezzoni degli altri.
      Da quella sequenza è evidente che il regista si sia ispirato al celebre capitolo "Parigi a volo d'uccello".

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  5. Non l'ho mai letto, è lì in un angolino della libreria, perché non sopporto le storie tragiche, ne ho a sufficienza in vita per andarmele pure a cercare nei libri.
    Ecco perché, non me ne vogliano i puristi, preferisco la versione edulcorata Disney.
    Ho la colonna sonora originale del musical in cd, quello curato da Riccardo Cocciante, ma non ho mai visto lo spettacolo dal vivo.
    Buon lavoro per la prossima stagione teatrale dunque!

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    1. So bene che detesti i finali tragici. :)
      Io invece li amo. Nel finale tragico vedo un gesto epico immenso. Ho amato ogni finale tragico (anche il suicidio di Martin Eden perfettamente descritto dall'autore) perché non ci ho visto mai nulla di gratuito, anzi. Ogni finale di questo tipo sembra trascinare in sé tutta la storia.
      Non l'ho pensata sempre così. Ma mi sa proprio che sarebbe meglio dedicarci un post e approfondire.
      Grazie, Barbara!

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  6. Post molto bello, complimenti.

    Ho letto il romanzo anni fa e ricordo ancora la famosa frase "Questo ucciderà quello", riferita all'ineluttabile avanzamento della tecnologia per la trasmissione della conoscenza e a tutto quello che ne può derivare.

    Il finale poi mi ha lasciato sprofondamento scosso. Veramente molto bello.

    P.S. Cercherò di recuperare i vecchi film da te citati.

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    1. Questa ineluttabilità, il destino che insegue gli uomini, sembrando agire per una sua forza interna senza che gli uomini possano farci nulla, è il perno sul quale ruota tutta la storia.
      Grazie!

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  7. Non mi stupisco che Disney ne abbia fatto una versione edulcorata, purtroppo la storia del romanzo è davvero triste con un finale tragico (lo deduco dal tuo post visto che non l'ho letto, chissà in futuro...)

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    1. I finali tragici hanno un indiscutibile fascino! :D

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