mercoledì 14 aprile 2021

Longbourn House - Jo Baker (la dura vita dei tuttofare del passato)

Incipit: Nessuno indosserebbe vestiti se non esistesse il bucato, e questa è una certezza come il fatto che nessuno andrebbe in giro svestito, almeno non nello Hertfordshire, e non a settembre. Il giorno del bucato era inevitabile, ma la purificazione settimanale dei panni di casa era nondimeno una triste prospettiva per Sarah. 
L'aria era tagliente alle quattro e mezzo del mattino, quando cominciò la sua giornata di lavoro. La leva di ferro della pompa era fredda e, nonostante i guanti, i geloni le bruciavano mentre risucchiava l'acqua scura da sottoterra per riempire il secchio. Una lunga giornata da far passare, e quello era solo l'inizio. 

Già, l'inizio di una delle lunghe giornate di Sarah, sguattera di casa Bennet, di quel villino immerso nella campagna inglese nella quale vive una delle eroine romantiche che abbiamo tanto amato in Orgoglio e Pregiudizio.
Questo piacevolissimo e sorprendente romanzo narra proprio quelle vicende, ma rovesciate, guardate da un'altra prospettiva, e le intreccia con quelle di una servitù che nei romanzi di Jane Austen resta sempre indistinta, sullo sfondo, trascurata e anzi ignorata come era logico che fosse. Narra di quei "signori Hill" citati raramente, silenziosa governante e cuoca lei, cocchiere e sbrigafaccende lui, di quel "valletto" citato nel romanzo solo una volta, poi dà un'identità alle due sguattere e cameriere, Sarah e Polly. 

Se tutto questo vi fa immaginare un romanzino di puro intrattenimento, magari in stile Chevalier di Quando cadono gli angeli, nulla di più sbagliato. Qui siamo dinanzi a qualcosa in cui la materia e lo stile con cui viene narrata sono davvero interessanti. 
Jo Baker prende in mano Orgoglio e Pregiudizio, romanzo che ha amato da ragazzina e che ancora apprezza (anche se la lettura del suo libro lascia intendere il contrario) e dà voce e anima a quella umanità senza la quale questi signori di campagna non potrebbero essere quello che sono
Fra le pagine della Austen leggiamo di balli, visite inattese, cene e trasferimenti, ma dietro questa vasta movimentazione ci sono loro, quella servitù che rende tutto possibile, che è in grado di risolvere imprevisti, sacrificare prospettive e salute pur di essere all'altezza del ruolo. 

La triste prospettiva di una sguattera.
Jo Baker
Veniamo all'aspetto irrinunciabile di questa novel. Sarah nasce povera ed entra a Longbourn all'età di 7 anni. All'epoca le bambine venivano assunte in una casa signorile e cominciavano a lavorare. 
Il lavoro di una sguattera era durissimo. Non sono pochi i riferimenti a geloni che si spaccano su mani e piedi, schiene doloranti, scarpe scomode e consumate, abbigliamento insufficiente a proteggere dal freddo e dagli stenti. 
Un tetto sulla testa e un lavoro, sebbene faticoso e incessante, è pur sempre meglio della strada. Sì, perché l'alternativa di questa compagine sociale è la miseria più totale, quindi l'infaticabilità del lavoro è una prospettiva quanto meno preferibile.

Sarah, e tutti quelli come lei, sono invisibili. Le pagine riguardanti la considerazione che Jane ed Elisabeth offrono a Sarah sono pregne di condiscendenza e allo stesso tempo rimarcano una schiacciante distanza sociale, direi anche una certa altezzosità. 
Le donano un abito a fiori dismesso, sentendosi molto generose (i riferimenti a decine di abiti gettati in terra e trascurati sono continui), ma poi si aspettano, scioccamente, che lo indossi durante le mansioni quotidiane, mentre Sarah invece lo conserva per i giorni buoni. 
Tornano tutti i grandi personaggi di Orgoglio e Pregiudizio, dinanzi ai quali Sarah si dissolve. E se, inaspettatamente, quell'insopportabile signor Collins cugino ed erede di casa Bennet instaura con lei un dialogo (la Baker fa apposta a donare a questi personaggi detestati un'aura di umanità), il signor Bingley, corteggiatore di Jane, e il possente Darcy le passano dinanzi senza neanche vederla. 

Sarah, e assieme a lei la signora Hill e la piccola Polly, oltre al giovane James, appartengono alla categoria dei "lower servant", sono servitori di basso rango, ben lontani dalla cameriera personale e dal maggiordomo. 
In una realtà come quella di Longbourn, essendo i Bennet moderatamente benestanti ma non ricchi (le ragazze Bennet non hanno una dote e non hanno un fratello, il che significa che sono vicine a perdere la proprietà), posseggono una servitù multitasking
La signora Hill è stata sguattera e per la sua età si limita a cucinare e ad assistere la logorroica signora Bennet, Sarah è una domestica delle pulizie, della spesa, del ritiro della posta, ma fa anche la sarta e la cameriera delle ragazze, oltre che lavare il bucato di tutta la famiglia. 

Come si fa senza lavatrice né lavastoviglie?
Avete mai pensato a cosa significasse fare il bucato in epoche passate? O lavare pignatte e pentoloni?
Mi piacciono i riferimenti nel romanzo al ciclo mestruale delle ragazze Bennet. Lavare via il sangue mestruale da pezzuole appositamente predisposte, fino a farle risplendere. Oppure bollire gli indumenti di cotone grezzo o fine, strofinare con sapone fatto con grasso di maiale (!) 
Per mandare via macchie o residui incrostati di cibo si usava sabbia o lisciva di cenere. Sostanze che distruggevano la pelle delle mani. 
Stiamo poi dimenticando che non c'erano bagni in casa, il che significava tenere un pitale sotto il letto che la sguattera doveva prendere e andare a scaricare in una fossa apposita, posta fuori dalla casa, a mo' di cabina.
Il tempo del riposo è esclusivamente quello notturno, in letti di pagliericcio, con riscaldamento ridotto al minimo (le stanze erano sempre nel sottotetto), e la sveglia è all'alba, diverse ore prima dei signori, quando vanno accesi i fuochi della cucina e pulito tutto l'esterno per una nuova giornata. 

James invece dorme in un solaio della stalla, si occupa dei cavalli, delle pulizie di casa, serve a tavola, fa il cocchiere. Ecco, il cocchiere.
In Orgoglio e Pregiudizio i ricevimenti sono tanti. James accompagna le signorine ai balli restando per ore ad attendere fuori, al freddo. Il lettore guarda dall'esterno a quelle case illuminate e dalle quali emanano le voci allegre delle feste, mentre il piccolo mondo di chi aspetta all'addiaccio e tutto lì, in quei pochi metri quadri di attesa paziente e infaticabile. 

A questi "invisibili" Jo Baker dona qualcosa di eroico. La signora Hill sopporta da tutta una vita un dolore che le ribolle dentro, Sarah possiede la vivacità e curiosità di chi si domanda cosa possa esserci oltre questa prospettiva, James è l'eroe dei valori altissimi, della caparbietà di consumarsi per gli altri e, come tutti gli eroi nati nelle file dei reietti, deve attraversare un inferno personale e devastante. 
Dinanzi all'eroismo di James, i vari Bingley, Darcy, Wickham, Forster e Collins, appaiono damerini incipriati e troppo fortunati per possedere veri ideali e qualità. 
Così come dinanzi alla tenacia di Sarah, le pallide signorine Bennet svaniscono in una luce sulfurea, fantasmi di un'epoca che le vuole sposate e sistemate grazie a uomini di alto rango. 
Il finale epico, che ovviamente non svelerò, da una parte ribadisce l'ineluttabilità del destino di questi "ultimi", dall'altra apre alla possibilità di una scelta fatta di diritto, dinanzi alla quale neppure il più grande signorotto può nulla. 

Una trama all'altezza dei valori narrati, credibile e fuori dai canoni del romanzo austeniano
Un romanzo per certi aspetti "verista", che consiglio.

Avete mai pensato a quanto fosse difficile vivere in altre epoche? 
Vi capita di considerare, in un romanzo ambientato in epoche passate, a come si dovesse vivere? 

22 commenti:

  1. Leggendo la tua particolare recensione mi è tornato in mente il maggiordomo Stevens di Lord Darlington in “Quel che resta del giorno” Pur non appartenendo alla categoria dei “lower servants” vive anche lui l’atroce destino comune a tutti i servitori descritti nei romanzi dell’epoca. Tutti esistono come ombre, impiegano la loro vita in funzione dei loro “signori e padroni”. Stevens non assiste il padre morente per non compromettere il perfetto servizio di una cena, importantissima per il suo padrone, ignorando tutto il resto della sua vita, anche i sentimenti.
    La loro è una “non presenza”, non esistono come persone ma esistono come ingranaggio della vita dei loro signori
    Sempre in “Quel che resta del giorno” Stevens trema all’idea di dover perdere la governante e dover rimettere mano a quell’impalcatura su cui la quotidianità delle case era fondata. Andando più giù nella scala dei servitori era considerato poi inopportuno che le “serve” potessero mai pensare di allontanarsi dalla casa che le aveva accolte, togliendole dalla strada, per crearsi una loro vita e creare disagio nella loro sostituzione.
    Questo romanzo, hai perfettamente ragione a sottolinearlo, rende “visibili gli invisibili”

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    1. Cara Caterina, questo tuo riferimento al bellissimo romanzo di Ishiguro e al suo protagonista (che Anthony Hopkins rese magistralmente sul grande schermo) mi riporta alle atmosfere di una casa importante immersa nella campagna inglese, a quel rapporto di altissima stima fra "padrone" e primo maggiordomo. Quello che mi colpiva di quella storia era proprio questa fiducia assoluta, il bisogno palesemente espresso per un nobile di circondarsi di persone affidabili e indefesse, e su tutte porre una persona sulla quale avrebbe potuto contare anche per consigli di natura personale. È evidente che in certi casi si venisse a creare un "legame", sebbene la distanza sociale fosse sottolineata nel momento in cui l'incrinatura si concretizza nel rischio che un particolare servizio non sia del tutto perfetto. La dedizione assoluta di questa servitù li porta al sacrificio totale di sé, e quanto era struggente quell'angoscia di Stevens che si divide fra il servizio a tavola e il padre morente, al quale è profondamente legato?
      Quella storia è emblematica di come per un uomo con alto senso del dovere e votato al suo padrone sia impossibile anteporre i propri desideri alla missione di servire in modo perfetto. Anche a costo di abbandonarsi al rimpianto molto tempo dopo, quando quell'impalcatura si sfalda sotto la sferza della Storia e lo sguardo di Stevens può posarsi su quanto ha perduto.

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  2. Ho sempre pensato che i romanzi della Austen considerassero solo una certa categoria sociale. Le signorine Bennet sono sì povere, senza dote, ma non così povere se possono comunque permettersi di non lavorare e di avere della servitù. Probabilmente anche lei scriveva di ciò che conosceva, primo consiglio di scrittura creativa, ma soprattutto scriveva per il pubblico che all'epoca poteva permettersi di leggere. Dubito fortemente che Sarah leggesse, ne avesse modo e tempo.
    Forse anche per questo apprezzo di più la realtà di Hardy, che in Tess dei d'Urberville ha avuto il coraggio di raccontare non solo degli invisibili, ma dei reietti.
    Per il resto, non è un'epoca così lontana per me. Quand'ero bambina, i miei nonni in campagna avevano il pitale sotto il letto per la notte, svuotato ogni mattina sui campi. C'era il "casotto" d'emergenza nell'orto, che puliva mio nonno con il badile (tale e quale a quello descritto da zia Diana in Outlander, nella tenuta Fraser in mezzo alle montagne americane, dove il piccolo Lord Grey si trova quasi punto da un serpente - ed era anche il mio terrore!). Il bagno di casa fu rifatto nei primi anni '80, finalmente con tutti gli accessori giusti. La lavatrice arrivò in quel periodo, prima mia nonna usava proprio una enorme tinozza, la tavola da lavare in legno (che io invece usavo come rampa per i tuffi di Barbie :D ), il sapone di Marsiglia e "Ava come lava". Ma ricordo lo stupore quando la vidi prendere la cenere dal camino per togliere una macchia! E quando diventai "signorina" mi raccontò che ero fortunata a poter usare assorbenti usa e getta, che ai loro tempi se li dovevano lavare a mano. Sempre zia Diana in Outlander, ha scritto in un punto che tra neonati e donne col ciclo, durante un viaggio non facevano che lavare panni, disinfettarli nell'acqua calda e stenderli ad asciugare tra gli alberi. :)

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    1. Penso anch'io che potesse descrivere e romanzare proprio ciò che conosceva bene. Che poi questo diventa il valore aggiunto dei suoi romanzi: ci offrono uno spaccato della quotidianità muovendosi fra una piccola nobiltà di campagna e una nobiltà più raffinata e colta. Proprio dove lei si "incastrava".
      Anch'io ho pensato qua e là che proprio il personaggio di Sarah fosse un po' lontano dai canoni dell'epoca, se non altro in alcuni atteggiamenti che oscillano fra il desiderio di libertà e le imposizioni imposte anche il suo bassissimo rango. Il rischio è sempre cadere nelle conseguenze di una seduzione, e sappiamo bene quanto ciò fosse tragico da romanzi come Tess e I miserabili.
      Decisamente anch'io ho apprezzato di più Hardy e non potrei dire che Jo Baker sia all'altezza dei grandi romanzieri destinati a lasciare una traccia profonda. Il romanzo comunque è validissimo, lo stile è buono, l'intreccio mi piace.
      Quanto ai tuoi ricordi, mi hai riportato alla mente che mia nonna e per un tratto della sua infanzia mia madre, utilizzavano il pitale di notte e avevano il bagno esterno alla casa, in cima a una scala esterna. Mia madre mi raccontava che da piccola assisteva sua madre che lavava i tessuti con la cenere, cose che a me sembravano assurde. :)

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  3. Questa recensione mi ha commossa. Mi è tornata in mente la vita di mia nonna, serva di casa borghese. Finalmente qualcuno le ha dato voce

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    1. Queste narrazioni ci pongono di fronte a realtà semisconosciute che hanno fatto parte anche delle nostre vite, in via diretta o indiretta.
      Grazie per averla apprezzata, Elena.

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  4. Bellissima recensione che mi ha suscitato il desiderio di leggere il libro. Ho visto e rivisto Orgoglio e pregiudizio in tutte le edizioni e concordo con chi ha fatto qui sopra riferimento al maggiordomo Stevens di "Quel che resta del giorno", film splendido e magistralmente interpretato non solo da Anthony Hopkins ma anche da Emma Thompson. Proprio questo film mi è venuto in mente vedendo qualche puntata di Downton Abbey, serie che credo vi si sia in certi aspetti ispirata.
    Scusa se ho divagato un po' e grazie!!!

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    1. Ci viene spontaneo divagare perché sono storie che rievocano un mondo al quale siamo legati, perché stuzzica la nostra immaginazione, arricchisce l'immaginario, crea la suggestione di un mondo talmente diverso dal nostro e talmente pieno di significati. Le tue divagazione sono le mie stesse. Grazie per essere passata. :)

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  5. Originale l'idea.
    Sì, spesso penso a come si viveva nel passato, e non solo leggendo romanzi ambientati in altre epoche. Mi basta ascoltare i ricordi dei miei genitori, ripensare a tutto quello che mi raccontava mia zia, limitazioni incredibili ai nostri occhi ma normali ai suoi tempi (per dirne una: mi diceva che quando lei era bambina bastava un'appendicite per tirare le cuoia, quello che per noi è un intervento di routine, quando era bambina lei era un intervento delicatissimo in cui spesso capitava che il paziente moriva...)
    In fondo noi siamo dei privilegiati.

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    1. Il progresso ha modificato la quotidianità, la percezione di una problematica, tutto. Mi capita di pensare proprio alla generazione di coloro che hanno vissuto il cambiamento più vistoso (il nostro è stato solo il passaggio dall'analogico al digitale) e dire che sono stati fortunati, hanno vissuto le epoche più significative.

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  6. In effetti in un qualsiasi fantasia uno parte già con armatura e cavallo bardato ma era molto più probabile che nella realtà dell'epoca uno finisse per fare la vita di James.

    Hai fatto una bella riflessione. È un tema decisamente interessante, ed è vero che troppo spesso tentiamo a dimenticare gli umili perché troppo abbagliati dallo splendore della finestra dei grandi (sia della storia che dei romanzi). Ricordo che lo storico Barbero in una puntata disse che avrebbe dato un braccio per avere un colloquio con un uomo/donna del medioevo e capire come pensava e cosa desiderava.

    Sicuramente oggi abbiamo una vita più complessa e frenetica di quella dei nostri antenati ma di certo non vorrei vivere nella loro epoca (basti pensare alle varie malattie che falcidiavano ciclicamente la popolazione).

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    1. Citi il Medioevo e quello che mi stupisce è che nell'800 del romanzo c'erano ancora tante malattie fatali, igiene scarsissima, alimentazione minima e non distribuita equamente. Il dislivello del tenore di vita fra borghesi e servitù era del tutto sbilanciato. E poi impressiona il fatto che accettare questo tipo di vita significasse evitare vivere di miseria per strada. Insomma, era perfino una enorme fortuna.

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  7. Non c'è dubbio che nel passato c'erano classi sociali sfruttate e le donne erano trattate come persone in cerca "del buon partito" da sposare. Penso a coloro che servivano nelle case dei ricchi, come alcuni commenti hanno descritto. Ma esisteva la realtà per cui non si pensava minimamente ad una indipendenza femminile (figurati...).

    Negli anni '70 del secolo scorso (lo dico perché a volte lo dimentichiamo) sono state fatte delle riforme che l'Italia non aveva mai visto. Tanto per dire il nuovo statuto dei lavoratori del Prof. Gino Giugni (che finalmente chiudeva l'epoca del vecchio sfruttamento dell'inizio del secolo), il nuovo diritto di famiglia (una riforma che la si aspettava da un secolo), l'allargamento del diritto di voto ai diciottenni (di cui io stesso ho usufruito), le lotte sui diritti civili e l'obiezione di coscienza...e mi fermo qui ma c'è tanto altro.

    Molte di queste riforme sono figlie del '68 ma le abbiamo avute anche grazie a Marco Pannella, alla Bonino e ai Radicali (che non finirò mai di ringraziare).

    Quindi, in definitiva, la riflessione che hai fatto, molto bella e storicamente perfetta, quando l'ho letta mi ha catapultato indietro nel tempo rispetto ad oggi. Perché oggi è vero che ci sono molto diritti infranti ma ci sono anche molte leggi a difesa di chi è stato messo da parte. Ma vedo che non basta e il sistema democratico è sempre migliorabile.

    Spero di non essere uscito fuori tema.
    Un salutone

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    1. Non sei uscito affatto fuori tema, anzi. Proprio in occasione del mio precedente post ci è capitato di riflettere sulla società degli anni Settanta, e le problematiche citate in questo post ci portano verso ulteriori riflessioni.
      Quando in Storia arrivo in prossimità degli anni '60 e '70, in quel ventennio fra fine della ricostruzione e inasprimento di tante problematiche, in una Guerra fredda che ancora rendeva difficili le strategie di comunicazione, ebbene, si raggiunsero grandi traguardi, non manco mai di ricordarlo. Sì, il diritto di famiglia, assieme a divorzio e aborto, sono stati tutti orientati verso un tentativo di risoluzione di problemi legati soprattutto al ruolo femminile.
      Se, insomma, un tempo il matrimonio andava a garantire, come solo istituto, una serie di diritti, un secolo dopo la famiglia stessa veniva ridiscussa attorno al matrimonio, veniva perfezionato e corretto il diritto allo scioglimento e tutto il corollario delle sue conseguenze. Ogni epoca trascina con sé una trasformazione dei problemi, e in effetti il sistema democratico è sempre migliorabile, quello perfetto è stato perfino definito utopistico.

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  8. È bello che ci sia un romanzo scritto dalla parte dei poveri, di coloro che restano nell’ombra al servizio dei loro padroni. In effetti mi è capitato spesso di pensare a come fosse difficile in certe epoche, per esempio quando ho visto il film in tv “I miserabili” vedere i bambini poveri trattati come schiavi per un tozzo di pane mi ha colpito profondamente, ma tutto sommato in altre parti del mondo succede anche oggi.
    Riguardo ai lavori di fatica delle donne abbiamo esempi anche non andando troppo indietro nel tempo, ricordo per esempio che mia madre lavava nella vasca da bagno le coperte del letto ed era per lei davvero faticoso, era un periodo che non erano così diffuso portare certi capi in lavanderia. C’è stato anche un momento in cui non avevamo ancora in casa la lavatrice e mia madre lavava tutto a mano, le venne un allergia ai detersivi e si riempiva le mani di piaghe, con l’avvento della lavatrice la situazione migliorò. Credo che certe invenzioni siano state davvero rivoluzionarie per le donne.

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    1. Delle epopee narrate da Hugo o da Dickens, per citarne due, anche a me ha sempre fatto un certo effetto vedere in quale abominevole triste spettacolo vivessero i bambini e in generale tutta la società che viveva in condizioni di grave indigenza. È impressionante come non esistessero diritti anche basilari.
      Anche mia madre ha fatto tanti sacrifici, sembra che tu stia scrivendo anche di lei. :)

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  9. Brava la Baker ad avere regalato una storia anche a questi “ultimi” della società. Lo sai che, spesso, quando leggo certi romanzi, mi viene spontaneo pensare alla vita non narrata di personaggi secondari o di semplici comparse? Trovo che sia una grande idea quella di raccontare la vita di figure che si muovono, in sordina, nei grandi romanzi.
    E poi, davvero, oggi, fare quei lavori sarebbe impensabile! Ricordo solo (e ne ho riso tanto) quando mia suocera, all’epoca della nascita di Enrico (cioè vent’anni fa, non nel 1800 😂) voleva rifilarmi i famosi ciripà, che erano quei pannolini lavabili di lino o di cotone e io ho gentilmente declinato l’offerta! 😂

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    1. Diciamo che tanti amatissimi protagonisti non avrebbero potuto fare né essere senza questa moltitudine di invisibili.
      Ah... quei ciripà, nella famiglia di mia madre erano i ciripanni. Ma sai che mi ricordo mia madre che li stende sul filo e io che guardo? XD

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  10. Lessi questo romanzo diversi anni fa e ricordo che mi piacque.

    Ho sempre pensato quanto potesse essere difficile vivere nelle epoche passate, specialmente se mi trovassi catapultata in una di quelle epoche dopo l'esclusiva esperienza del presente. D'altro canto mi capita anche di pensare che, in un lontano futuro, i posteri potranno pensare che anche il nostro attuale modo di vivere sia parecchio duro.

    Mi capita sempre di pensare in un romanzo ambientato in epoche passate come si dovesse vivere... il solo vaso da notte mi dà i brividi, figuriamoci il resto e il peggio.

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    1. È una cosa a cui non pensiamo ed è plausibile: anche noi probabilmente stiamo vivendo in modo faticoso per gli esseri umani del futuro. Nella più felice e fantasmagorica delle ipotesi, tutto potrebbe essere come nei migliori film di fantascienza, a portata di un clic. :)

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  11. Sicuramente diamo per scontata la fortuna di vivere nell'epoca contemporanea che, per quanti problemi si possano avere, ha fortune innegabili.
    Tempo fa ho letto un racconto di Bester dove il protagonista scopre che nel futuro le persone sono scontente e decidono di vivere nel passato a cui, grazie a un'intelligenza empatica superiore alla nostra, riescono ad adattarsi perfettamente. Non è così per il protagonista che, dopo averli scoperti, è costretto a essere trasferito in un'epoca passata anche lui. E' così scopre che il suo sogno di vivere nel passato non è così affascinante, perché già far comprendere il proprio idioma è un bel problema...

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    1. Il passato romanzato tanto bene nei libri che amiamo leggere in realtà è un tempo difficile e molto poco romantico. Cosa che i tanti appassionati del regency e vittoriano non riescono a intendere. Ma basti pensare anche ai tanti agognati e vagheggiati anni Sessanta. Nel passato tutto diventa più bello, preferibile, mille volte migliore. Ma i problemi e gli infelicissimi sono leit motiv di ogni epoca.

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