mercoledì 22 gennaio 2020

Come iniziare una narrazione? L'importanza dell'incipit.

Calvino, nell'Appendice alle sue Lezioni americane scrive: 
Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo [...] il mondo dato in blocco senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita [...]. Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare. 

Come mi sia balenato in mente questo argomento è presto detto: nei momenti liberi in questi giorni sto riordinando la libreria, pronta a impacchettare il tutto per il trasloco - ci vorranno un paio di mesi ancora ma io mi porto avanti - così mi lascio tentare e apro libri su libri, sfoglio, rileggo, ripasso incipit ed explicit.
L'incipit è un tema ormai declinato in tutte le salse in molti blog a tema letterario, ma voglio provare anch'io a farne un post dignitoso. Lungi da me pretendere di farvi una lezione sull'importanza dell'incipit, vorrei solo offrire qualche stimolo di riflessione in più su questo elemento della narrazione. 
Sappiate intanto che mi capita di fare lezioni a scuola sull'importanza dell'incipit a ragazzi che devono essere invogliati a leggere, insomma per mestiere e missione. La cosa il più delle volte attira, perché in fondo sai che se leggi a voce alta, con la giusta intonazione, loro stanno a sentire.

Mi capita di leggere ad esempio l'incipit dell'autobiografico Se questo è un uomo, dopo una lunga premessa sui contenuti del libro:
Ero stato catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione. 
La forza di questo incipit sta nel portare il lettore fin da subito dinanzi all'amara verità. L'autore si concede solo il preambolo di tratteggiare appena alcuni aspetti del suo carattere. Levi è un giovane nel pieno dei suoi anni, intrappolato nelle maglie della Storia. Sembra dirci: "Eccomi, questo ero io quando iniziò il mio calvario". 

Uno degli incipit stranoti e tipicamente d'effetto è quello della Metamorfosi di Kafka:
Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sulla schiena, dura come una corazza, e per poco che alzasse la testa poteva vedersi il ventre abbrunito e convesso, solcato da nervature arcuate sul quale si reggeva a stento la coperta, ormai prossima a scivolare completamente a terra. 
Qui l'autore invece porta il lettore dinanzi a una scena, descritta magistralmente come un regista del grande schermo. Sembra che si stiano tratteggiando linee e ombre di un layout.

Da acquirente compulsiva di libri, ne ritrovo moltissimi ancora da leggere. Gli incipit che seguono sono tratti da storie a me ancora sconosciute. 

Un incipit di grande effetto, dal romanzo Fine di una storia di Graham Green: 
Un racconto non ha principio né fine: si sceglie arbitrariamente un certo momento dell'esperienza dal quale guardare indietro, o dal quale guardare in avanti. Dico "si sceglie", con l'orgoglio generico di uno scrittore professionista il quale - se e in quanto è stato seriamente notato - è stato lodato per la sua abilità tecnica; ma sono poi veramente io che di mia volontà propria ho scelto quella nera e umida sera di gennaio sul Common del 1946, e lo spettacolo di quell'Henry Miles curvo a schermirsi contro i vasti rovesci della pioggia; o sono state queste immagini a scegliere me?
Fa un effetto straniante, non si può negare che avvinca fin dalle prime righe, perché ci porta dinanzi a una struttura che parrebbe a più livelli e siamo curiosi di scoprire come va avanti.

Vediamo l'incipit di Rinascimento privato, di Maria Bellonci, ambientato nel 1533:
Il mio segreto è una memoria che agisce a volte per terribilità. Isolata, immobile, sul punto di scattare, sto al centro di correnti vorticose che girano a spirali in questa stanza dove i miei cento orologi sgranano battiti diversi in diversi timbri. Se alzo il capo li vedo fiammeggiare, e ad ogni tocco di fuoco corrisponde un'immagine. Sempre sono trascinata fuori di me dalla tempesta di vivere. Che cosa è il tempo, e perché deve considerarsi passato? Fino a quando viviamo esiste un solo tempo, il presente. 
Beh, direi che sarei portata a continuare - e prima o poi dovrò pur leggerlo. Sono entrambi incipit con narrazione in prima persona. Ha una certa forza interna questa modalità, è innegabile, pur con tutti i suoi limiti. 

Ed ecco un altro libro che aspetta da un paio di annetti, Trilogia di New York di Paul Auster. L'incipit di Città di vetro recita così:
Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all'apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso. Ma questo fu molto tempo dopo. All'inizio, non c'erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito a partire dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo. 
Una pace perfetta di Amos Oz inizia così:
Uno prende e se ne va altrove. Quel che si è lasciato alle spalle resta lì e lo osserva mentre se ne va. Nell'inverno del Sessantacinque Yonatan Lifschitz decise di mollare sua moglie e il kibbutz in cui era nato e cresciuto. S'era messo in testa di cominciare una nuova vita. 
Finisco di citare con l'incipit di Pastorale americana di Philip Roth:
Lo Svedese. Negli anni della guerra, quando ero ancora alle elementari, questo era un nome magico nel nostro quartiere di Newark, anche per gli adulti della generazione successiva a quella del vecchio ghetto cittadino di Prince Street che non erano ancora così perfettamente americanizzati da restare a bocca aperta davanti alla bravura di un atleta del liceo. Era magico il nome come l'eccezionalità del viso. Dei pochi studenti ebrei di pelle chiara presenti nel nostro liceo pubblico prevalentemente ebraico, nessuno aveva nulla che somigliasse anche lontanamente alla mascella quadrata e all'inespressiva maschera vichinga di questo biondino dagli occhi celesti spuntato nella nostra tribù con il nome di Seymour Irving Levov. 
La sontuosa scrittura di Roth delinea i tratti di questo giovane ebreo, raccontato attraverso la voce di un altro, un osservatore-narratore del quale sapremo.
Potrei continuare con i tanti libri ancora da leggere, che il solo incipit invita a scoprire, ma questi esempi possono bastare.

In medias res. Una regola aurea.
L'incipit è quell'elemento necessario a catturare l'interesse del lettore, è il primo incontro fra scrittore e fruitore del testo, per cui deve contenere tutti quegli elementi indispensabili a suscitare uno stimolo di curiosità, di conoscenza. 
Nella narrativa contemporanea lo scrittore tende a entrare nel mezzo della situazione, dell'azione, come si dice in gergo "in medias res". È un attacco di certa efficacia, come dimostrano alcuni degli incipit citati. Possiede il merito di farci entrare nel racconto mediante una "sospensione", piuttosto che muovendo i primi passi in un territorio che va delineandosi dallo scenario alla schiera di personaggi. Questa è stata invece la tendenza di tanta letteratura classica. 
Nel caso di Auster, l'attacco in medias res, accompagnato da un certo tono drammatico, fa sorgere nel lettore la curiosità di chiedersi cosa ci sia sotto, se chi ha sbagliato numero si farà vivo anche in seguito. Si avverte anche una certa ineluttabilità in quelle righe. 


Mostrare, non dire. 
Una delle regole basilari della buona scrittura è non lasciarsi tentare dalle numerose descrizioni, scegliendo invece di lasciare agire i vari personaggi. Questo vale soprattutto per l'incipit. Se descrizione vi deve essere, lo scrittore si concede di diluirla nel corpo della narrazione, evitandola all'inizio, perché quell'inizio serve a ben altro.
Sappiamo se chi riceve quella telefonata ne è stato spaventato? Auster non ce lo rivela. Dobbiamo scoprirlo noi, spingendoci a leggere. Anche perché si delinea una specie di gioco che ci piace giocare senza che alcuno ce ne riveli i dettagli. 
Auster sceglie per altro una scrittura "spezzata", una tipica paratassi, il che aiuta il suo intento. 

Scrivere è qualcosa di estremamente difficile, conoscerne le regole può aiutare. 
E anche se non intendiamo scrivere una storia nostra, conoscerle è ugualmente stimolante, poiché si svelano strutture labirintiche o semplici, insomma si comprende il segreto del linguaggio e le infinite possibilità delle parole di combinarsi fra loro e concretizzare un "qualcosa". 

Quali incipit vi hanno catturato in modo particolare? 
Preferite lo stile classico o contemporaneo? 

52 commenti:

  1. Per me ai primi poati resta l'incipit di "cent'anni di solitudine" che non a caso ti cito a memoria: "Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe
    ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio."
    Passato, presente, futuro, suspense aspettativa e personaggio in una frase. Un romanzo in due righe.

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    1. Indubbiamente un incipit d'effetto. Ho questo celeberrimo romanzo, ma... pensa un po', non sono riuscita a finirlo. Non so se si sia trattato di un momento un po' così, ma lo abbandonai dopo una trentina di pagine. Ma non mi arrendo, eh.

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    2. quando finii di leggere Cent'anni di solitudine pensai: Adesso lo ricomincio daccapo.e ricominciai

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    3. Lo ricominciasti per capire meglio o perché ti aveva sconvolto di bellezza?

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    4. Effetto che comprendo. Credo possa venire voglia di ricominciare perchè è un racconto potenzialmente infinito e ti viene voglia di pensare che non debba finire mai. Io ricordo all'ultima riga di aver pensato "Come si fa a leggere altro dopo aver letto questo? E scrivere dopo che qualcuno ha scritto questo?" Poi per fortuna non c'è mai fine nè alla lettura nè alla scrittura

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    5. per reimmergermi in quell'universo mondo

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    6. Se due fra le persone che più stimo sono uscite da questa lettura con queste sensazioni, allora mi metterò d'impegno e lo leggerò da brava lettrice che supera un impasse. :)

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  2. parlando di incipit, sto con Snoopy e scelgo sempre Moby Dick: "Chiamatemi Ismaele" (Call me Ishmael, c'è la versione recitata da Orson Welles e ogni tanto me la ascolto). Ce ne sono di belle anche in campo operistico, come nell'Aida (un dialogo già iniziato tra due personaggi) o nel Nabucco (il coro violento e spaventato) o magari la Walkiria di Wagner, con il protagonista braccato che corre a ripararsi in un luogo che non promette bene.
    Però sto divagando, grazie per avere iniziato con Primo Levi.

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    1. È bellissimo questo parallelo con l'opera. Anzi, mi piacerebbe saperne di più. Dai, dedicaci uno dei tuoi post sul tuo blog. :)
      In generale, ricordo gli incipit delle opere di Verdi e qualcosa di Rossini. Mi piacciono quelle ouverture, una sorta di premessa elegante che introduce ai contenuti dell'opera.

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    2. in teatro è importante catturare subito lo spettatore, Verdi sapeva benissimo come fare ma vale anche per la prosa, la Tempesta di Shakespeare inizia in modo spettacolare per poi presentare qualcosa di profondo e filosofico (anche se in un ambiente da fiaba)

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    3. Ho la sensazione che chi va a teatro abbia già fatto in certo senso una scelta. Lo si sceglie perché la maggior parte delle volte lo si ama a prescindere. I lettori di un libro invece lo sfogliano prima di acquistarlo per cercarvi qualcosa che li conquisti, che li faccia decidere a prenderlo. Forse non sono in fondo due forme di comunicazione paragonabili se guardiamo alla scelta dell'autore di impostare un determinato incipit. Ma tu ne sai indubbiamente più di me. :)

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  3. In genere non basta un incipit a spingermi alla lettura, devo capire anche in base alla sinossi e alla lunghezza del libro se sono in grado di arrivare sino in fondo.
    Tra i mie incipit preferiti ci sono quelli di "Uno Nessuno e Centomila" e di "Moby Dick".

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    1. In effetti, anch'io non scelgo in base all'incipit, anzi. Diciamo che nel momento in cui si è in possesso di un romanzo o un racconto, studiarsi come l'autore esordisca è un bell'esercizio di comprensione della tecnica. :)

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  4. Gli esempi di incipit che hai portato mi piacciono tutti. In generale preferisco lo stile contemporaneo a quello classico. Mi disturba un po', invece, che l'autore debba curare l'incipit non come farebbe per ogni parte della sua creatura, ma con attenzione spasmodica, perché è probabile che l'editore legga soltanto le prime righe, o pagine, del manoscritto. In fondo all'editor costerebbe poca fatica trovare un buon incipit per una storia che funziona. Ipotizzando l'autopubblicazione, invece, bisogna fare veramente del proprio meglio.

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    1. Io mi sono formata sui classici, la letteratura contemporanea è stata una scoperta abbastanza recente. Un peccato, perché ignoravo un intero mondo di scrittori, stili, ispirazioni.
      La mia scrittura difetta di questo andamento un po' retrò, ma tuttora non mi dispiace lo stile classico, pur amando molto anche quello contemporaneo. Direi che ciascuno ha il suo "perché".
      Quanto all'esordire, eh sì, l'incipit in tal caso è tutto.

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  5. Sei riuscita a rendere interessante un argomento molto discusso (ma non sufficientemente trattato). Non ricordavo quel passaggio di Calvino e adoro tutti gli incipit che hai scelto (eccetto Pastorale americana, ma ho un problema con Roth, non mi piace il suo stile sontuoso e prolisso) al punto che quasi mi demoralizzo pensando ai miei : D
    Preferisco lo stile contemporaneo e mi piace molto l'approfondimento sul medias res. Difficile da rendere, come è difficile far parlare i personaggi. Ma dubito che esista davvero una scuola che possa insegnarci come scrivere un incipit. Forse è la forza del contenuto che rende i migliori tali.

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    1. Mi incuriosiscono le scuole di scrittura americane. Seguendo diverse trasmissioni televisive sul tema, ho capito che devono aver individuato "come" insegnare a scrivere. Anche perché è innegabile che ci siano dei dettami di base. Certo, se non si ha quel quid da scrittore, hai voglia di frequentare scuole, non ci sarebbe nulla da fare.
      Grazie per aver apprezzato, Elena. :)

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  6. “E ora dammi le parole.”

    Questo è l'incipit di Memoria del vuoto di Marcello Fois.
    Già quella prima frase fu una sorpresa, una immediata sospensione del respiro, occhi chiusi in una pausa, non lunga non breve.
    E poi subito a rileggerle quelle cinque parole: un sussurro di Omero e Virgilio, un ricordo bisbigliato della prima adolescenza insofferente e indifferente alle letture scolastiche obbligate, la dolcezza della rilettura nell'età adulta delle scelte meditate e delle meditazioni sulle letture scelte.
    L'invocazione alla Musa: ma quale Musa? chi è la Musa che Fois chiama? perché Fois chiama una Musa?

    “La notte dell’eccidio la luna piena, grassa e sudata, se n’era stata appollaiata per ore sulla schiena della montagna. Pochi fili di nubi facevano l’effetto dei capelli scomposti sulla fronte. Se n’era stata così la luna, a bersi l’orizzonte frastagliato come il bordo di un guscio d’uovo spaccato in due, pigra di una pigrizia quasi morte, quasi fosse il primo sonno.”

    Questa è la seconda frase.
    Una scena precisa e dettagliata in pochi tratti, una notte che tutti abbiamo già incontrato e visto nella vita.
    Ma una luna diversa, grassa sudata appollaiata pigra assonnata che si beve l'orizzonte.
    Antropomorfa, sì, ma non mitologica, proprio diversa da quelle fredda e bianca, quella luna lunare e algida della Diana Ecate che abbiamo sedimentato nel nostro immaginario.
    Come può non essere gelida e distante la luna che assiste a un eccidio, al compiersi di un destino senza scampo, un destino da bandito iniziato quando un bambino vede negare al padre un sorso d'acqua in una notte di luna chiara e fredda...

    Marcello Fois
    Memoria del vuoto

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    1. Fa un certo effetto, non posso dissentire, ma... qualcosa non mi piace. Vediamo.
      Non mi piacciono i due aggettivi "grassa e sudata" attribuiti alla luna. Non mi piace il verbo "appollaiata", avrei preferito un classico "adagiata". Non mi piace neppure quell'azione del "bersi l'orizzonte frastagliato". In generale, se personificazione deve esserci, credo che si sia riservato termini che non preferisco. Hai ragione tu, non è la luna mitologica cui ci hanno abituati i testi classici, ma io la preferisco com'è stata concepita da tradizione, misteriosa, irraggiungibile, algida. Vero è che si coglie quanto quella luna abbia fatto da spettatrice a un eccidio, quindi... probabilmente viene percepita dal narratore come diversa da quell'immagine lontana e austera consueta. E perché invece non creare un contrasto fra la barbarie e la Bellezza, anche se magari chissà quanti scrittori ci sono già passati? Nel fulgore di quella luce lunare si compie un eccidio, quindi il massimo del contrasto. Io l'avrei visto così. :)

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    2. ma la luna di Fois in quel suo contesto è gialla, e opaca, grande, e fosca. e sta lì appollaiata come la Sfinge sulla sua rupe tagliente, pronta a porre il suo malefico quesito a chi passa. non può essere adagiata, sarebbe serena, e invece è torbida

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    3. Dopo averne visto la foto, comprendo la scelta dei termini, sebbene "infelice".

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  7. Trovo anche di grande effetto (ed anche elegante) l'incipit di IT, con quel passare dall'assoluto al piccolo particolare in una sola frase, come ad annunciare al lettore 'guarda, sto per raccontarti una storia pazzesca, enorme, lunghissima, ma lo farò raccontandoti di cose piccole, quotidiane, semplici'. Grande scrittore King: "Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse anche di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia."

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    1. Qui siamo a un geniale scrittore di romanzo di genere. Piace molto anche a me. Narratore diretto, in prima persona, l'annuncio di un lungo periodo di assassinii, il dettaglio della barchetta di carta. Aggiungerei anche il marciapiede e la pioggia: io, scrittore, non dico ma mostro, il tuo occhio di lettore diventa una camera che segue una barchetta di carta lungo un rivolo d'acqua formato dalla pioggia. Già immaginiamo che deve esserci un tombino da qualche parte, che forse inghiottirà la barchetta. :)

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    2. Dissento solo sulla definizione di "scrittore di genere". King ha superato i generi da tempo, almeno da "Dolores Claiborne" (Capolavoro totale, narrativamente e addirittura linguisticamente per me. E, per quanto ne possa capire, secondo me anche passibile di diventare, con un lavoro fatto da chi ci capisce :-), una straordinaria pièce teatrale ;-) )

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    3. Mi hai chiesto cosa, Andy Bissette? Se “capisco i diritti che mi hai spiegato”? Miseria! Com’è che certi uomini sono così gnucchi?
      No, una bella calmata te la dai tu. Mettiti la lingua in saccoccia e dai retta tu a me per un po’. Ho idea che avrai da ascoltarmi per quasi tutta la notte, perciò ti consiglio di metterti il cuore in pace. Sicuro che capisco quello che mi hai letto! Credi che mi sono fatta fuori tutto il cervello da quando ti ho visto giù al mercato? E’ stato lunedì pomeriggio, nel caso che hai perso il conto dei giorni. Ti ho avvertito che tua moglie te ne diceva di cotte e di crude per quel pane vecchio che hai comprato. Sperperare i dollari per risparmiare centesimi, come si suol dire. Scommetto che ci ho visto giusto, eh?
      Capisco benissimo i miei diritti, Andy, mia madre non ha tirato su citrulli. Capisco anche le mie responsabilità, che Dio mi assista.
      Qualunque cosa dico può essere usata contro di me in tribunale, giusto? Oh, be’, il mondo è bello perché è vario! E tu levati dalle faccia quel sorrisetto furbastro, Frank Proilx. Ora come ora sarai anche l’eroe della città, ma guarda che non è passato poi tanto dall’ultima volta che ti ho visto scorrazzare con il pannolino gonfio e quello stesso sorrisetto da scemo in faccia. Ho un piccolo consiglio da darti. Quando hai a che fare con una vecchia lenza come me risparmiati il ghigno. Ti leggo più facile di una pubblicità di mutande in un catalogo della Sears.

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    4. Riguardo a "Dolores Claiborne", diventò già un film, girato nel '95 che, colpevolmente non ho mai visto. E di nuovo colpevolmente non ho ancora letto questo romanzo. Insomma, sono già due romanzi che devo acchiappare dai commenti a questo post. :)
      Una sua riduzione teatrale? Sai che avevo già pensato a raccontare "Misery non deve morire"?
      E poi... Wow, quel brano. Più che scrittore di genere in effetti è già così un ottimo sceneggiatore oltre che scrittore sopraffino.

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    5. Il film è un buon film con una Bates al solito strepitosa, ma non può riprodurre il flusso di un monologo pazzesco privo di interruzioni (non ha capitoli, paragrafi, niente) che ti trascina inesorabilmente nelle pieghe di una storia pazzesca con un ritmo narrativo e una penetrazione psicologica sorprendenti. Dai retta, leggi il libro senza vedere prima il film (ti rovinerebbe alcune scoperte notevoli). E poi mi dici se non meriterebbe di essere raccontata anche su un palcoscenico (che forse potrebbe anche rispettare maggiormente lo schema è lo stile narrativo)

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    6. Va bene, seguirò il tuo consiglio. Di King ho letto solo Stagioni diverse, ma mi manca ancora tanto da colmare, incluso It.

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  8. Per quanto mi riguarda l'incipit è una di quelle cose che mi spinge o meno a decidere se comprare e leggere un libro, credo che sia in generale una delle vetrine più importanti, il biglietto di presentazione dello stile dell'autore.

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    1. Sì, a detta di molti uno scrittore vero si riconosce dai suoi incipit.

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  9. Credo che tu abbia raccontanto molto bene l'importanza degli incipit. Per quel che mi riguarda, l'incipit deve essere onesto. Ultimamente ho trovato ottimi incipit a storie mediocri. Oppure incipit che spostavano l'attenzione, creavano un'attesa non congruente con quello che poi veniva narrato. Ecco, l'incipit folgorante rimente in testa, ma se poi la storia ti delude o non ci azzecca niente, mi fa solo irritare.

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    1. Non avevo considerato questo aspetto. Possono esserci incipit ben congegnati che poi si rivelano essere la sola cosa più o meno valida di tutta la narrazione. O incipit che "non mantengono la promessa". Grazie, Antonella. :)

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  10. Auster e Roth, uno letto (Roth), l’altro no: questi incipit sono perfetti.
    In genere, è proprio l’incipit che mi convince a continuare la lettura; la prendo larga, cioè non mi fermo alle prime trenta righe, vedo se è il primo capitolo ad acchiapparmi, ma se già quelle prime trenta righe mi distraggono, allora il pregiudizio è bello che formato. Un esempio positivo: ho preso in mano il primo libro de “Il trono di spade” che, lo scorso anno, un compagno di scuola aveva prestato a mio figlio; così, quasi per scherzo, ho voluto leggere le prime pagine, convinta di chiudere il libro e buttarlo in un angolo del tutto disinteressata.
    Sono al terzo volume e, a Natale, mi sono regalata i restanti due. Non mollo la saga ormai da un anno, per colpa di quell’incipit:
    Le tenebre stavano avanzando.
    “Meglio rientrare”. Gared osservò i boschi attorno a loro farsi più oscuri. “i bruti sono morti.”

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    1. Eh sì, quando qualcosa si insinua in un immaginario orizzonte interiore, allora non si può mollare. Noto per altro che questo incipit rispetta perfettamente l'inizio della saga televisiva. Che mi coinvolse fin da subito perché di fatto possiede alcune qualità che assomigliano alla buona narrazione scritta.

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  11. Bellissimo post, Luana! Personalmente non sono così affezionata agli incipit, nel senso che concedo sempre molto tempo agli autori per convincermi (a volte troppo, e lì si apre il dubbio sulla possibilità di abbandonare la lettura) e non è per me determinante che l'inizio sia magnetico. Ciò nonostante, anche su di me alcuni incipit hanno fatto colpo: mi vengono in mente "Il barone rampante", "Sostiene Pereira", "Uno, nessuno è centomila" e "Le intermittenze della morte", ma, se mi mettessi a sfogliare, probabilmente ne citerei altri.

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    1. Calvino e Saramago in particolare sono dei maestri dell'incipit. Mi hai fatto tornare in mente la serie di incipit di "Se una notte d'inverno un viaggiatore", altro tomo da me abbandonato. Lì c'è stato un caso stranissimo: gli incipit erano strepitosi, lo sviluppo mi annoiava. Concedo il beneficio del dubbio, probabilmente era il momento sbagliato, rimedierò.
      Saramago è... strepitoso, semplicemente. Per ora ho letto solo "Cecità" e "Caino" ma conto di procurarmi "Le intermittenze della morte".
      Incipit di "Cecità":
      Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada comminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell'asfalto, non c'è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell'aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica.

      Continua poi con la descrizione di tutte le manovre scattato il verde. Progressivamente passa alla narrazione al presente. Fino a quella frase: Sono cieco.

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    2. Saramago è geniale, dovrò recuperare anche "Cecità" prima o poi.
      Quanto alla preferenza per gli incipit moderni o classici, pensavo che, in fondo, anche i grandi esordi letterari sono, in fin dei conti, in medias res, e che spesso anche i finali più incisivi sono quelli che rimangono sospesi, forse perché siamo naturalmente portati a concepire l'incontro con i personaggi e le loro storie così come sperimentiamo quelli della quotidianità, che arrivano sempre nel pieno del loro svolgimento" e si concludono presto o tardi ma sempre con qualcosa di non del tutto conosciuto.

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    3. Altra riflessione importante: i finali più incisivi sono quelli che restano sospesi. Mi è venuta voglia di dedicare un post ai finali. Perché in effetti anche l'explicit ha una sua fondamentale importanza.

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  12. Mi piace molto l'incipit di Auster, mi incuriosisce e mi fa venire voglia di leggere il romanzo.
    Un incipit che mi ha spinto a comprare il libro e secondo me è molto bello è quello di Rosso Vermiglio di Benedetta Cibrario, una storia d'amore che mi è rimasta nel cuore. Era la prima opera di questa autrice che ha pubblicato con Feltrinelli, purtroppo non ho letto le sue successive opere.
    Invece un incipit che trovo sublime è quello del romanzo Il danno di Josephine Hart, è un incipit che fa intravedere l'anima del protagonista e risponde alle tante domande che ci assillano nel corso del romanzo, ma lo capiamo solo alla fine.

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    1. Il danno. Di questo libro ricordo il film, che fu molto particolare e ben interpretato.
      Ho guardato fra gli scaffali, ricordavo di averlo e invece mi sbagliavo, ho invece L'amante di Duras. Il suo incipit:
      Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo. Si è presentato e mi ha detto: "La conosco da sempre. Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuta a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane".
      Penso spesso a un'immagine che solo io vedo ancora e di cui non ho mai parlato. È sempre lì, fasciata di silenzio, e mi meraviglia. La prediligo fra tutte, in lei mi riconosco, m'incanto.

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  13. Un tempo davo molta importanza all'incipit, che determinava davvero la scelta di un romanzo piuttosto che un altro. Oggi devo dire che non mi influenza più così tanto, però per me resta valido il fatto che un inizio racchiude la voce del narratore e l'atmosfera generale della storia. Indubbiamente il potere di un incipit è grande, come hai illustrato in questi esempi di classici. L'incipit perfetto ai miei occhi è quello che suggerisce un mistero e al tempo stesso ci conduce dentro il personaggio. Invece non amo gli incipit troppo descrittivi, anche se un tempo erano la norma.
    Comunque bello questo tuo viaggio tra i libri causato dal trasloco... :)

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    1. Questo periodo di revisione e ripercorsi mi offre anche la possibilità di riflettere sulla sostanziale differenza fra i romanzi classici e quelli contemporanei. Peccato che la letteratura contemporanea abbia rinunciato quasi del tutto alle descrizioni - mi riferisco esclusivamente ai romanzi di contemporanea che ho letto - perché continuano a rappresentare per me un bellissimo aspetto di una narrazione.

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  14. Tanti autori hanno fatto degli incipit la loro fortuna, come la Du Maurier in "Rebecca" (<>) o Márquez,Dante, Salinger, Austen, la Alcott con il suo "Natale senza regali" o diversi come quello di Williams che comincia con la fine della vicenda di Stoner... Insomma penso che qualsiasi autore o autrice abbia speso tante ore anche per una sola riga.

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    1. E infinite sono le possibilità, poi. Mi hai fatto venir voglia di rileggermi l'incipit di "Stoner". :)

      William Stoner si iscrisse all'Università del Missouri nel 1910, all'età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato di ricerca e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell'università un manoscritto medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei "Libri rari", con la dedica: "Donato alla Biblioteca dell'Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese. I suoi colleghi".

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  15. E me lo chiedi? :D

    "La gente scompare di continuo: chiedetelo a qualunque poliziotto. O, meglio ancora, a un giornalista: le scomparse sono il loro pane quotidiano. Ragazzine che scappano di casa, bambini che sfuggono di mano ai genitori e spariscono senza lasciare traccia.
    Casalinghe frustrate che, avendone fin sopra i capelli, prendono i soldi della spesa e fuggono in taxi fino alla stazione dei treni. Uomini della finanza internazionale che cambiano nome e svaniscono nel fumo di sigari d’importazione.
    Molti di loro vengono ritrovati, alla fine, vivi o morti.
    Alle scomparse, dopotutto, una spiegazione c’è.
    Di solito."

    E in inglese è ancora più da brividi, recitato poi da Catriona Balfe riadattato per la serie tv. Ti giuro, ancora oggi, ho i brividi giù per la schiena e mi tocca preparare i fazzoletti...

    "People disappear all the time. Ask any policeman. Better yet, ask a journalist. Disappearances are bread-and-butter to journalists.
    Young girls run away from home. Young children stray from their parents and are never seen again. Housewives reach the end of their tether and take the grocery money and a taxi to the station. International financiers change their names and vanish into the smoke of imported cigars.
    Many of the lost will be found, eventually, dead or alive. Disappearances, after all, have explanations.
    Usually."

    https://www.youtube.com/watch?v=vkP_mSYUecM

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    1. Credo che funzioni alla perfezione l'uso del presente. L'osservazione del fenomeno, che inserisce il lettore nell'intreccio, insomma, ha fatto davvero un buon lavoro zia Diana. :)

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  16. Gli incipit che hai inserito sono tutti formidabili e potenti, ognuno per il suo genere. A mio parere un buon incipit non solo deve contenere in nuce il senso del romanzo, ma deve contribuire a smuovere qualcosa nel lettore: un'idea, un'emozione, un'immagine, un'intuizione. Non dovrebbe lasciare indifferenti, e non è poco se ci pensi. Certo, poi deve mantenere le promesse implicite...
    La striscia di Snoopy è una delle mie preferite in assoluto, anche perché rispecchia in pieno la mia attenzione ossessiva alla struttura del romanzo. Come dice il proverbio, chi ben comincia è a metà dell'opera! :)

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    1. Forse in tanti casi l'autore ha rimaneggiato l'incipit fino ad arrivare a quello giusto per il proprio romanzo. Prendi me: ho modificato le prime righe, tagliato, inserito un nuovo inizio, con uno sguardo più ampio sulle persone e i luoghi. Però non sono mai, e dico mai, soddisfatta.

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  17. Non ci crederai, ma da mesi ho in programmazione un post sugli incipit, che uscirà tra una settimana.
    Se l'incipit non funziona, bisogna essere davvero convinti per andare avanti a leggere. L'incipit è come un biglietto da visita del libro.

    "Amico lettore, voglio fare un patto con te. Se non ti è piaciuto come ho iniziato, se non ti ho convinto, allora chiudi il libro. Amici come prima. Ma se sono riuscito a incuriosirti, se ti stai chiedendo cosa succederà nella pagina successiva, allora dammi fiducia, e prosegui con la lettura. Perché a ogni pagina io cercherò di fare in modo che tu voglia leggere quella che segue. Voglio che tu, quando sarai arrivato all'ultima pagina del libro, pensi di aver fatto bene a darmi fiducia."

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    1. Leggerò volentieri il tuo post, allora.
      Suppongo che quello citato sia un tuo incipit. Un modo particolare per stabilire fin da subito un patto con il lettore, indubbiamente. :)

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  18. Un post veramente molto interessante e esaustivo... bravissima.

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