La violenza esercitata da adolescenti, un tema purtroppo sempre più emergenziale. L'ultimo di una serie di eventi inquietanti è di pochi giorni fa: a Paderno Dugnano, cittadina del milanese, un diciassettenne ha ucciso a coltellate il proprio fratello minore e i genitori.
Se per la portata mediatica questo delitto ci riporta a casi come quelli di Erika e Omar, Pietro Maso e Ferdinando Carretta, per citare quelli più popolari, basta una semplice ricerca in rete per rinvenire decine di crimini come questo.
Delitti fra le mura domestiche ma poi anche fuori, l'ultimo è quello che ha falcidiato il sedicenne Fallou, ucciso da un coetaneo, ma potremmo citare decine di casi in cui ragazzi neppure maggiorenni picchiano a morte i senzatetto o usano violenza ai propri insegnanti o stuprano in gruppo oppure fanno gare di velocità e uccidono poveri innocenti e molto altro.
Ragazzini. Non giovani uomini, ma ragazzini in piena crisi adolescenziale che usano la violenza come atto del tutto normale. Sono molti gli esempi di ragazzi che durante gli interrogatori non mostrano segni di pentimento e anzi concepiscono l'azione come lavarsi i denti.
La violenza non è più nemmeno un atto eversivo, ma convenzionale. Un atto con cui questi ragazzini familiarizzano troppo facilmente, quanto più brutale possibile. Il livello di brutalità in molti casi è come un'asticella da alzare sempre più e magari riprendere con un cellulare e mostrare al mondo.
Ecco. Se la letteratura ha stigmatizzato il delitto, per esempio tramite il Raskolnikov di Delitto e castigo, come atto malvagio, destabilizzante e scellerato, in questi ragazzi pare mancare del tutto la percezione della gravità, la coscienza che ferma sul confine fra l'intenzione e il compiuto.
E questo è l'aspetto più grave di tutti.
Alcune statistiche: per i reati in cui sono coinvolti minori si registra un aumento dal 2019 a oggi; sono in aumento non solo gli omicidi commessi da adolescenti ma anche i reati sessuali. In totale, a partire dalla pandemia, pare che il 60% circa dei giovani al di sotto dei 18 anni abbia vissuto, da vittime o "carnefici" episodi di vario tipo, dal bullismo al cyberbullismo, dallo stupro al ferimento grave, fino ai numeri che riguardano i casi di omicidio.
Non si tratta di casi troppo lontani dalla nostra quotidianità. Dal mio osservatorio come insegnante, ogni anno noto casi più o meno eclatanti riguardanti ragazzi e ragazze fra gli 11 e i 14 anni. Minacce e ritorsioni che avvengono in particolare sulle chat, casi più isolati di liti per strada, veri e propri incontri "punitivi" et similia. Casi isolati, perché vivo in un ambiente più protetto, ma se consideriamo scuole e istituti di periferia, a Roma come in qualsiasi altra realtà, fatti come questi si moltiplicano esponenzialmente.
Cosa succede a questi ragazzi? Cosa ha fatto aggravare il fenomeno?
Per cominciare, gli anni interessati dalla pandemia. I ragazzi che nei mesi di lockdown e quelli successivi pieni di restrizioni avevano fra i 12 e 16/17 anni hanno subito il contraccolpo maggiore.
Sono infatti gli anni più delicati di quel "corto circuito" che chiamasi adolescenza. Sto leggendo un saggio proprio in questi giorni e magari vi dedicherò un post a parte.
La tensione all'interno delle famiglie aumentò e i livelli di aggressività si alzarono pericolosamente. I ragazzi, privati della possibilità di uscire, frequentarsi, vivere tutto ciò che fisiologicamente devono vivere per uno sviluppo emotivo quanto più sano possibile, intensificarono l'uso dei social, oggi più che mai massivo, e con esso una totale incapacità di gestire il mezzo, saperne vedere limiti e pericolosità.
Anzi, la connessione diede ai ragazzi la possibilità di andare oltre le restrizioni e trasformare questa opportunità in strumento "onnipotente", un prolungamento di se stessi.
I social network sono diventati sempre più una finestra su un mondo violento e senza pace. Video fatti durante il perpetrarsi di atti violenti estremi, corse impazzite in auto, sexting, ossia scambio di immagini personali o altrui in cui si mostrano genitali e atti sessuali, spesso poi usati allo scopo di mettere in cattiva luce l'altro - il revenge porn, e molto altro.
Gli adolescenti si "parlano" attraverso gli schermi ma senza parlarsi realmente. Restano cristallizzati in un ambiente virtuale in cui sono come incastrati, dipendenti dal mezzo come tossici, "desocializzati".
Come poteva essere diversamente, se la maggior parte di essi sono stati sbattuti dinanzi a uno schermo da piccolissimi? Il loro orizzonte è tutto in quei pixel, la connessione li ha plagiati e "formati" e risucchiati in un baratro nel quale appaiono come analfabeti da un punto di vista affettivo.
Sono ormai noti gli studi che hanno individuato proprio negli smartphone la causa del mancato sviluppo cognitivo, linguistico e socio-emotivo dei ragazzi. Eppure continuano a vedersi in giro bambini molto piccoli tenuti a bada da questi dispositivi, mentre i loro genitori sono assenti o semplicemente vogliono godersi una cena in pace o andare a vivere il loro tempo libero come se fossero privi di responsabilità.
Il dialogo genitori-figli si è interrotto nella maggior parte delle famiglie. Non ci si scambiano parole in uno spazio in cui la virtualità è l'ambiente percepito come reale.
Mi sono imbattuta non poche volte in alunni svogliati, tendenti alla depressione o all'ansia, insonnoliti per tutta la mattina. Ci sono scuole in cui la percentuale di ragazzi in queste condizioni è altissima. Il livello di attenzione in classe è sempre meno, in pochi riescono a fare un percorso sano, lineare, di successo. Per non dire della dispersione scolastica, sempre più problematica.
Il servizio di psicologia scolastica poi, dalla pandemia è diventato un elemento portante del progetto educativo.
Questo discorso però esula dal tema di questo post, incentrato sulla violenza. I ragazzi coi quali sono in contatto io, a scuola o nel mio laboratorio teatrale, sono ragazzi e ragazze sani, hanno buone famiglie alle spalle, sentono il confine fra il da fare e il non fare, non si abbandonano a gesti eclatanti o di certa gravità e pertanto sono fortunati.
I ragazzi interrotti, quelli perduti, sono ben altri. Sono quelli che il corto circuito dell'adolescenza ha fagocitato perché privi di mezzi per mediare, capire, fermarsi in tempo. Inquieta che possa accadere anche in famiglie in cui forse si dà tutto troppo per scontato e invece è in atto una drammatica tempesta emotiva che sfocia nell'inenarrabile. Non ci sono ulteriori modi di descrivere la strage di Paderno Dugnano, se guardo ai volti sereni di quei genitori e quel fratellino falcidiati.
Abbiamo tanto da fare e non possiamo trascurare nulla, a partire dal segnale più insignificante. Genitori, insegnanti, educatori. Augurandoci di poter agire senza che sia troppo tardi.
Bisogna far capire ai genitori di figli molto piccoli che tutto ha inizio in quella fase, quando appare del tutto naturale mettere in mano a un bambino uno strumento troppo grande, troppo dannoso per lui.
Bisogna recuperare il senso del dialogo, dell'ascolto vero, senza distrazioni.
Bisogna amarli e guardarli realmente negli occhi.
Sacrificarsi.
Guidarli da genitori saldi e coerenti, e poi da insegnanti pronti a percepire il minimo disagio e lavorare perché sia solo un periodo da dimenticare.
Bisogna far comprendere loro che cadere si può, si deve, perché ci è toccata in sorte questa vita e vivere significa paradossalmente anche sbagliare e non essere sempre perfetti, perché va bene così.
Bisogna insegnare loro la compassione, perché essere compassionevoli è una base preziosa su cui costruirsi.
Guardare al mondo non attraverso uno schermo, ma dinanzi alla realtà, anche quella più comune come un quadro storto da raddrizzare o un tramonto particolarmente bello.
Bisogna coinvolgerli, entusiasmarli, trasmettere loro il nostro entusiasmo.
Essere presenti nelle loro vite, che poi è tutto.
Cosa pensate di questi adolescenti? Cosa ricordate della vostra adolescenza?
Concordo con la sua analisi. Ogni giorno m’interrogo chiedendomi se sono un bravo genitore e l’unica certezza che ho è che cerco di dar loro ciò che mi ha aiutata a crescere ed evitargli ciò che mi ha fatta soffrire. Seconda di cinque figli, avevo solo 12 anni quando i miei decisero di spostare la mia stanza da letto in un’altra casa con un’anziana signora. Per loro ero grande, ma ancora adesso mi si bagnano gli occhi. Non mi chiedevano mai “come stai? Cosa provi?”. Con i ragazzi parliamo tanto, leggiamo insieme, scherziamo e condividiamo l’esperienze della giornata. Una madre che lavora ha sempre la sensazione che il tempo per loro sia troppo poco, ma si cerca di sfruttarlo al meglio. Qualche mese fa ho detto al più piccolo: “Quando sarai adolescente anche tu, non cambiare”, lui mi ha risposto “Mamma, non posso esimermi”.
RispondiEliminaLa leggo volentieri, mi dispiace per quell'esperienza traumatica. Il problema poi è non farsi condizionare troppo da ciò che si è vissuto traducendo ogni atto educativo in virtù di quel ricordo. Ho conosciuto genitori vissuti in ambienti familiari molto severi e restrittivi essere poi rovinosamente "laschi" e permissivi, cosa che non ha giovato per niente ai loro figli. Così come genitori che mi hanno confidato situazioni estreme vissute eppure con quella scintilla di intelligenza e buonsenso in grado di guidare al meglio i loro figli. E poi attenzione a guardare sempre oltre il proprio rapporto con i figli, che può essere anche ottimale, considerare sempre che i ragazzi potrebbero manifestare altri comportamenti al di fuori di una cerchia familiare sana. Ci sono decine di esempi, sfaccettature e casi talmente vari. E mai si finisce di imparare.
EliminaIl rischio è concreto. Un pericolo non può essere modificato, ma il rischio legato a quel pericolo sì, attraverso le misure di prevenzione. Per questo famiglia e scuola devono lavorare in team; la collaborazione, l’ascolto, la condivisione delle esperienze rendono forte la squadra.
Elimina"La violenza non é piú nemmeno atto eversivo, ma convenzionale".
RispondiEliminaCentri il punto. Questi ragazzi non distinguono piú, come sottolinei, il fare dal non fare, sono assorbiti dal nulla, dall'assenza di buon esempio.
Dici bene "bisogna, bisogna, bisogna.." Tocca agli insegnanti, alle famiglie, a chiunque percepisca stortura, anomalie e abbia il coraggio, il dovere di non voltarsi dall'altra parte.
Il problema è essere educatori credibili, assertivi, autorevoli. Insomma, se la famiglia fallisce per un milione di ragioni, tocca poi a noi insegnante sopperire, ma non possiamo illuderci di poter lasciare un segno - che è poi l'etimologia dello stesso "insegnare" - se dall'altra parte poi c'è un'azione di decostruzione. E non possiamo neppure illuderci di lasciare un segno se siamo davvero bravi insegnanti. Sto seguendo un master in Intelligenza Emotiva in cui si parla anche dell'assolversi. Non possiamo arrivare a tutto e a tutti, possiamo fallire, e non per colpa nostra. Ecco perché in realtà il ruolo della famiglia è quello principe.
EliminaNon darei tutta la colpa alla diffusione esponenziale del mondo virtuale dei social, che è spesso distorto ma mantiene un'aura di "fiction" o "videogioco" anche quando si interagisce con persone reali.
RispondiEliminaSecondo me il problema è anche il fatto che i genitori tendono a giustificare sempre i propri figli, e d'altro canto le autorità evitano accuratamente di "punire", sempre basandosi sul fatto che essendo adolescenti vanno "recuperati", concetto ormai esteso anche alla piccola criminalità adulta.
Ricorderai quegli incoscienti che per girare un video da postare su youtube hanno causato la morte di un bimbo di 5 anni. Quello che guidava era sotto effetto di sostanze stupefacenti, che dal mio punto di vista è da considerarsi un aggravante. Che condanna ha ricevuto? Praticamente nulla, una condanna sulla carta, all'atto pratico non ha fatto neppure un giorno di carcere, tutto è incentrato sul "recupero"... Secondo me è allucinante, oltre al recupero deve esserci anche e soprattutto un aspetto punitivo che funga da deterrente. I ragazzi sembrano disinteressarsi al mondo degli "adulti", ma percepiscono i dettagli, il clima di un'epoca, il modus operandi di un paese. I ragazzi dentro di loro hanno la consapevolezza di poter fare un po' quel che gli pare senza quasi correre rischi (anche parecchi adulti, a dire il vero). Quelli più arroganti lo fanno con sfacciataggine, come un diritto acquisito, ma anche quelli meno aggressivi, apparentemente più calmi, hanno ugualmente quella sensazione di poter compiere atti anche violenti senza rischiare granché.
Siamo diventati una società rassegnata a un sistema educativo e giudiziario in cui la vittima non ha alcun diritto, deve solo accettare passivamente di esserlo stata, mentre il carnefice diventa colui che deve essere "compreso", quasi giustificato per essere poi reinserito nel mondo civile, senza minimamente passare attraverso la fase della punizione, ormai ideologicamente spacciata per una cosa inutile e primitiva, ancor più quando si parla di giovani.
La sensazione di impunità fa sì che ogni forma di violenza possa diventare quasi un gioco, alla fine del quale parecchi reagiscono con sorpresa quando vengono fermati dalla polizia, quasi come se volessero dire: "Ma come, mi portate al commissariato? Ma io non ho fatto niente di grave, ho solo ammazzato una persona, ma così, tanto per, solo per vedere cosa si provava, insomma non ho fatto nulla di male".
Indubbiamente questo grave fenomeno è legato a una visione più ampia, il mio post è senz'altro riduttivo. Avevo parlato della deriva familiare qui:
Eliminahttps://iolaletteraturaechaplin.blogspot.com/2018/05/la-deriva-educativa-o-della-sfamiglia.html
ma se vai sull'argomento "educazione" ne trovi diversi altri. Non ci sono esempi edificanti per i giovani che possano essere un qualcosa cui guardare, purtroppo. Percepiscono tutti i limiti del mondo adulto, non vedono credibilità né nei propri genitori, che li idolatrano, né nella società o nel mondo del lavoro, nella giustizia, ecc. Il problema, guardato come parte di un sistema in crisi, è molto più complesso e purtroppo non può essere risolto su una scala globale a voler essere realistici. Al più sapremo dire di esempi virtuosi riguardanti il singolo, fra i rarissimi che saranno usciti da questa bolla distruttiva. Mala tempora currunt.
Questa società è impazzita, tutta. Il vero virus che si è diffuso da un po' di anni a questa parte è quello dell'abulia, della mancanza di umanità, di empatia e l'immoralità dilaga. Che esempi hanno questi giovani, se non vengono loro trasmessi nel giusto modo! Ne hai scritto, a proposito del caso Ferragni: l'esempio positivo, da emulare è la carriera di un'influencer? Il futuro inseguito è il sogno di diventare ricchi e famosi? Che poi, al maschile, potrebbe essere diventare grandi calciatori, strapagati: belle auto, bei vestiti, belle donne... Un dramma cui è difficile opporre dei limiti: un genitore, oggi, deve combattere una battaglia che non lo vede preparato, devi essere risoluto , riuscire a farti obbedire, dire molti "no", col rischio di isolare tuo figlio/a dal resto dei coetanei... I genitori di molti di questi ragazzini di oggi sono a loro volta giovani e non hanno punti di riferimento: come possono essere loro stessi delle solide guide! Ci sarebbero un mare di cose da dire: questa è una società senza Dio, dove persino la morte diventa un gioco. Ricordo, ai tempi della scuola elementare dei miei figli. io ho vietato loro di vedere alcuni cartoni animati (uno era Naruto, mi pare), perché violenti. Se abitui un bambino di sette/otto anni alla violenza, seppure per gioco, quel bambino cresce con l'idea che vendicarsi di un torto sia come fare agire il personaggio di un gioco con il joystick. Va beh, Luà, mi fermo qui, tanto il mio pensiero è chiaro.
RispondiEliminaIl problema è proprio lì: tu, da madre intelligente e presente, hai ritenuto di allontanare un cartone animato dai tuoi figli, ritenendolo non adatto, senza contenuti edificanti ecc. Come te ci sono pochissime madri, siete merce rara. Io per contro ne ho conosciuto diverse alle quali ho chiesto perché permettessero ai loro figli, ragazzini di 12/13 anni, di stare davanti a un gioco violento come Fortnite per ore e ore, manifestando poi sonnolenza e poca predisposizione allo studio. Loro, puntualmente, rispondono che non intendono sottrarre i loro figli al "gruppo", perché temono che diventerebbero dei reietti. Comandano loro, i figli, decidono orari e modi. E dinanzi a una catastrofe come questa, da insegnante che puoi fare?
EliminaQuesti adolescenti non sono tutti gli adolescenti, per fortuna. Certo, questi casi fanno più notizia, e adesso le notizie girano anche più velocemente dei nostri tempi, quando c'era un solo telegiornale alle ore 20 e poi si andava pure a letto, che domattina c'è la scuola e non si va a dormire sul banco...
RispondiEliminaNon si può dare nemmeno la colpa ai social, perché il caso Carretta è del 1989, quello di Maso del 1991 ed Erika e Omar del 2001. Questi sono quelli che ricordiamo, ma non sono gli unici, ed erano slegati da internet, dai social media, dal lockdown per l'epidemia Covid, dalla crisi dei valori dei giovani, dalla scarsa presenza genitoriale, ecc. Per casi così eclatanti, va analizzato il contesto singolare. Per la strage di Paderno Dugnano, da quello che riportano i giornali, il ragazzo ha spiegato di un suo "malessere" già da diverso tempo, di sentirsi "estraneo al mondo" e che con quell'atto «Volevo proprio cancellare tutta la mia vita di prima». Non so, ma mi ha fatto pensare ai videogiochi: quando stai giocando una partita e hai oramai imboccato la direzione sbagliata, ti conviene uscire e ripartire con una nuova partita, una nuova "vita". Forse è mancato il concetto che si impara soprattutto dai propri errori? Forse è mancato il dialogo giusto con i genitori, e forse (ahimè, tutte ipotesi, solo uno psichiatra potrà fare luce) quei poveri genitori non potevano avere gli strumenti per accorgersi di un disturbo, un problema di salute mentale.
Dall'altra parte, mi trovi comunque d'accordo che i genitori stanno lasciando troppo accesso ai social media, e fin dalla giovane età. Una volta ci limitavano le ore di fronte alla televisione, i cartoni animati solo alle 16 e per un'ora, al massimo due se avevi finito tutti i compiti. Per il resto, vai fuori a giocare all'aria aperta, trovati con gli amichetti del quartiere, leggiti un Topolino, gioca con i Lego.
Oggi alla prima lamentela gli piazzano davanti il tablet e gli danno pure le cuffiette. "Tieni e stai zitto." L'ho visto al ristorante, l'ho visto in treno, anche in fila alle Poste. Così si abituano ad avere lo schermo anche a scuola. Per conto mio, a scuola, fino ai 18 anni della maggiore età i cellulari non ci devono essere. I genitori legalmente affidano il ragazzo all'istituto (il registro presenze serve anche a fini assicurativi), allora da quel momento i genitori possono stare tranquilli che è a scuola (conosco genitori che mandano whatsapp in continuazione ai figli, per altro). E invece di ritirare i cellulari, che è anche una rottura di scatole per gli insegnanti, basterebbe installare dei blocchi di connessioni nella classi, escludendo ovviamente il materiale scolastico (computer, tablet e lim della scuola stessa). Se i genitori hanno necessità di avvisare i propri figli, o attendono l'intervallo o chiamano la segreteria della scuola, come si faceva una volta.
Quello che sto notando io sui giovani è che in realtà la tecnologia non la sanno usare benissimo, si perdono dietro alle immagini e ai contenuti video, ma hanno difficoltà a completare una banale iscrizione su un sito web (magari per una borsa di studio, per una selezione, per un concorso) perché non leggono, non "perdono tempo" dietro alle parole. Sono disorientati anche nella miglior interfaccia user-friendly. Mentre noi, consci della nostra poca preparazione, prima di cliccare leggiamo anche le postille in carattere cirillico...
Sì, come dimenticare quegli efferati delitti di molti anni fa, in quella epoca "analogica" in cui i social non esistevano? Diciamo quindi che il disagio ha cambiato natura e attinge inevitabilmente anche a questo mondo virtuale in cui non ci sono filtri e tutto sembra possibile. Il compito della famiglia, il baluardo dell'educazione, quel luogo dove tutto comincia, è essenziale, fondamentale. Non è un caso se i ragazzi sani e forti che conosco siano tutti figli di genitori presenti e molto attenti. Ecco, presenti e molto attenti neanche basta, bisogna essere coerenti, forti nel saper dire di no, e come tu dici saldi nell'intenzione di non mettere uno schermo dinanzi ai propri figli. Mio nipote ha ricevuto il suo primo cellulare a 17 anni e proprio quando non se n'è potuto più fare a meno per logistica familiare. Oggi ne ha 19 e non si cura minimamente di social e virtualità, è un orizzonte molto marginale per lui. Magari tutti fossero così, salvi da questo uso malato della connessione.
EliminaPoi c'è tutto il resto, tu lo hai descritto bene. La superficialità, la tendenza alla distrazione, la fatica del soffermarsi. È tutto un insieme dannoso e che delinea un'identità in modo anche ambiguo. Ciascuno dei profili di questi ragazzi interrotti è ai limiti, si assomigliano tutti, sono anche diversi in certi dettagli che inquietano.
Sono particolarmente colpita da questo fenomeno che ha risvolti agghiaccianti, come l'ultimo caso della madre infanticida che ha partorito di nascosto, ucciso il bambino ed è partita per le vacanze, dopo averlo fatto precedentemente, senza che nessuno, ma proprio nessuno, sospettasse che cosa covava dentro di sé. E' incredibile ed è un aspetto che voglio inserire nella tua bella riflessione: in una società di monadi in cui altri sono i valori e gli esempi di riferimento come sostieni (a mio avviso però il problema è precedente alla pandemia, il lockdown lo ha solo fatto esplodere) abbiamo perso il senso della comunità. Guardarsi intorno e vedere cosa accade: nella scuola, destrutturata da decenni (e tu lo sai bene), nella famiglia ma anche nel contesto in cui vivono questi ragazzi. Gli adolescenti e i giovani sono abbandonati e sono comparsi dall'agenda pubblica del paese. Queste sono alcune delle conseguenze, le altre le misuriamo a partire da adesso in poi, La grave condizione dell'istruzione inciderà su di loro come persone e come cittadini. Invertire la rotta è ciò di cui c'è massimo bisogno
RispondiEliminaEcco, citi un caso che ha lasciato tutti davvero senza parole. Com'è possibile che nessuno si sia accorto che la ragazza più di una volta fosse incinta? Si lega alla capacità di saper osservare, guardare questi giovani, una qualità che si è persa ed è molto pericoloso. Nel mio mestiere mi capita di imbattermi in situazioni in cui quello che chiedono i giovani è di essere presi in considerazione, "guardati" davvero, uscendo dalle solite retoriche della prestazione, competizione, ecc. C'è qualcosa di mancante, di malato, su cui riflettere molto attentamente.
EliminaLa strage di Paderno Dugnano mi ha colpito molto, anch’io ho ripensato a Erika e Omar e a Pietro Maso. Gli adolescenti sono bombe a orologeria pronte a scoppiare, oggi più che mai. Per darmi una spiegazione ho ripensato a come ero io a quell’età, mi sentivo soffocare dalla chiusura della vita di provincia e, per un certo periodo, ho provato anch’io sentimenti di rabbia anche verso i miei genitori, tuttavia ho incanalato la rabbia in una direzione creativa (la musica dei cantautori, la scrittura e lo studio). Oggi, con tutto quello che viene mostrato sui social, certi sentimenti vengono enfatizzati e non tutti sono in grado di gestirli in maniera adeguata.
RispondiEliminaSono convinta che quel ragazzo di diciassette anni quando avrà piena consapevolezza di quello che ha fatto (se non é già successo) si ritroverà in un inferno dell’anima senza fine, perché è qualcosa da cui non si torna indietro.
Sì, quando accadono questi terribili eventi si pensa alla pena, a inasprire l'espiazione, ma non si considera che comunque sono vite finite. Una vita come questa, in cui non c'è tipo di remissione che si immagini, è perduta e per sempre. C'è forse un momento della consapevolezza, una fase in cui questi giovani diventano davvero adulti e si guardano indietro. Ho da sempre la curiosità di incontrarne uno e parlare per capire se c'è parvenza di pentimento oltre alla consapevolezza.
EliminaNon è facile dire qualcosa sulle stragi di cui siamo venuti a conoscenza di recente. Non credo che si tratti sempre /solo di una mancanza da parte del genitore o dei disvalori della società. Credo che in alcuni casi ci siano dei disagi incredibilmente profondi e nascosti e che le famiglie non abbiano gli strumenti adatti per riconoscerli. Credo che certe volte ci si nasca o che si perda qualche pezzo per strada per qualche predisposizione naturale aggravata dall'ambiente e che spezza la psiche.
RispondiEliminaTalvolta l'entità di certi disagi può sfuggire persino a chi lavora nel campo. E talvolta invece dei segnali c'erano eccome.
Per il resto condivido la tua riflessione sul senso di alienazione dei nostri tempi. Quella mancanza e povertà di relazioni da coltivare dal vivo. Questo mi spaventa molto. Mi spaventa perché vengono a cadere tutta una serie di aspetti per me essenziali. Il contatto visivo, l'odore, il tatto, i gesti. Che credo siano alla base dell'empatia, di quell'abituarsi a leggere anche i non detti, di imparare a leggere il linguaggio non verbale. E l'empatia è quella che poi non ti permette di fare del male al tuo prossimo.
Cercare di spiegarsi il perché di certi fenomeni apre per forza a tutta una serie di ipotesi in cui la famiglia è il principale indiziato di maggiore responsabilità. Magari poi risponde a verità ma sono d'accordo con te, la situazione è sempre complessa e non sempre legata a certe logiche di causa / effetto. Basta considerare le parole che seguono a uno di questi eccidi, il citare una normalità che tutti sono disposti a riconoscere, malgrado l'epilogo. Dal di fuori, siamo portati ad additare chi non considera, non si accorge, è distratto ecc. Ma poi a viverle dal di dentro le cose sono diverse e non sempre legate a logiche così lineari.
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