martedì 12 novembre 2024

La Storia - Elsa Morante

Incipit: Un giorno di gennaio dell'anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma. Erano circa le due del dopopranzo, e a quell'ora, come d'uso, poca gente circolava per le strade. Nessuno dei passanti, poi, guardava il soldato, perché i Tedeschi, pure se camerati degli Italiani nella corrente guerra mondiale, non erano popolari in certe periferie proletarie. Né il soldato si distingueva dagli altri della sua serie: alto, biondino, col solito portamento di fanatismo disciplinare, e, specie nella posizione del berretto, una conforme dichiarazione provocatoria. 

La Storia
Elsa Morante

Editore: Einaudi
Pagine: 660
Prezzo: € 16,00

La lettura de La Storia è stata un lungo percorso iniziato a fine settembre e protrattosi fino ai primi di questo mese. Non mi è stato possibile leggerlo con certa assiduità per i tanti impegni e questo mi è dispiaciuto. È un romanzo che richiede massima attenzione, oltretutto stampato in un'edizione a caratteri abbastanza minuti, quindi impegnativo sotto diversi punti di vista. 
Leggerlo è una di quelle esperienze che ti fanno incontrare un libro irrinunciabile, uno di quelli che annovereresti fra gli imperdibili. Perché La Storia non si può perdere, perché è doveroso leggere uno dei più grandi romanzi del Novecento non solo italiano. 
Ho già manifestato la mia costernazione nell'aver scoperto la bellezza e importanza di questo romanzo a più di cinquanta anni (ma è stato un piacere farlo proprio nel cinquantesimo anno dalla sua pubblicazione). Probabilmente ciò mi ha permesso di apprezzarlo meglio e a fondo, ma rimpiango di non averlo conosciuto prima, sebbene abbia fatto studi classici e poi Lettere all'università. 
Da alunna, lessi molti brani tratti dai libri di Elsa Morante, in particolare da L'isola di Arturo, romanzo suo stranamente più noto de La Storia. Negli anni universitari non mi sono purtroppo imbattuta in un corso monografico su Elsa Morante, ma naturalmente non sono mancati Italo Calvino, Alberto Moravia, Pierpaolo Pasolini. Nulla da togliere a questi grandi autori, grandi e necessari anch'essi, ma il fenomeno dell'ignorare scrittrici di livello è tipico dei licei e degli ambienti universitari. 
Forse dovremmo dire che sia stata un'autentica sfortuna per questo libro essere stato scritto da una donna. Perché la letteratura ufficiale, si sa, non si cura delle grandi scrittrici al pari dei grandi scrittori. 
Nel 2019 ho dedicato un post a questo osceno fenomeno (pure molto limitato e striminzito), potete leggerlo qui

La Storia fu pubblicato nel 1974, a quasi trent'anni dalla fine della Seconda guerra nella quale è ambientato. 
È soprattutto un romanzo di denuncia, un affresco delle miserie e della tragedia di un popolo vessato dalla guerra e rappresentato da alcuni personaggi epici, indimenticabili. 
Se Ida Ramundo, madre di Nino e Useppe è colei che innesca la narrazione, che prende le sue mosse da una Calabria in cui vivono e poi muoiono i suoi genitori, proprio i figli di lei e un corollario di altri personaggi sono il nerbo dell'intreccio. 
A proposito della Calabria: i genitori di Ida vivono a Cosenza, la mia città natale. Ho amato molto questa cosa. E poi la madre di lei, l'ebrea Nora Almagià, così simile alla propria figlia, si abbandona alla morte sulla spiaggia fra Paola e Fuscaldo, praticamente dove ho trascorso le mie estati fino alla prima giovinezza. 
Sono particolari che mi hanno fatto familiarizzare fin da subito col romanzo, oltre a commuovermi per la forza delle descrizioni di quelle vite che ebbero la fortuna di non conoscere la guerra. 
Per il resto, la storia è ambientata nella Roma dei quartieri popolari e in parte nei Castelli romani, quindi anche questi luoghi che conosco e fra i quali vivo. 
La storia, dicevamo, è un libro di denuncia, è un romanzo che getta una luce diversa sulla Storia ufficiale, facendo emergere gli ultimi, i dimenticati, i tanti civili che subirono la guerra e spesso, troppo spesso, ne rimasero stritolati. 

Elsa Morante (1912 - 1985)

Il lampo di vita negli occhi di Useppe
C'è un personaggio senza il quale, probabilmente, questo romanzo non potrebbe arrivarci con la stessa forza. Si tratta del piccolo Useppe, figlio nato dallo stupro subito da Ida da parte di un giovane tedesco. È proprio il giovane soldato con cui si apre il romanzo, il ragazzo/nazista smarrito in una città presidiata e sconosciuta. Morante non ce lo restituisce con la classica retorica del "cattivo" e nemico, ma come un'anima smarrita anch'essa nelle maglie imperscrutabili della guerra. Gunther si sente inconsolabilmente solo, si ubriaca, cerca compagnia. E si imbatte in Ida. 
Il corpo di Ida ha quel calore che Gunther cerca, nel quale ravvisa il calore della madre lontana. Gunther lascia qualcosa di sé e poi andrà a morire, lontano da Roma e dalla sua vita perduta. 
Useppe è il prodotto di questo stupro, Ida lo partorirà nel ghetto ebraico dove spesso si rifugia attratta da una forza che le proviene dalle sue origini, la levatrice è una donna forte, tipicamente ebrea nelle sue fattezze, la voce narrante le darà nome Ezechiele. Così nasce Useppe e diventa per Ida la creatura verso la quale ogni stilla di forza e di coraggio sarà orientata, incarnando la sopravvivenza e la lotta condotta fino ai limiti perché la vita si faccia strada e risplenda in mezzo alla tragedia umana e morale dell'epoca. 
Gli occhi di Useppe, con quel celeste intenso ereditato dal padre, sono la luce che illumina le giornate di Ida, per molta parte di Nino, l'altro suo figlio, e di tutti coloro che si imbattono nel bambino. Useppe semina ovunque la propria gioia di vivere, con la sua innocenza riesce a portare speranza e un sorriso. Nino, suo fratello maggiore, lo adora, e ne è adorato con una venerazione assoluta. 
Il vincolo che lega i due fratelli è uno degli aspetti più intensi del romanzo. 

Useppe esplora lo spazio circostante con slancio ed entusiasmo, ignaro di qualsiasi altro orizzonte che non sia quello della guerra. La sua gioia di vivere gli mostra tutta la bellezza possibile, in particolare nelle cose più semplici. Lo sanno tutti coloro che lo incontrano, dicevamo, nell'osteria di Remo e perfino nel camerone che ospita gli sfollati, Ida assieme ai Mille, la grande famiglia di napoletani esperti nel trovare sempre di che vivere, assieme a Giuseppe Cucchiarelli, l'Eppetondo di Useppe (Giuseppe secondo), assieme a Davide Segre, l'ebreo e anarchico in fuga, altro personaggio chiave. 
Proprio Davide dirà a Useppe:
"Tu e tuo fratello siete così differenti, che non sembrate nemmeno fratelli. Ma vi rassomigliate per una cosa: la felicità. Sono due felicità differenti: la sua è la felicità di esistere. E la tua è la felicità... di... di tutto. Tu sei la creatura più felice del mondo. Sempre, ogni volta che ti ho visto l'ho pensato, fin dai primi giorni che ti ho conosciuto, là nel camerone. [...] Tu sei troppo carino per questo mondo, non sei di qua. Come si dice: la felicità non è di questo mondo". 
Davide Segre, consumato dalla tragedia della deportazione dei propri familiari nei campi di sterminio, consumato dall'odio verso i nazisti e verso qualsiasi forma di potere, destinato dunque all'autodistruzione, troverà in Useppe quel barlume di vita che gli donerà un sorriso nei suoi ultimi giorni, in un segmento e l'altro di tempo in cui la purezza del bambino lo distrae dal proprio viaggio verso la caduta finale. 

I giovani nell'oscuro abisso della guerra
Prima edizione, 1974
I giovani del romanzo sono anzitutto i partigiani che, in particolare a partire dall'armistizio, portarono avanti la lotta per la liberazione. Diversi di essi, lo stesso Nino, sono stati bambini durante i primi grandi anni del fascismo, ne sono stati imbevuti e ne sono affascinati, ma gli eventi li porteranno dall'altra parte. Arditi, beffardi, affamati di vita e giustizia, correranno verso il rischio alzando il pugno a simbolo della lotta contro lo straniero, orgogliosi di esserne l'ultimo baluardo.
Poi ci sono i giovani in uniforme, come lo stesso nazista Gunther o i giovani tedeschi in cui si imbattono i nostri partigiani, il loro grido di paura dinanzi all'imboscata, il disperato appello alle loro madri lontane. Così come in uniforme è Giovannino, soldato al fronte in Russia, atteso febbrilmente dalla sposa e da coloro che lo amano e sperano in un ritorno. Ma Giovannino non tornerà, l'ultima volta è stato visto accasciarsi, stremato, sul ciglio della strada, durante la grande ritirata dopo il disastro e la disfatta. 
E Morante ci regala, inaspettatamente, proprio il racconto di quel che è stato di lui. La struggente disperazione nel freddo e la fame, mentre, stremato, si allontana camminando sulle ginocchia verso un "ovest" dove spera, e immagina, la propria casa. Nell'allucinazione prima della morte, Giovannino incontra tutti coloro che ha amato, li vede da lontano, nitidi nella bufera di neve, un ultimo sguardo d'amore e poi la conquista della postura, fetale, il ritorno all'origine, mentre il corpo viene ricoperto dalle sferzate di neve e gelo. 
E non si dimentichi la presenza degli animali. Dal cagnetto Bliz che resta ucciso sotto i bombardamenti al quartiere San Lorenzo, ai canarini di Cucchiarelli alla sua gatta misteriosa, fino alla straordinaria Bella, il pastore maremmano per destino fino alla fine coi nostri protagonisti. 

La Storia secondo Elsa Morante
Siamo abituati al lieto fine e al pensiero che la liberazione, la fine della guerra nel 1945, il referendum, la repubblica, siano stati sinonimo di benessere e felicità, sebbene negli anni della grande fatica della ricostruzione. Morante ci racconta un'altra versione, quella più vera, lontana dalle retoriche del vincitore che tutto ricostruisce e si rialza vittorioso e al colmo del trionfo. 
Tanto più che il passaggio fra il prima e il dopo non è neppure percettibile. Tutto continua nella medesima fatica di vivere, negli stenti per cercare di arrivare a fine giornata con lo stomaco pieno, ma non solo. 
Useppe cresce e nella sua totale innocenza neppure si accorge di un'assenza che potrebbe distruggerlo. Probabilmente Useppe sa, immagina che una delle persone più amate non farà più ritorno, ma rimuove l'angoscia semplicemente scegliendo di continuare a guardare al mondo con gioia. 
E allora, in quel dopoguerra tanto atteso, esploriamo il mondo di Useppe attraverso i suoi occhi e sappiamo, allo stesso tempo, quanta parte di quelle speranze nutrite durante gli anni di guerra siano poi state tradite. Gli ultimi non vivono riscatto alcuno, restano ultimi, ormai avvezzi alla sofferenza, abbrutiti da essa. 
A Ida, stremata dagli anni precedenti, saranno richieste ulteriori terribili prove, le ultime che sia in grado di sopportare. 
È una madre dolente e immensa, Ida. Non è un'eroina, benché come atto eroico rubi a volte il cibo, trascinata dalla disperazione. Non è capace di atti eroici, è una comune donna di quel tempo, ma la sua grandezza risiede tutta nell'essere madre. Sotto diversi aspetti appare come una mentecatta, una povera anima in lotta, anche verso il terrore di essere scoperta mezza ebrea. 
Ci rendiamo conto, verso le ultime sofferte pagine, di come Morante ci restituisca questo personaggio in tutta la sua grandezza proprio nel dolore più cupo. Perché Ida è consapevole di voler vivere solo perché è madre e custode del proprio bambino. 

La Storia, secondo Elsa Morante, è questa cosa qui, "uno scandalo che dura da diecimila anni", un'Organizzazione Criminale riassunta dall'autrice all'inizio di tutti i macro capitoli del romanzo. Lo scrive bene Cesare Garboli nella preziosa prefazione al romanzo. Una denuncia altissima, ma anche una grande epopea narrata magistralmente, benché con stile ben lontano dai gusti del tempo. 
Non un romanzo ma, come diceva la stessa Morante, stordita dal chiasso e rintanata in casa a curarsi le ferite, un manifesto, "un'azione politica". La sconsacrazione, la condanna della Storia. Un romanzo di protesta. Un romanzo di dolore e di contrizione, di grande intensità, disperazione, tensione, misericordia, sapienza, bellezza, ma di basso e afflitto regime vitale. Così lo ricordavo. [...] La Storia è un romanzo controcorrente, d'ispirazione anarchica e di grande leggibilità. 
La fortuna e sfortuna del romanzo
Morante lo scrisse in tre anni e impose alla Einaudi - lo volle fortemente grazie all'intercessione di Natalia Ginzburg - che fosse pubblicato in brossura, con prezzo accessibile. Sulla copertina della prima edizione campeggia una foto di Robert Capa raffigurante un bambino morto fra le macerie della guerra spagnola, poi sostituita dall'immagine che ancora oggi è un marchio della pubblicazione dell'editore.
Il romanzo vendette alla sua pubblicazione 600.000 copie (la narrativa di successo si attestava sulle 100.000 copie ai tempi), divenne un caso editoriale sul quale si posò l'attenzione di tutti, establishment incluso e mondo intellettuale (oltre a marxisti, anarchici, cattolici, repubblicani, socialisti, fascisti). Il successo de La Storia non fu gradito a parecchi, in particolare perché riusciva a parlare alla gente comune, alle masse, per questo si innescò un'operazione di ostracizzazione. Ne vennero fuori centinaia di recensioni.
Morante fu attaccata in particolare dall'intellighenzia di sinistra, fra cui una spietata Rossana Rossanda.
Morante fu accusata di "speculare sul dolore", di diffondere pessimismo. Indifferenti dinanzi al trionfo di questo grande romanzo popolare, se fu utilizzato il termine "feulleiton" lo si fece in senso spregiativo, per rimarcarne una mancanza di realismo che in realtà non esiste, per calcare la mano su una presunta strizzata d'occhio di Morante alla gente comune, con il tono di chi dice "io sì che ho capito tutto". 


Un'immagine dal film del 1986

Fra i critici più inaspettati, lo stesso amico di Morante, Pasolini e Italo Calvino. Pasolini in un articolo affermava che "la Morante avrebbe dovuto lavorarci ancora un anno o due", giacché il romanzo appare imperfetto, come se si trattasse di tre libri messi insieme alla rinfusa. Il primo dei tre, mirabilissimo, avrebbe retto il confronto con un grande russo, il secondo risulterebbe invece "completamente mancato", come un'accozzaglia di informazioni confuse, la terza parte un po' meglio ma non del tutto riuscita. In generale, Pasolini dichiara i personaggi del romanzo "improbabili, irreali, manieristici". 
Calvino si rifiutò semplicemente di accettare un intreccio che "facesse piangere", appellandosi al diritto del lettore di essere felice e definendo il romanzo "patetico". Come se non fossero mai esistiti i grandi romanzi delle Brontë, Hugo, i russi, Hardy. 
Questi eminenti signori di Lettere si rifiutarono di scorgere il nucleo del romanzo: la critica della Storia, i limiti della politica, l'orrore della guerra come limite umano. Ma soprattutto si rifiutarono di riconoscerne il successo decretato dai lettori, e migliaia di lettori ancora oggi leggono questo libro. 
Non è un fatto inconsueto che un best seller possa essere fortemente criticato, ne sanno qualcosa gli autori e soprattutto le autrici che oggi pubblicano e vendono molto, troppo secondo alcuni. La Storia, con le sue 7/8000 copie vendute ogni anno, finì in questo calderone, possiamo probabilmente dire... invidia. Se aggiungiamo un pregiudizio di genere, allora è fatta. 

I detrattori del romanzo riuscirono nel loro intento. La Storia fu un romanzo dimenticato.
Scrive Cesare Garboli:
La Storia è un romanzo criticamente abrogato. È un romanzo infetto, come quegli argomenti di cui non si parla a tavola e nei salotti. Un romanzo sospetto, puerile, ricattatorio, che ci mette davanti al naso proprio ciò che tutti vogliamo dimenticare. Non so chi lo legga, ma certo nessuno ne scrive. I suoi personaggi sembra che formino la comunità di un lebbrosario, un campo di appestati piantato nel centro di quella vasta e incredibile babilonia che è diventata la letteratura. Se si incrociano quei paraggi, si affretta il passo e si tira via. [...] Il romanzo che sto per presentare al lettore è un romanzo ignoto. 

 

Jasmine Trinca nel ruolo di Ida Ramundo nella miniserie 2024

Chi racconta La Storia?
Un ultimo aspetto da porre in evidenza: la voce narrante. Il romanzo è raccontato in terza persona, apparentemente dal più classico "narratore onnisciente", invece, come intuisce Garboli, non è così. 
Elsa Morante è la sua narratrice, le vicende de La Storia sono narrate da Morante stessa, come fosse stata una testimone diretta e come attestano i molti passaggi in cui questo narratore sembra affiorare per tendere al lettore una parola di intesa, un aggancio in cui dichiara certezza o incertezza riguardo agli eventi. 
È dunque come se ci fosse un ulteriore personaggio che sta parlando in prima persona. Apparentemente di esempi, in letteratura, non ne mancano: sono stati espedienti narrativi di Dostoevskij e Dickens per dirne due. Ma Morante non ha modelli veri e propri, la propria partecipazione ai fatti narrati, il proprio istinto cronachistico, sono un unicum nella letteratura di ogni epoca, proprio perché vi si legge una impersonalità purissima, la stessa che avrebbe voluto conquistare Giovanni Verga nel grande romanzo verista. 
Chi parla nella Storia tende a sollevare emozioni fino a un limite di tollerabilità tenendole sempre sotto controllo e trattandole con grande distacco. Scrivo, dice la Morante da una distanza "che pareggia i vivi e i morti".
La Storia è stata un film nel 1986 con Claudia Cardinale nel ruolo di Ida, quest'anno la Rai ha trasmesso la miniserie che sto guardando in questi giorni, che ovviamente non si avvicina neppure alla profondità del romanzo. È il destino di ogni trasposizione. 




Conoscete La Storia? Leggerò volentieri ogni possibile commento. 

4 commenti:

  1. Mi sono imbattuta nella lettura di questo grande romanzo diversi anni fa e ne sono stata profondamente colpita. Rimane, per me, uno dei migliori romanzi del 900. Non sapevo, ad esempio, che l’inizio del romanzo fosse ambientato a Cosenza e ne rimasi stupita. Concordo, e questo il grande dramma delle letterature in uso nelle scuole, sul fatto che la Morante fu sottovalutata e osteggiata perché donna. Il libro, crudo e provocatorio, andava controcorrente, sfidando il pubblico con il suo scandalo eterno e, forse proprio per questo, non ebbe subito il riconoscimento che meritava.
    Una delle forze principali del romanzo è proprio la relazione affettuosa e toccante tra Useppe e il fratello Nino, un rapporto che diventa simbolo di innocenza e resistenza contro un mondo dominato dall’ingiustizia e dall’indifferenza. Il sottotitolo del libro, Uno scandalo che dura da diecimila anni, sottolinea infatti come la storia umana sia da sempre una catena di oppressioni e violenze ai danni dei più deboli.
    Lo scorso anno seguii un webinar organizzato dalla Mondadori sulla Morante.

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    1. Grazie per questo prezioso commento, Elena. Io, scoprendolo adesso, in età matura, mi sono immersa in questo romanzo nutrendomi in particolare dell'aspetto dell'affettività e della vita che si fa prepotentemente strada pur nel baratro della guerra. Il fatto che si faccia strada anche la morte, questa cosa ineluttabile che arriva nonostante tutti gli sforzi di Ida per offrire nutrimento e amore al proprio bambino, non mi ha disturbato come invece ne risultò ad esempio Calvino. Il dolore fa parte della vita, ne è una componente per certi aspetti essenziale, e all'interno di un intreccio prende la forma dell'inevitabilità, il che conferisce quel valore di veridicità al romanzo. Il finale stesso è solo funzionale a un progetto di narrazione che Morante ha in mente fin dall'inizio, donandoci una storia/cronaca, come se fosse realmente accaduta perché somigliante alle mille storie umane impigliate nell'oscenità della violenza.
      Penso ci sia molto da scoprire riguardo a questa straordinaria scrittrice, hai fatto bene ad approfondire. Io ho intenzione di leggere Lo scialle andaluso e Menzogna e sortilegio.

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  2. Finalmente la tua recensione, giacché da qualche tempo ne parli e sapevo che lo avevi in lettura. Vivo la tua stessa contraddizione: di fronte a un romanzo così "grande" non averlo mai letto (e mai averne sentito l'esigenza) mi produce un certo imbarazzo. Certamente c'è una ragione per l'infelice fortuna de "La Storia" e tu ne hai addotte alcune. Vedo, ma senza averlo letto so di addentrarmi in un territorio minato, un tema tipico di quel tempo: la necessità di narrare una sola storia del dopoguerra, dove alcuni temi, come l'empatia con il nemico, qui mi pare rappresentato da Ghunter, non trova posto.
    Resto colpita dai giudizi così fortemente negativi da autori e protagoniste della storia che ho in realtà sempre stimato, dunque non resta, prima o poi, il giudizio ultimo di una mia lettura. Ma certo comprendo l'emozione di veder descritti ambienti che ti appartengono. in questo senso, questo romanzo è davvero tuo

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    1. Quando hai apprezzato Stalingrado di Grossman ho compreso che possiedi anche tu la particolare esigenza di leggere storie solide, in particolare legate a vicende umane vere sulle quali ancora molto c'è da dire. Per esempio, La Storia è la narrazione degli ultimi, di quelle popolazioni civili che pagarono a caro prezzo i costi della guerra. Agli ultimi si pensa poco o niente, si parla di battaglie, di capi di stato, di alti comandi dell'esercito, ma la Storia la fecero anche e soprattutto i civili, conoscendo un prima e un dopo. Un passato normale, sereno, con i problemi di sempre, e poi la devastazione, la fame, il dolore di ogni perdita. Mi sono chiesta quale fosse l'animo di chi ha vissuto queste vicende ai limiti dell'umano, mi sono chiesta cosa avrei provato io, e mi sono data una risposta. Tutti avremmo reagito arrivando a un certo punto a farci perfino l'abitudine. E questo è forse l'aspetto più terribile di tutti.
      Quando leggerai questo romanzo, sarò felice anch'io di leggerne una tua recensione.

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