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mercoledì 7 febbraio 2024

Perché non riusciamo a finire un libro?

Confessate: quanti libri avete mollato? 
Non sempre quello che cominciamo a leggere ci coinvolge, piace, travolge al punto da voler arrivare fino alla fine. 
Mi è capitato con romanzi "importanti" e anche molto apprezzati: Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino, Cent'anni di solitudine di Marquez, La Compagnia dell'Anello di Tolkien. 
Ebbene, sì.
Ricordo la sensazione che mi diede il primo dei tre: bello l'inizio, direi anzi un colpo di genio, belli alcuni incipit, diversi perché è come se il romanzo ricominciasse diverse volte. Bello in definitiva quell'insieme di passaggi che solo Calvino ha saputo ideare, con uno stile accattivante, leggero e ironico al punto giusto. Insomma, se apparentemente questo romanzo-non romanzo ha tutte le carte in regola per entrare nel novero dei libri che potrei amare, mi sono arresa, arenandomi definitivamente circa a metà, incuneandomi sull'ennesimo nuovo inizio, confondendomi e perdendomi dietro personaggi che non mi piacciono, che non suscitano in me alcuna curiosità.
Riguardo al capolavoro di Marquez, mi sono arenata sull'intrecciarsi di eventi e nomi, non era proprio il periodo giusto per perdermi in intricate genealogie. Lo aprivo ma a malincuore, fiacca e senza quella spinta che ha caratterizzato i moltissimi lettori di questo romanzo. 
Il primo romanzo della trilogia tolkeniana, di cui tentai la scalata durante un'estate torrida, mi annoiò perché trovai un troppo di tutto, a partire dalle innumerevoli avventure e incontri della celebre "compagnia" in viaggio verso il Monte Fato. Ricordo un capitolo avente per protagonista un grottesco personaggio, Tom Bombadil, che non sopportai all'istante, lì decisi di chiudere. 

In tutti e tre i casi ho cercato di tenere duro, fino ad appellarmi alla terza legge del decalogo di Pennac: Il diritto di non finire un libro. Sapete quando sorge quel pensiero che diventa certezza, quella forma vaga di consolazione nel pensare di chiuderlo e non riaprirlo più, se non "spizzicando" qua e là? Ecco, quello. 
La sensazione che mi coglie è in parte quella di una sconfitta, in parte la consapevolezza di possedere, in quanto lettrice, il diritto di non farmi piacere un libro che non mi piace, e il sollievo nel "perdonare" questa mia mancanza, alla quale ho sopperito e sopperirò con nuove ed entusiasmanti letture. 

Cosa non si verifica, cosa non scatta fra narrazione e lettore quando un libro non ci piace? 
Io amo Calvino. Ho adorato Le città invisibili, la Trilogia degli antenati, cosa può essere successo questa volta? Se una notte d'inverno un viaggiatore, che Umberto Eco per altro decretò come il suo prediletto di tutto il Novecento italiano, mi piace nell'intenzione di base, quella di scardinare i piani narrativi consueti, presentando una sequenza atipica, un gioco a scatole cinesi nelle quali si confondono i protagonisti e la storia che vanno dipanando, ciò che mi è mancato è lo slancio per il protagonista, la curiosità
La noia ha subissato ogni interesse e volontà. 

In proporzione a tutti i libri finora letti, direi che mi è accaduto raramente di abbandonare e questo mi consola.
Casi differenti di abbandono: mi piace lo stile ma non riesce a catturarmi la storia, oppure la storia suscita in me interesse ma non piace la costruzione narrativa.
Mi è capitato di tenere duro, quando lo stile era oggettivamente bello, imperdibile, ma la storia era una lungaggine noiosa oppure una serie di grottesche trovate senza capo né coda. 
Per esempio, Baudolino di Umberto Eco, letto un paio di decenni orsono ma che mi mise a dura prova, e il discusso Il maestro e Margherita, recensito qui, che non sono riuscita ad amare, ma che ho finito resistendo tenacemente fino all'ultima pagina. 

Avete mai abbandonato? Cosa è scattato in voi se è accaduto?

14 commenti:

  1. A me è capitato con *Cent'anni di solitudine di Marquez*. Tutti ne parlavano bene raccontando anche qualche episodio. Io non trovavo il bello e ho smesso di leggere il romanzo.
    Niente che possa preoccuparci. Può succedere.
    Ciao Luz.

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    1. Pure a me, come ho scritto nel post. Ed è vero, possiamo perdonarcela. Semmai avremo perso l'occasione di apprezzare pagine che magari sono indiscutibilmente importanti. Ce ne faremo una ragione. :)

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  2. Io resisto giusto quando spero che l'autore vada a parare da qualche parte, ma ne ho abbandonati, per sfinimento, di libri! La ragazza con la Leica, vincitore dello Strega, è uno di quelli che ricordo più frequentemente; ma poi ho abbandonato "Le Benevole" di Jonathan Littel (per noia estrema), Viaggio al termine della notte, di Cèline (al quale però vorrò dare un'altra possibilità, perché forse l'ho letto nel periodo sbagliato), ho abbandonato un romanzo di cui ho pure parlato, Cosmopolis di De Lillo, per totale disinteresse verso il tipo di storia... Mi hai fatto venire in mente che a me Calvino piace, ma ho anch'io mollato un suo libro: Il castello dei destini incrociati", per lo stesso motivo tuo: era cominciato con una prima parte intrigante, molto originale, alla Calvino maniera, ma poi, la seconda parte, mi ha creato una tale confusione da smontare totalmente il mio iniziale entusiasmo. Alla fine mi dico: ma se uno legge per gustarsi un momento di immersione totale nella storia, nello stile, in quello che vuoi, perché soffrire se le condizioni non sono soddisfatte? Mica ce lo ordina il medico! (lo dico perché fino a qualche tempo fa pensavo fosse un peccato mortale abbandonare una lettura!) :)

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    1. E hai fatto bene poi a cambiare idea e pensare che sì, possiamo farlo. Certo, è strano non riuscire ad apprezzare quello che per moltissimi altri è il non plus ultra. Ancora penso alle orde di estimatori de Il Maestro e Margherita e alla mia sensazione del tutto opposta, pur riconoscendo il valore storico del romanzo per l'epoca e gli intenti per cui fu scritto. Cerco di non fare l'errore di stimare un romanzo "sopravvalutato" se non è piaciuto a me. Dinanzi a libri ritenuti capolavori o fra il meglio che un autore può aver creato, non mi permetterei mai di pormi su un piedistallo dicendo agli altri di non aver capito nulla e di correre dietro a un perfetto niente. Sicuro manca qualcosa dentro di me se un grande romanzo non mi piace. Ma si sa, esiste un lettore empirico e un lettore modello, aspetto cui dedicai un post qui nel blog, e vale per i libri passabili fino ai grandi capolavori.

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  3. Mi è capitato diverse volte. Credo che esistano delle "incompatibilità lettoriali", autori che possono letteralmente risultare indigesti a uno specifico lettore. A me è capitato con Murakami, ho provato la sensazione di aver sprecato il mio tempo provando a leggere la prima metà di un libro di racconti di cui ho cancellato dalla memoria il titolo. Ricordo ancora un po' le trame di alcuni racconti, quindi non l'ho trovato noioso ma piuttosto privo di senso.
    Mi è capitato di mollare anche "L'idiota" di Dostoevsky, eppure avevo letto e apprezzato diversi suoi romanzi, quindi in questo caso è piuttosto un'incompatibilità sul singolo libro.
    Ho mollato a metà anche "Dolores Claiborne" che è stato il mio primo e unico tentativo con Stephen King, troppo prolisso per i miei gusti.
    Tra i classici, D'Annunzio mi risulta indigesto per il suo formalismo portato all'estremo ("Il piacere" l'ho mollato dopo neppure cento pagine, ho riprovato con un libro di novelle ma non sono riuscito a finire neppure la prima), mentre tra i moderni trovo che la narrativa di Baricco abbia la stessa quantità di contenuti di un bicchiere vuoto spacciato per pieno. "Seta" e "La leggenda del pianista" li ho pure conclusi, ma solo perché la loro brevità lo permette e perché c'era davvero la curiosità di arrivare sino in fondo, visto che le recensioni entusiastiche dell'epoca mi facevano pensare "non può essere il nulla assoluto che sta sembrando a me". Sono giunto alla conclusione che c'è qualche discreta possibilità che abbia ragione io ;-) Comunque, in un caso o nell'altro, di Baricco non leggerei più nulla neppure se gli assegnassero il Nobel.

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    1. L'idiosincrasia verso certi autori può essere normalissima, oggi penso anche verso grandissimi autori. Comprendo tutto quello che scrivi, benché io invece apprezzi tutto ciò che citi. Comprendo che non possa piacerti Murakami o la prosa di Baricco, per esempio. Probabilmente tutto ciò che hai trovato indigesto nei loro libri è quel che piace invece ai loro estimatori. Per esempio, anch'io sono rimasta spiazzata dinanzi a diverse pagine di Murakami, in particolare di "Kafka sulla spiaggia", quelle che spingono sul surreale in particolare. Eppure ne ricavai una fascinazione che non so spiegare. Dopo aver letto Il Maestro e Margherita comprendo che Murakami ha attinto molto dalla letteratura occidentale (vabbé, è uno dei suoi marchi di fabbrica ed è aspetto dichiarato apertamente) ma ha saputo anche rendere quelle suggestioni originali. Ribadisco, comunque, di capirti.
      Di Baricco colgo la poesia, quando sa essere poetico e arrivare a fare vibrare certe corde nel lettore. Mi pare uno che sappia molto di come sia fatto l'uomo, ogni suo libro è un viaggio all'interno dell'essere umano, sì, con una prosa molto gonfiata in certi tratti, autoreferenziale. Eppure, ti dico, Oceano Mare contiene pagine che rileggo ogni anno, ad alta voce, che mi portano letteralmente alle lacrime tutte le volte.

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  4. Ad ognuno le sue letture.. curioso che anch'io ho mollato Cent'anni di solitudine per due volte ed entrambe a pagina cento! Ma ce n'è di libri lasciati a metà, ed è giusto così perché con tutto quello che c'è da leggere, procurandosi piacere ad ogni pagina e rimanendo quasi malinconicamente orfani alla fine, perché perdere tempo prezioso con roba che non ti dona un minimo di emozione?!

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    1. Io ancora non ho tentato la seconda volta. Ma davvero ci voglio provare, vediamo. Gioca a sfavore l'edizione che posseggo, Oscar Mondadori di diversi anni fa. Scritto fitto fitto, carattere minuscolo. Non aiuta. :(

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  5. Io sono una lettrice orgogliosa: quando si presenta l'istinto di abbandonare un libro, mi scatta il senso di colpa, un richiamo assurdo al senso dell'onore, che, se poi getto la spugna, si traduce in un proposito di tornare in futuro a tentare l'impresa. Non mi succede solo con i libri: a volte inizio a guardare delle serie TV che mi tengono inchiodata anche se sono più i momenti in cui rilevo buchi di trama, difetti o semplicemente cose che non mi piacciono rispetto a quelli in cui me le godo. Dovrei lasciare, invece no: vado fino alla fine per poi piombare nella fastidiosa sensazione di aver perso un sacco di tempo. Fra i libri la mia rinuncia memorabili è Il partigiano Johnny di Fenoglio, che mi ha fatto desistere in meno di venti pagine.

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    1. Resti fedele alla lettura malgrado ti procuri disinteresse... indice di caparbietà e coraggio! :) Io mi sono accorta che cercare di leggere un libro che davvero non suscita il mio interesse è davvero sofferenza pura. Con quegli altri ho fatto un certo sforzo, questi proprio non li ho retti. Però vale anche il discorso secondo cui capita di iniziare a leggere qualcosa nel momento meno appropriato. Può essere anche questo, quindi ci sta fare un tentativo più in là nel tempo.

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  6. Io sono cocciuta e non mollo. Però devo dire che non ricordo di essere arrivata all'abbandono per noia, semmai rischio di non leggere a causa del periodo, dell'umore e dello stress. Magari sto leggendo un saggio o un classico impegnativi, ma è mutata la condizione lavorativa/famigliare e avrei solo bisogno di un romance o un giallo divertente per staccare completamente la mente. Era successo così per Guerra e pace, ero riuscita a portarlo avanti per tutta l'estate caldissima e poi mi sono arenata nelle ultime 100 pagine, dello spiegone politico di Tolstoj, con aumentati impegni lavorativi. L'ho finito sotto Natale, quando mi sono rilassata nuovamente. Quindi, sono più io che il libro stesso, ecco. Dopo tre anni che non leggevo saggistica (dal periodo Covid, che coincide anche don diversi cambi lavorativi) ho ripreso questa settimana, così. Vedremo come va. :)

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    1. Io per la saggistica ho un'autentica passione. Proprio in questi giorni, dopo la scomparsa di mia madre, sto leggendo un libro di Recalcati sul lutto che mi aiuta a mettere a fuoco quanto succede in chi deve metabolizzare la botta ricevuta.

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  7. Libri che ho mollato sono "L'arte della gioia" di Goliarda Sapienza, a venti pagine dalla fine, libro molto decantato e che all'inizio mi era piaciuto. Ho trovato la scrittura insopportabile e confusa. Il secondo è "Il castello" di Kafka, l'ho ripreso per due volte e poi l'ho lasciato a metà. Come dice mio marito, "Ma perché devi soffrire?"

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    1. Giusto, perché dobbiamo soffrire? L'arte della gioia è in attesa sullo scaffale, speriamo di riuscire ad apprezzarlo.

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