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venerdì 26 aprile 2019

Come stuzzicare l'interesse di un editore oggi?

Cominciamo da dove eravamo rimasti. 
Erano i primi di novembre dello scorso anno e pubblicavo questo post, dopo aver riletto più volte e revisionato (oltre che limato e sfrondato e tagliato e livellato) il romanzo. Ne uscivo spossata, visceralmente dentro la storia al punto da sentirmi addosso un effetto straniante. 

Quando succede questo, la cosa migliore da fare è prendere le distanze. Mi ci sono voluti mesi per essere certa di averlo fatto. 
Ora, timidamente, mi riaccosto alla materia narrata, un capitolo alla volta e... ancora una volta sono portata a sfrondare, revisionare. Mi ritrovo al punto di partenza, insomma. Mai soddisfatta. 
Rileggendo, al momento mi sembra che questo romanzo si ponga troppo al di fuori di questa epoca. 

È un romanzo storico, il che ne attenua questo "difetto", ma la sua struttura non ne fa cogliere nell'immediato un aspetto che potrebbe rappresentarne la carta vincente: la lotta di una donna per l'autodeterminazione.
Quanto mi sono lasciata coinvolgere, e condizionare, dai romanzi ottocenteschi letti durante l'adolescenza? Tantissimo. Troppo, anzi.
Fino a una decina d'anni fa, a dirla tutta, ignoravo gran parte della letteratura contemporanea. Ciò deriva anzitutto dai limiti della scuola, perché avendo fatto studi classici, ho studiato testi classici, rimanendo imbrigliata alle correnti letterarie fino al Primo dopoguerra.
La scuola avrebbe dovuto offrire un panorama più ampio, l'utilità di un confronto, maggiore aderenza all'età contemporanea. 
E così mi sono formata sui classici e ho fortemente condizionato la mia scrittura. Sì, perché, si sa, lo scrittore dilettante tende a imitare il "già letto" e un editore, che punta anzitutto a una scrittura originale, perché dovrebbe essere invogliato perfino a terminare di leggere? 

Leggendo in moltissimi blog e siti in cui si parla di scrittura, il leit motiv è ricorrente: bisogna essere originali, nuovi, riservarsi uno stile proprio e puntare su storie che suscitino interesse
Un editore è un imprenditore, deve vendere il prodotto, è legittimo che punti su parametri anche piuttosto banali. Se pensiamo al fatto che Volo sia in Italia uno scrittore da best seller, capiamo perfettamente che un editore pubblica quello che la gente comune, mediamente istruita, desidera leggere. Trame leggere, stile semplice, un mainstream prét à porter. 
Volo ha capito benissimo quello che piace, e sforna storie che saranno poi vendutissime. 
Possiamo anche storcere il naso, ma è lo stesso principio che anima tanta televisione trash: lo spettatore medio vuole questo, noi offriamo questo. E gli ascolti salgono alle stelle. 

Per fortuna esiste anche un'editoria di alto profilo. Alcuni editori hanno dato fin da subito un taglio riconoscibile al proprio marchio, se penso a Fazi, Einaudi, Edizioni e/o, Feltrinelli, Sellerio e altri, so che, come lettrice, avrò ampie possibilità di trovarmi dinanzi a un buon libro. 
Bene, allora immaginiamo di proporre il proprio romanzo a uno di questi. Direi che le possibilità di essere pubblicati sarebbero minime, per non dire nulle. 
Circoscriviamo il problema. 


Un dipinto di George Catlin (1796-1872), citato nel romanzo.

Immaginiamo di saper scrivere molto bene (eh sì, dobbiamo "immaginare" di saperlo fare, perché scrivere molto bene è frutto di studio e talento, non basta semplice attitudine). 
Ottimo stile, nessun refuso, massima attenzione alla storia, insomma, il libro c'è. 
Ahi, è un libro di genere. Moltissimi editori rifiutano proposte su libri di genere. Se date un'occhiata ai siti di editori che offrono proposte di pubblicazione, leggete che non sono ammessi libri di un genere specifico. Il mio è un romanzo storico. 

Troviamo l'editore che accetta anche una proposta di romanzo storico. Bene. Cosa si racconta nel romanzo? Dove è ambientato, in quale epoca? 
Per quanto riguarda questo mio romanzo, è ambientato nel XIX secolo, nell'America post Guerra di secessione, negli anni della costruzione di quella identità americana dei grandi fondatori delle città dell'ovest, fra il 1870 e il 1880, gli anni dell'avvento della ferrovia, dei primi passi verso un progresso moderno. In questo scenario si innestano i grandi temi della discriminazione culturale dei Nativi e della funzione sociale della donna, la causa del suffragio femminile in primis. 
All'interno di questa ambientazione storica, la finzione letteraria: una protagonista femminile che cerca "il suo posto nel mondo", scegliendo la via meno battuta per dirla alla Frost.

L'aspetto "romanzesco" è un insieme di suggestioni che agiscono nella scrittura senza che chi scrive se ne accorga. Sono frutto di letture, visioni di film, osservazioni di vario tipo, insomma la messa in scena di un bagaglio di esperienze che compongono poi l'esperienza della scrittura. 
La materia trattata è lontana dal proprio vissuto. Chi scrive evade dalla realtà, chi legge farà altrettanto. Ecco la conclusione: è narrativa di evasione. Nulla di più.

Siamo assolutamente certi che un romanzo storico, ambientato in un tempo e un luogo lontani, un romanzo in definitiva di evasione, pur ben scritto, incontri il favore di un editore? 
Potrebbe essere, ma non gli editori sopra citati, che invece punterebbero su un tempo e un luogo diversi, in cui c'è maggiore possibilità di identificazione del lettore.
Oggi sono portata a pensare con assoluta certezza che ci sia bisogno di qualcosa che sia vicina alla nostra epoca, vicina ai grandi temi attuali, se romanzo storico deve essere. 
La fascinazione dei grandi scenari americani, l'epopea di eroi che fecero la Storia di terre oltreoceano, non ci appartengono quanto gli eroi che invece hanno caratterizzato la nostra Storia.

Il romanzo dovrebbe trattare una materia che si conosce, una materia fatta delle stesse origini dello scrittore, ecco perché vi sono grandissimi esempi di romanzi storici/autobiografici. Se non dalle proprie origini, un romanzo storico dovrebbe avere come materia la Storia di una nazione, come quella italiana di tanta parte del Novecento. Oggi sarebbe una letteratura "necessaria".

Esempi di romanzi diventati ormai classici:
Canale Mussolini, di Antonio Pennacchi, vincitore del Premio Strega nel 2010;
Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi, che ha il pregio di essere anche autobiografico;
Libera nos a malo, di Luigi Meneghello, altra opera autobiografica intrisa di Storia;
Tutta la letteratura verista;
Il partigiano Johnny, di Beppe Fenoglio;
La ciociara, di Alberto Moravia;
L'Agnese va a morire, di Renata Viganò;
L'isola di Arturo, di Elsa Morante;
Fontamara, di Ignazio Silone.

Un romanzo ben scritto, che contiene anche in minima parte le caratteristiche delle opere citate, avrebbe maggiori probabilità di ricevere attenzione da parte di un editore.
È una certezza sempre più concreta in me.
Ciò non significa che rinuncerò a far conoscere la storia di Esther Dunn, ma oggi, con molta probabilità, non scriverei una storia come quella.

Cosa ne pensate? Condividete il mio pensiero?

31 commenti:

  1. Concordo in pieno, a questo aggiungerei la scelta di personaggi credibili e ben inseriti nel periodo che si vuole descrivere.

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    1. Sì sì, le mie considerazioni partono comunque da un romanzo ben scritto, che rispetti tutti i canoni della buona scrittura.

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  2. Mah, io non saprei cosa dire. Continuo a pensare che bisogna anche saper fare "lobbying", come dicono in America. Vedo certe opere pubblicate e mi chiedo cosa abbiano di innovativo o di interessante rispetto ad altre che ho letto di amici "scribacchini" come me che non riescono a trovare uno straccio di editore...

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    1. Si parte da questa certezza ma poi... ti scontri con la realtà. Per piazzare una buona opera sul mercato, avere un editore che crede in te, devi comunque aver scritto non solo bene ma qualcosa in linea coi tempi. Oggi è così.

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  3. So di non poterti consolare, ma il tuo romanzo ha un problema in più di quel che puoi immaginare.
    Di recente mi sono imbattuto, sia io che un amico, con un aspetto dell'editoria di cui ero all'oscuro.
    In pratica, nel mio caso, scrivere una storia internazionale, ovvero ambientata all'estero, soprattutto se presentata da un esordiente e ancor di più se il romanzo è corposo (le 500 pagine per intenderci) ecco che l'editoria italiana nella stragrande maggioranza dei casi, evita a prescindere, senza entrare nel merito, senza leggere il manoscritto, questo tipo di pubblicazioni.
    Certe storie le si importa dagli autori stranieri, pertanto secondo i parametri editoriali, un italiano non sarebbe credibile. Quindi il tuo romanzo storico in tal senso parte zoppo dall'inizio vista l'ambientazione americana. Chiaramente poi ogni caso è una storia a sé. Esistono le rarissime eccezioni, ma la regola pare quella.
    Pertanto, sulla tua considerazione finale, cosa scrivere per essere pubblicati, ci si può sbizzarrire in storie sentimentali, romance, gialli italici a volontà, difficoltà relazionali, sociali, disturbi anoressici, bulimici e tutto il resto. Tutti argomenti nobilissimi se scritti bene, ma i paletti per noi italiani sono questi.
    Almeno, gli addetti editoriali importanti, mi hanno spiegato così.
    Posso farti il mio in bocca al lupo, e sperare che comunque la tua storia trovi una breccia. A mio giudizio non esistono muri invalicabili.
    Da parte mia, comprese queste ulteriori regole del gioco editoriale, mi sta anche bene. Posso assecondare la mia natura ribelle e osare quel che il sistema stesso ritene impossibile.

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    1. Sì, avevo omesso questo ulteriore problema, che è la "corposità" del romanzo.
      Con tutte le eccezioni del caso, bisogna essere concreti e forse anche abbastanza pessimisti: le regole del gioco sono quelle che vediamo davanti a noi.
      Un romanzo che possa suscitare interesse, che parte già dallo svantaggio di essere stato scritto da un perfetto sconosciuto, deve avere caratteristiche imprescindibili:
      1. ottimamente scritto
      2. entro le 250 pagine al massimo
      3. non di genere, se sì, ambientato in Italia, durante i grandi eventi del Novecento
      Questi i "paletti" che possono riguardarmi e sui quali si basava la mia riflessione di questo post.
      Ora, mi domando: inviare lo stesso (ma a editori come Mondadori, Giunti e Neri Pozza) o buttare o autopubblicarsi.
      Ecco le tre strade che si aprono dinanzi.

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  4. Mi trovo perfettamente in sintonia con la tua riflessione soprattutto perché sto revisionando il mio romanzo storico ambientato nell'Italia rurale del secondo dopoguerra e anche io scrivo di donne e riscatto. Dunque stiamo battendo lo stesso terreno, pur con trame e periodi differenti, e con la stessa formazione letteraria. Mi stupisce la questione del romanzo di genere : dopo averci martellato con l'importanza di definirne bene uno, ora ci spiegano che non va più bene? Comunque penso che il romanzo storico sia uno dei romanzi più letti e apprezzati. L'ho scoperto dopo averlo scritto, ma la cosa mi rallegra. Forza Luz con la revisione, che tra poco ti leggiamo!

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    1. Elena (Elena Ferro?), grazie per l'incoraggiamento.
      Hai per le mani il romanzo giusto, probabilmente, se è ben scritto hai diverse chance. Voglio seguire il tuo percorso, ma palesati. :-)

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  5. Secondo me, sono due gli elementi necessari per essere pubblicati: allinearsi al gusto vigente e avere anche fortuna.
    Come ha scritto qualcun altro: si trovano libri in giro (non autopubblicati e non pubblicati a pagamento) dei quali ci si chiede "Ma perché?"

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    1. Come ho scritto nel post, c'è tutta un'editoria che sembra non porsi il problema di una qualità del testo. Il pubblico, parte di esso, comprerà, e questo può bastare.
      Il gusto vigente e la buona dose di fortuna possono essere condizioni importanti, ma a volte sono legate proprio a quelle pubblicazioni di scarso valore.

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  6. Purtroppo devo dare ragione a Marco. Leggendo il tuo post, la prima cosa che mi è venuta in mente è proprio l'ambientazione straniera che è un limite, è inutile ignorarlo. E ridico "purtroppo" di fronte a tutte le tue osservazioni, perché le trovo corrette: viviamo in un'epoca in cui certe storie, forse, potrebbero avere risalto se scritte da un autore conosciuto, le chance di un esordiente sono ridotte, tranne che non scriva romanzi postmoderni oppure romanzi storici, ma ambientati nel periodo fascista o nel dopoguerra, tutt'al più: visti i tempi sarebbero di un certo interesse e potrebbero risultare attuali.
    Tuttavia, quella che hai scritto resta la tua opera, curata, sentita, vissuta, sudata, dunque credici sempre. Non costa niente. ;)

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    1. Infatti è proprio quello che ho voluto dire nel post e che Marco ha confermato. :)
      C'è da fare i conti con questi grossi limiti. Fermo restando che il romanzo sia ben scritto e che la storia ci sia, altrimenti staremmo discettando di pura fuffa, diversi editori non sarebbero in grado di accettarne il genere e la corposità.
      Bisogna studiarsela, Mari', ci serve per il nostro laboratorio di scrittura creativa. :)

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  7. L'editoria italiana credo sia un bel terno al lotto. Se ascolti le storie di chi è arrivato alla casa editrice desiderata ha fatto non poca gavetta, e da esordiente è sceso spesso a compromessi. Ci sono moltissimi vincoli che ogni romanzo deve rispettare, nel caso del tuo ne hai evidenziato diversi e nei commenti ti è stato paventato altro. Credo che la strada del self non sia l'ultima spiaggia in questi casi, ma un'ottima soluzione per evitare tempi di attesa interminabili e soprattutto per farsi notare. Anche se sono certa che con molta pazienza esista l'editore interessato al tuo libro.

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    1. Il punto è proprio quello, non lasciarsi prendere dalla frenesia di "vedere come va a finire" senza aver attraversato il terreno delle case editrici. Ho poche speranze, ma almeno fare alcuni tentativi. Poi, senz'altro in alternativa me lo pubblico da me. :) Non credo che ci sia nulla di disdicevole, sebbene molti storcano il naso dinanzi all'autopubblicazione.

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  8. Ti do ragione sui meccanismi editoriali, ma resto del parere che si debba scrivere quello che ci tocca davvero, anche se fossimo gli unici esseri umani interessati (e non è mai così). Certo, se si hanno due idee che piacciono altrettanto su cui lavorare, e una promette meglio dell'altra dal punto di vista della pubblicazione, perché non approfittarne? Ma se così non è, mi sembra non solo un po' triste, ma anche difficile nella pratica scegliere una storia sulla base delle propensioni degli editori. Scrivere è un viaggio così lungo e anche stancante, a volte... come si fa a intraprenderlo senza quell'intensità che prescinde da tutto? E poi c'è anche l'autopubblicazione, che ti permette una libertà reale, con i suoi pro e i suoi contro. Quanto a me, mi piace il periodo che hai scelto, e così il luogo. Leggerò la storia di Esther Dunn, appena uscirà.

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    1. Grazie, mi piace il pensiero di avere già potenziali lettori (lo avevo letto anche nel commento al tuo blog). Sì, vale il non lasciarsi condizionare dalle esigenze, ma tutto sommato un libro è un prodotto destinato a un pubblico e bisogna scendere a patti con ciò che il pubblico amerebbe, oltre che con una certa coerenza e tempistica. Credo comunque che costruire un romanzo storico su un periodo come il Dopoguerra sarebbe un lavoro di almeno tre/quattro anni. Con il teatro e il lavoro, come potrei mai fare? Mi sembra quasi impossibile.

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    2. Certo bisogna agire in base alle proprie priorità, o si rischia di polverizzare gli sforzi e non godersi nemmeno il viaggio. Sono d'accordo con te sull'importanza di incontrare i gusti del pubblico; solo mi rendo conto di quanto sia rischioso sovrapporli, nelle proprie valutazioni, alle propensioni - in realtà poco afferrabili - degli editori.

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  9. La pubblicazione è l'altra faccia della scrittura, con molte spine e poche rose. Per quanto mi riguarda, da sempre io ho la sensazione di scrivere il romanzo sbagliato nel momento sbagliato a prescindere dal fatto che scrivo sempre opere di genere e che quindi parto male sin da subito. Ha successo "I pilastri della terra" o "La cattedrale del mare", romanzi corposissimi? Licenzio un romanzo di "appena" 250 pagine. Vanno i romanzi più contenuti di 250 pagine? Ecco che mi lancio addirittura su una serie medievale di 600 pagine l'uno. Alla questione dell'ambientazione italica non avevo proprio pensato, ma probabilmente è vera.
    Io però mi allineo in toto a quello che dice Grazia: assodato il fatto che non dobbiamo vendere romanzi per vivere, e che la pagnotta ci arriva da altre fonti, perché costringerci in meccanismi editoriali prestabiliti ma anche instabili? Ci infiliamo da soli in un percorso che ci porta dritti all'inferno. Scrivere un romanzo con tutti i crismi costa tanto tempo e tanta fatica - e scrivere di Storia impegna dieci volte di più - e la velocità del mercato è tale che, dopo tre anni, quel modello potrebbe già essere cambiato. Puoi comunque annoverarmi tra i tuoi lettori non appena il romanzo vedrà la luce! :)

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    1. Mi piace la tua posizione equidistante, nonostante anche tu abbia riflettuto sulle probabilità della pubblicazione di un nostro romanzo. Abbiamo una cosa importante in comune: amiamo scrivere epopee storiche, ciò comporta un gravosissimo impegno e uno studio fittissimo della materia. Conservare e preservare la coerenza con la materia narrata diventa per noi un'operazione certosina. Va da sé che ci piacerebbe avere l'opportunità di fare conoscere la nostra creatura a un parterre di lettori, oltre che ci piacerebbe sapere se effettivamente questi romanzi hanno realmente un potenziale tale da suscitare l'interesse di un grande editore.
      Hai fatto bene a inviare il manoscritto al concorso di Neri Pozza. Dovrei mettermi di buona lena e tentare anch'io, ma sono assalita da mille altri dubbi. Mi sento come prima di un esame universitario, non lo tentavo neppure se non mi sentivo preparata perfettamente. :)

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  10. Ho paura di averla azzeccata parecchi anni fa quando pensai che in Italia non si legge per colpa degli editori, che non SONO editori, ma pubblicatori di testi e non per colpa del lettori italiani superficiali. Qui in Germania ogni mese si fa una classifica e ci sono SEMPRE minimo sette scrittrici tre i primi dieci libri. Da noi si e no due. Scrivete male voi, ragazze? No, non vi pubblicano. Cosa può scrivere una femmina? E cosa può scrivere un nuovo autore?
    Pitevano vendere scarpe i noti editori, tanto come educatori alla lettura non valgono niente. Istintivamente mi rigiro tra le mani un mio manoscritto di qualche anno fa, naturalmente inedito e non per mia decisione. Lo scrisi sei anni fa per partecipare ad un concorso, che mi era stato consigliato d chi sa come scrivo io. Nemmeno letto.
    Mi sono come si dice da noi scoglionato. Ha tutti i requisiti di cui parli, meno uno: non ho santi in paradiso.
    Ne riparleremo se ti va.

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    1. Caro Enzo, ecco un'altra variabile che fa remare male il romanzo. Autrice donna: poca fiducia da parte degli editori. Come ho fatto a dimenticare questo semplice eppure tragico elemento?
      Quindi dici che in Germania questa discriminazione non c'è, almeno esiste un po' di civiltà nei paesi nordici. Vedremo come va a finire. Non spero di essere pubblicata da qualcuno, sono davvero labili le speranze, al punto che è follia nutrirle, però mi riserverò qualche tentativo.

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  11. Di editoria non so niente a parte quello che leggo sui blog. Da lettrice, però, dico che l'ambientazione storico/straniera non sarebbe per me un deterrente. Il fatto che sia storia americana ha pure un tocco di "esotico/avventuroso" in più che dovrebbe in realtà piacere a parecchi lettori. Ma come è stato scritto qui sopra, gli editori vanno sul sicuro e non sono per niente educatori.
    Con la musica le cose sono più facili: se una casa discografica vuol rendere di successo una canzone, la fa passare in radio due milioni di volte e piazza il cantante ovunque. Dei risultati si raggiungono senz'altro, anche se non è sempre detto. Ma la musica può essere vissuta (o meglio, subita!) anche passivamente mentre con i libri è più difficile.

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    1. Ci sono editori che fanno la stessa cosa di chi piazza un brano musicale ovunque. Insomma, anche nell'editoria è facile individuare quel libro che ha attorno un entourage che vuole diffonderlo seriamente. Ecco un altro dei problemi legati alle case editrici, molte di esse, pur accettando il tuo testo, non lo promuovono affatto. Insomma, un bel grattacapo. :(

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  12. Buongiorno Luz.
    Molto interessanti le cose che scrivi.
    Sono qui soprattutto su suggerimento di un amico, il caro Vincenzo Iacoponi, che abbiamo in comune. Ti apprezza molto.
    Avevo già letto qualcosa di tuo. Continuerò a seguirti anche se conosco poco degli argomenti che proponi, giusto per conoscere ed imparare.
    Ti abbraccio, ciao.

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    1. Grazie, Pia. E grazie anche al buon Enzo.
      A rileggerci, allora. :)

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  13. Hai ragione su tutta la linea, ma mi unisco a Marco nelle sue perplessità in merito all'atteggiamento di alcuni editori, alle quali aggiungo la certezza che moltissime proposte non vengono proprio considerate. Qualche anno fa anch'io ho inviato un mio manoscritto qua e là, riscontrando dalle lettere di rifiuto standardizzate e dai plichi restituiti ancora con la rilegatura intatta che non erano nemmeno stati esaminati. Poco male, perché oggi non riscrivere lo stesso testo, ma mi troverei di fronte al medesimo problema. Da tempo ho in mente una storia, ma fatico a pensare proprio a come raccontarla: di certo il mio stile sarebbe troppo elaborato per gli standard dell'editoria di massa, non abbastanza graffiante per quella che punta ai lettori forti. Quindi chissà mai se e come si possa trovare la strada giusta per far arrivare i propri testi...

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    1. Anch'io, a distanza di tanti anni da quando questo mio romanzo fu pensato ed elaborato, non lo riscriverei in questo modo. Sento che la storia c'è, ma... Comprendo le tue perplessità sullo stile da adottare. Deve come scrivi tu essere "graffiante" e forse bisognerebbe optare per una paratassi estrema, uno stile diretto. Si accorderebbe però con la materia narrata? Ecco il problema.
      Mi ricordi i tuoi scritti. Scrivi molto bene.

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  14. Hanno già detto tutto nei commenti sopra. Per quanto da lettore la tua storia la leggerei volentieri, nom faccio abbastanza numero per convincere le case editrici a cambiare le loro idee in fatto di manoscritti pubblicabili. Un italiano deve scrivere del proprio paese, storico o romance o fantasy che sia. Non lo trovo giusto, eppure è così. Forse potresti tenere questo in serbo come seconda opera e scrivere qualcosa di più facile (si fa per dire) da pubblicare.

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    1. Non lo escludo. Tanto più che pensavo di usare uno pseudonimo per questo mio libro.
      Poi il mio vero nome in un altro progetto, per bambini e ragazzi, che includerebbe anche illustrazioni mie. Ecco, lì utilizzerei il mio nome. :)

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  15. Io credo che bisogna scrivere quello che sentiamo, le storie nascono dentro di noi e possono svilupparsi solo se seguiamo quello che sentiamo, inseguire i meccanismi editoriali non credo funzioni. Forse potresti darti una chance inviando il romanzo a una casa editrice.

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    1. Sì, vale anche il tuo pensiero. È innegabile che si debba scrivere quello che si sente come materia che in qualche modo "chiama".

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