La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz'ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz'ora altre voci frammiste avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d'oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e mentre durava quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.
Adesso, taciutasi la voce, tutto rientrava nell'ordine, nel disordine, consueto. Dalla porta attraverso la quale erano usciti i servi l'alano Bendicò, rattristato dalla propria esclusione, entro e scodinzolò.
Il Gattopardo
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Editore: Feltrinelli
Pagine: 304
Carissimi e carissime, riprendo oggi la mia attività blogger. Spero abbiate trascorso una bella estate. 😀
Si riparte! Buon rientro e buon blogging a tutti/e.
Parte della mia estate quest'anno è stata dedicata a un viaggio importante: rivedere i luoghi delle mie origini, Palma di Montechiaro. In questo paesino della provincia agrigentina, nel 1935, nacque mio padre, nel 1953 ne partì per andare a vestire la divisa di carabiniere a Torino. Da emigrante legato non tanto al suo paesino, quanto a sua madre, si avvicinò nuovamente al sud, scelse la Calabria, dove conobbe e sposò mia madre.
A Palma di Montechiaro sono stata finora in tutto quattro volte. Da neonata, quando mi portarono da mia nonna, nel 1983 a dodici anni, poi nel 1995 per il matrimonio di un mio cugino, fino a quest'anno, trent'anni dopo (!). Perlopiù ci tornava mio padre, ma non spesso, aveva con Palma un rapporto odio/amore. Amava profondamente genitori, sorella, fratello, nipoti, ma con quelle "pietre" come le chiamava lui era ritroso.
In me Palma di Montechiaro ha esercitato sempre un fascino particolare. Mi fu chiaro nel '95, quando con mia sorella, entrambe poco più che ventenni, trascorrevo ore a camminare per le sue viuzze, a rinfrescarci dalla calura sotto qualche raro albero, a sollevare lo sguardo dinanzi ai magnifici palazzi storici.
Non mi tornò mai quella avversione particolare di mio padre, 'o paisi a me piaceva e quest'anno ho ritrovato tutte quelle emozioni, sentendole risuonare in me più forti di prima.
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Palazzo ducale e Chiesa Madre (Palma di Montechiaro, fondata nel 1637 da Carlo e Giulio Tomasi di Lampedusa) |
Avevo letto Il Gattopardo negli anni di liceo, ma come spesso accade in quella età acerba, non mi era piaciuto particolarmente. Mastro-don Gesualdo di Verga mi aveva profondamente commosso, Il Gattopardo invece, non si sa come, annoiato. Ritrovarlo a 54 anni suonati mi ha emozionato come pochi altri libri riescono a fare.
Sarà perché per ogni romanzo c'è un lettore, e non sempre quel lettore è pronto per quel romanzo.
Sono scivolata fra le sue pagine cercando in ciascuna tutte le suggestioni, quel particolare mood, che appartiene solo a una terra come la Sicilia, e Tomasi di Lampedusa ne ha catturato in pieno le atmosfere.
Palma di Montechiaro, terra del Gattopardo, è strettamente legata all'autore, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, giacché fondata nel XVII secolo dai gemelli suoi avi, Carlo e Giulio Tomasi, poi duchi di Palma. Il lascito dei Tomasi al paese è l'insieme del suo patrimonio storico maggiore: il palazzo ducale, il convento delle suore benedettine e la Chiesa Madre.
Giuseppe Tomasi scrive Il Gattopardo fra il 1954 e il '56, è un maturo signore di quasi sessant'anni che coltiva da tempo il desiderio di raccontare il disfacimento del sistema nobiliare nel momento dell'annessione della Sicilia al Regno d'Italia.
Materia che conosce bene la Sicilia narrata nel romanzo, assieme al carattere del grande "felino" Principe di Salina, costruito sulla figura del nonno Giulio - appassionato di astronomia come il protagonista; Tancredi, nel romanzo amato nipote del Gattopardo, fu ricalcato sul figlio adottivo di suo nonno, Gioacchino Lanza; il palazzo di Palermo è costruito sul palazzo di famiglia in via Butera, nella scintillante Donnafugata, residenza di villeggiatura dei Salina, è riconoscibile Santa Margherita Belice, luogo di vacanze estive dei Tomasi, ma soprattutto la stessa Palma di Montechiaro. Tomasi, durante la stesura del romanzo, fece un viaggio a Palma per raccogliere dati e spunti, l'accoglienza riservata al "principe" scrittore fu pari a quella che il principe di Salina avrà nel racconto.
Il romanzo venne rifiutato da Mondadori ed Einaudi e conoscerà il grande successo solo dopo la morte di Tomasi, grazie a Giorgio Bassani che lo presentò in Feltrinelli nel 1959. Più di centomila copie vendute e Premio Strega nel 1959. Peccato per l'autore, morto nel 1957 non lo seppe mai.
La critica di sinistra lo stroncherà. Inconcepibile apprezzare all'epoca, nel secondo dopoguerra, un romanzo in cui Garibaldi è visto non come liberatore ma aguzzino (Risorgimento e Resistenza erano in certo senso assimilati). Stroncature per partito preso, di natura politica, che rivelano ancora oggi la totale miopia di certi intellettuali ai quali sfuggì che Il Gattopardo è essenzialmente un romanzo di autocritica e un'analisi della dissoluzione di un mondo antico e obsoleto.
Nel 1963 l'esordio del capolavoro di Luchino Visconti, la sua trasposizione cinematografica, ne consegnerà la storia a un pubblico molto vasto e a questa seguirà perfino un'opera musicale.
Rimasero estasiati dal panorama, dalla irruenza della luce; confessarono però che erano stati pietrificati osservando lo squallore, la vetustà, il sudiciume delle strade di accesso. [...] 'Quei volontari italiani vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare, perché noi siamo dei'.
Il Gattopardo è la storia di un uomo che assiste, inerme, a un mondo in disfacimento, alle ultime luci di una nobiltà che deve cedere il passo al progresso storico. Fra il 1860 e il 1861, lo sbarco dei Mille in Sicilia è l'evento cardine del Risorgimento, la sconfitta dell'esercito borbonico e l'annessione dell'isola ne modificano profondamente gli assetti sociali e politici. La nobiltà siciliana, basata sull'antico regime di tipo feudale, perde ogni stabilità e deve scendere a patti con il cambiamento.
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Interno del Palazzo ducale dei Tomasi |
Tancredi è un giovane sfavillante di intelligenza e simpatia, capace di soggiogare l'affetto dello zio, della propria cugina Concetta, innamorata perdutamente di lui; a Tancredi l'autore affida la celebre battuta "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi", parole che sbloccano in suo zio l'ultima reticenza riguardo allo sbarco garibaldino, o perlomeno hanno il potere di renderglielo accettabile.
Tancredi, ambizioso e passionale, diventa il motore della storia nel momento in cui posa gli occhi sulla bellissima Angelica Sedara, portando lo zio al compromesso di un matrimonio che unirà la casata alla volgare famiglia del sindaco di Donnafugata, feudo dei Salina.
Angelica è figlia della terra, ripulita dallo sporco delle proprie origini grazie all'educazione ricevuta in un collegio toscano e poi educata alle buone maniere e al buon gusto. Quello che manca è controbilanciato dalla sua bellezza, un'avvenenza rara che ammalia lo stesso don Fabrizio.
Il principe Fabrizio, Tancredi, Angelica, sono i personaggi più noti del Gattopardo, eppure, oggi posso dire che il personaggio più interessante è don Calogero Sedara.
Così rispondo anche a lei, caro Chevalley: i siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti, la loro vanità è più forte della loro miseria.
Don Calogero Sedara
Il villain, sindaco di Donnafugata e padre di Angelica, rappresenta proprio la classe nascente al momento dell'Unità d'Italia in Sicilia e allo stesso tempo incarna l'archetipo dell'uomo del sud in tempi in cui il patriarcato era un sistema accettato e molto radicato. Vediamone i due aspetti.
È un piccolo ometto furbo, sguaiato e inelegante, Tomasi ne fa il personaggio in cui si concretizzano tutti i difetti della piccola borghesia che si fa strada fra le macerie dell'antica nobiltà. Sedara, e tutti quelli come lui, non ha un blasone né raffinatezze, non comprende nulla di cibi raffinati, non sa vestire, ha un vocabolario limitato, ma dispone di molto denaro e ha un figlia di rara bellezza.
Don Fabrizio ha bisogno di denaro per la futura carriera del nipote, che non può spartire assieme ai suoi sette figli il patrimonio già esiguo dei Salina (che come sempre avviene per la nobiltà, possiede beni, palazzi e terreni, ma ha poco denaro contante). Accetta dunque il duro compromesso di imparentarsi con il volgare don Calogero e lo fa perché sa che tutto sta cambiando. Nel romanzo, la proposta di matrimonio viene fatta proprio dal principe al sindaco ed è un "rospo da ingoiare".
Lo stoicismo di don Fabrizio, c'è da dire. è ammirevole, perché Sedara è davvero un personaggio in molta parte fuori dalle righe e in altre circostanze mai un principe avrebbe preso in considerazione il matrimonio fra suo nipote e una nipote di... Peppe 'Mmerda.
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Su un soffitto del palazzo, blasone dei Tomasi con il gattopardo |
Ma chi è la madre di Angelica, la misteriosa donna che mai i Salina potranno incontrare?
Quella di donna Bastiana potrebbe essere una storia a sé, possiamo coglierne qualcosa fra le righe, ma parte resta nel mistero. Bastiana, certo, è una donna bellissima, i pochi che l'hanno vista ne parlano come di una Venere in terra, e ciò spiega la bellezza della stessa Angelica. Altro non è dato sapere, don Calogero ne giustifica l'assenza appellandosi a malattie e alla sua incapacità di fare bella figura in pubblico, ma dietro, possiamo sospettarlo, c'è gelosia e possessività.
Don Calogero non vuole che sua moglie si mostri in pubblico, la vuole tenere tutta per sé, è una sua proprietà, e la povera Bastiana è dunque passata, con quella "fuitina" da ragazza, dalla prigione nella quale la costringeva suo padre alla gabbia chiusa a doppia mandata dal marito.
Angelica avrà un destino diverso, ma anche lei, da ragazza in età da marito, diventa pedina di scambio, "proprietà" da trasferire assieme alla dote, per sua fortuna a un giovane che sceglie, ma col quale non sarà mai del tutto felice. Tomasi infatti lascia cogliere a tratti il destino di quella unione spezzandone la visione romantica e patinata. Anche Tancredi e Angelica entreranno nell'ingranaggio del sistema.
L'ultimo dei gattopardi
Purissima si erge nel racconto la figura del suo protagonista, don Fabrizio principe di Salina. Un uomo energico, colto, orgoglioso ma anche leale e giusto. È l'ultimo di una lunga stirpe non nel senso che con lui questa si estinguerà - gli ultimi capitoli narrano di un "Fabrizietto" nipote ed erede - ma nella ferma consapevolezza che nulla dopo di lui sarà più lo stesso. Con don Fabrizio si chiude un'epoca, come cogliamo in uno degli ultimi dolorosi capitoli.
Il film di Visconti e l'ultima trasposizione a puntate chiudono la storia appena dopo il gran ballo dai Ponteleone, ma il romanzo va ben oltre. Ci mostra don Fabrizio vent'anni dopo, ormai arrivato al termine della propria vita, di ritorno da un viaggio a Caserta dove è stato consultato un medico per il suo preoccupante stato di salute. Il principe a fatica torna a Palermo ma lì trascorre le sue ultime ore vedendo scorrere dinanzi a sé i momenti più significativi della propria vita e sentendo l'amara certezza di essere l'ultimo dei gattopardi, ormai al capolinea la lunga stirpe di principi depositari degli antichi valori feudali orgoglio della Sicilia.
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La celebre scena del ballo nel film di Visconti |
Quel principe di Salina rifiuta vent'anni prima la carica di senatore del Regno d'Italia offertagli da un funzionario piemontese in visita, in pagine fra le più significative di tutto il romanzo. Il rifiuto viene motivato dalla consapevolezza che in Sicilia mai nulla potrà realmente cambiare.
Ne riporto qui alcuni stralci (sono tanti, ma impossibile non citarli).
In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'. [...]L'intenzione è buona, ma tardiva. Del resto le ho già detto che in massima parte è colpa nostra. Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno, per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella all'Esposizione Universale di Londra. [...]Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio.Tutte le manifestazioni siciliane sono oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella. [...] Da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche e intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali. [...]Ho detto i siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi [...] sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle nostre teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo [...] In ognuno di quei mesi se un siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore [...]Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che si stanno intorno come bellissimi fantasmi muti [...] Tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.
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Interno del convento delle suore benedettine |
Già presente nelle citazioni che ho riportato qui sopra e dunque nel discorso del principe a Chevalley, essa ci ricorda in quale luogo quel modo di essere e agire è nato e continua a vivere.
"Da ogni zolla emanava la sensazione di un desiderio di bellezza presto fiaccato dalla pigrizia", scrive Tomasi nelle primissime pagine.
"La vista costantemente offesa", la terra coi suoi "succhi vigorosi e indolenti". Nel vecchio porto "le barche semiputride dondolavano, con l'aspetto desolato dei cani rognosi", le fiumare sono "integralmente asciutte", i dirupi "disperati", le strade "vaghe tracce irte di buche e zeppe di polvere". "Un'aridità ondulante all'infinito" le colline, "concepite in una fase delirante della creazione".
È la Sicilia del Gattopardo ma anche la Sicilia dell'oggi, quella che lasciò mio padre, quella che ho rivisto. Tutto torna e Palma di Montechiaro ne è essa stessa testimonianza vivissima.
Nel romanzo Tomasi si ispira al crocevia storico di Palma per tracciare alcune descrizioni. La chiesa nella quale i Salina ascoltano il Te Deum appena giunti a Donnafugata ha tozze colonne di marmo rosso, sono le stesse della Chiesa Madre del paese. Per essere precisi, nella realtà quelle colonne sono di stucco dipinto.
Tomasi descrive poi una scalinata a pochi passi dal palazzo, la stessa a Palma conduce proprio alla chiesa e si trova a pochi passi dal grande palazzo ducale dei Tomasi. Per non dire poi del convento delle suore benedettine, non lontano, descritto anche nel romanzo. L'atrio con le finestre a grate dell'antica clausura esattamente uguale a quello di Palma.
In quel convento, nei primi anni Settanta, mio padre acquistò il bellissimo corredo per me e mia sorella, lenzuola, coperte, tovaglie ricamate dalle suore. Pezzi dinanzi ai quali oggi ancora si resta incantati.
Ho camminato fra quelle strade e monumenti magnifici, sentendone tutto il palpito di un passato storico vivido nelle pietre, come nel ricordo di mio padre.
E fra le altre vie che ho varcato assieme ad amatissimi cugini e cugine generosi di compagnia e abbracci, ho visto palazzi abbandonati all'usura del tempo, graffiati e scardinati dall'abbandono, molti di essi deserti perché non più abitati, i più giovani sono partiti e non tornano tanto facilmente a ripercorrere gli spazi della famiglia. In uno stretto vicolo ho visto le macerie di uno di questi edifici crollati, altri presentano quella fatiscenza tipica di mancate manutenzioni. Palma di Montechiaro è anche questo.
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.
Il Gattopardo, dicevamo, è diventato un film di Visconti nel 1963, uno dei capolavori del cinema italiano.
Rivedendolo ho ritrovato lo spirito del romanzo. Visconti era un uomo coltissimo e deve avere amato questo romanzo fino a donargli un racconto su pellicola davvero notevole. È il merito del grande cinema del passato, che sa rifare non solo la storia ma il suo stesso andamento, il ritmo interno del romanzo, restituendolo poi come un'opera artistica raffinatissima.
Molto meno di pregio la miniserie andata in onda quest'anno su Netflix, che mi sono divertita a guardare per i grandi mezzi a disposizione della produzione, per un principe di Salina interpretato da Kim Rossi Stuart che, sebbene grottesco, ha un suo fascino, per la bella interpretazione di Benedetta Porcaroli nel ruolo di Concetta figlia del principe, e su tutto, per la straordinaria prova d'attore di Francesco Colella nel ruolo di don Calogero Sedara, perfetta riproduzione del personaggio del romanzo molto di più di Paolo Stoppa.
Per il resto, troppa libertà nel rifare il romanzo di Tomasi, risultandone così un'interpretazione libera, un "ispirato a" piuttosto che un racconto fedele.
Vi lascio qui il trailer della miniserie Netflix e poi una chicca, il prezioso documentario di Ugo Gregoretti del 1958, imperdibile se volete approfondire il tema.
Grazie per l'attenzione e grazie a chi vorrà lasciare osservazioni e commenti.
L'ho letto da grande e forse proprio per questo ho potuto apprezzarlo nel suo contenuto più significativo, quel "disfacimento di un'epoca" che dicevi nel post che, per certi aspetti, stiamo vivendo anche noi di quella generazione che ha visto l'occidente vincere la guerra fredda e non pensava di vederlo in seguito sconfitto dalla pace.
RispondiEliminaIn fondo ogni grande romanzo classico possiede una certa trasversalità. Possiamo leggervi, come tu giustamente osservi, anche alcuni aspetti della realtà contemporanea.
EliminaBen tornata Luz! Belli i tuoi ricordi personali legati al tuo paese di origine che si sovrappongono alla Sicilia del Gattopardo. Amo questo romanzo che io considero tra i più grandi della nostra letteratura (l’ho letto 3 volte…e non finisce qui), così come ho amato il film di Visconti. Due capolavori che si completano vicendevolmente in una sintonia perfetta. Per un siciliano, diceva Gesualdo Bufalino, capire la Sicilia è capire sè stessi: per assolversi o condannarsi. Certo, in questa rappresentazione di filosofia di vita non c’è solo l’uomo, ma c’è il territorio, c’è il sole, c’è il mare, c’è la storia e le sue magiche atmosfere che influenzano questo modo di essere siciliani. Elementi, questi, che hanno forgiato il carattere di un popolo. E il Principe Fabrizio Salina lo declama con passione al segretario prefettizio arrivato dal Piemonte: “…l’ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gli incongrui stupri hanno formato l’animo…” Con questo mio commento - cara Luz - anch’io ritorno alla blogosfera dopo oltre un mese di assenza totale da internet e dai suoi derivati. Ma, te lo confesso: io, non avendo cellulari, sono sempre sconnesso dal presente...diciamo che a volte mi sento più vicino al mondo del Principe di Salina :)
RispondiEliminaUn caro saluto
Bentrovato tu, Pino. Si torna a bloggare ed è sempre un gran piacere. :) Sono contenta esistano estimatori de Il Gattopardo al punto da esserne lettori anche per più volte. In effetti è un romanzo non solo di agile lettura ma estremamente bello e commovente in molte pagine. Questa purissima figura del principe difficilmente si dimentica. Ed è proprio vero, ogni "gattopardo" che osserva e vive la decadenza del proprio tempo assomiglia a questo grande personaggio. Ecco, si può dire è un ulteriore altro livello di lettura.
EliminaPeccato che alle medie, grado di scuola nel quale insegno, non è un romanzo che potrei proporre. Possiede quella complessità di comprensione profonda che a quella età sarebbe possibile solo raramente e quelle "eccellenze" di cui un tempo vantavamo oggi latitano sempre di più.
Bufalino non l'ho mai letto, ma voglio provvedere. Quanto al clima, diverse sono le citazioni nel post che fanno riferimento proprio al clima implacabile della meravigliosa Sicilia. Un aspetto che le appartiene nell'intimo, caratterizzante, identitario.
Si sente chiaramente quanto Palma di Montechiaro non sia per te solo un luogo geografico, ma un intreccio di memoria familiare, di radici e di storia collettiva. Bello il parallelismo fra la tua esperienza personale e quella letteraria: Il Gattopardo letto a distanza di anni assume davvero una forza diversa, come se la maturità e la vita vissuta aprissero uno sguardo nuovo su pagine già conosciute.
RispondiEliminaMi ha colpito anche la parte su don Calogero Sedara: è vero, spesso viene percepito come un personaggio “secondario”, ma la tua analisi dimostra che in realtà è uno dei nodi centrali della narrazione.
Infine, la descrizione di Palma con le sue bellezze e le sue ferite mi ha fatto pensare a come certi luoghi restino sospesi tra gloria passata e un presente difficile, proprio come i protagonisti del romanzo.
Davvero un bellissimo intreccio di ricordi, letteratura e cinema!
Grazie, Giuseppe, per la tua perfetta sintesi. Grazie davvero per avere apprezzato questo post. :)
EliminaUn intreccio fra ricordi, letteratura e cinema, è verissimo.
Questo post è splendido, per come è scritto (ma d'altra parte sappiamo quanto tu sia brava a scrivere) e per ciò che lascia una volta terminata la lettura. Mentre leggevo mi sembrava di camminare per le viuzze di Palma, di salire le sue scalinate e di vedere i suoi palazzi vittime dell'usura e dell'incuria. È stato un piccolo viaggio che ho fatto restando in poltrona col cellulare in mano. D'altra parte la magia della lettura, sia che si tratti di un post su un blog, di un articolo o di un libro, è sempre stata quella di portarti altrove. Non a caso Francis de Croisset diceva che la lettura è il viaggio di chi non può prendere un treno.
RispondiEliminaPer quanto riguarda Il Gattopardo, ricordo che la prof di italiano ce ne fece leggere e analizzare alcuni passi alle superiori, ma integralmente non l'ho mai letto. Devo assolutamente colmare la lacuna. Non appena avrò pubblicato questo commento correrò in biblioteca.
Bentornata nell'attività di blogger :-)
Caro Andrea, grazie per queste bellissime parole di apprezzamento. Cerco, scrivendo, di realizzare proprio quello che hai letto tu in questo post al quale tenevo in modo particolare. Portare il lettore in quelle viuzze, quanto piacere per me. :)
EliminaBentrovato e buon autunno di letture e blog.
Ho molto rispetto per questo post, che è molto di più di una recensione, è un tributo a una terra che è anche una storia, la tua e quella della tua famiglia. Come te ho adorato Verga e mi sono annoiata leggendo questo romanzo. Mi fido del tuo giudizio e lo rileggerò, sfruttando il cambio di prospettiva e di punto di vista dovuto a una diversa maturità. Anche perché alcune citazioni sono davvero eterne e permeano lo stesso linguaggio quotidiano di cui, talvolta inopinatamente, ci appropriamo. Lunga vita alla Sicilia e un bentornata a te, cara Luz
RispondiEliminaElena cara, bentrovata nei nostri spazi di scrittura e lettura. :) Grazie anche a te per l'attenzione e la sensibilità particolare con cui hai letto questo mio post.
EliminaVerga resta un grandissimo autore verista che fece di me a 18 anni una lettrice coinvolta e commossa da uno dei suoi romanzi. Potentissimo. Tomasi di Lampedusa con questo romanzo che lo ha posto all'attenzione della grande editoria italiana e dal successo postumo, ha dato il meglio di sé, amando profondamente tema, personaggi, luoghi. E tutto questo traspare. Alla nostra età si arriva ad apprezzarlo in pieno.
Bentornata Luz, ho letto il gattopardo circa tre anni fa, avevo visto il film di Luchino Visconti parecchi anni fa quando ero ragazza e non me lo ricordavo assolutamente niente, l’ho poi rivisto l’anno scorso in occasione della morte di Alain Delon, credo sia un film bellissimo che rende davvero il senso del romanzo. Non ho l’abbonamento a Netflix e quindi non guarderò la serie.
RispondiEliminaGrazie per questo tuo post molto illuminante in cui racconti delle tue origini e di Palma di Montechiaro.
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.
Credo che questa sia la frase più vera del romanzo, descrive un po’ tutto, anche l’Italia attuale
Bentrovata, Giulia. Come scrivevo ad Ariano uno dei piani narrativi del romanzo è proprio il suo prestarsi a essere interpretato come uno degli aspetti di questo nostro presente. Senza neanche un eccessivo sforzo di fantasia. Il principe fa un gran lavoro di adattamento al suo presente ma ci si immerge con amarezza e grande consapevolezza del tramonto di un'epoca.
EliminaWow, una recensione degna della tua dote eccezionale nel parlare di un libro con grande competenza e trasporto. Qui, poi, mi sento presa in causa da siciliana, amante della sua terra così piena di contraddizioni. I luoghi della memoria sono tutti splendidi e immagino il tuo stato d'animo nel sentirti immersa in una realtà appartenente alla tua famiglia. Sono contenta che tu abbia rispolverato vecchi ricordi e che la Sicilia ti abbia accolto con tutta la sua bellezza
RispondiEliminaQuanto al Gattopardo, anch'io l'ho riletto e apprezzato in età adulta: i passi che citi sono i più emblematici, il cuore della storia è tutta là, nella descrizione che ne fa il principe di Salina. Devo dire che il film di Visconti, a suo tempo, mi era sembrato noioso, ma non brutto (scusa la franchezza) come il rifacimento moderno. Ho visto la prima puntata e mi è bastato: quella non è la storia vera del Gattopardo, hai detto bene, ispirata a, per nulla fedele... e insomma non m'è piaciuta.
Ora con calma mi gusto il documentario.
Mi sarebbe stato impossibile, cara Marina, non pensarti in quei giorni in Sicilia. In particolare, come sai sfiorando la tua città natale, Caltanissetta, sulla direzione Palma - Palermo. Devo dire che quelle montagne brulle, riarse sotto il sole di agosto, non me le ricordavo così nitidamente, erano pur sempre passati ben trent'anni. Mi hanno fatto un certo effetto, in particolare perché, tu lo sai bene, dove viviamo adesso, specie io in collina, il colore vira verso il verde intenso, la vegetazione è rigogliosa. Sulle lande della Sicilia centrale ci sono altre vibrazioni, che mi danno emozioni differenti, sento che tutto palpita in modo diverso e sento molto dentro di me un'appartenenza che non è certo uguale alla tua ma ci si avvicina.
EliminaNelle parole del principe, che è perfettamente consapevole di tutti i limiti e i problemi della sua terra, rivedo le stesse immagini, gli stessi limiti, lo stesso "arrancare". La Sicilia del Gattopardo è dunque anche un po' la tua, per ragioni diverse proveniamo dalle stesse zone e possiamo comprenderci bene. È un altro aspetto che ci accomuna!
Grazie per il tuo affettuoso apprezzamento. :)
Ben tornata in attività Luz! Purtroppo non ho letto Il Gattopardo e credo di aver visto solo qualche spezzone del film di Visconti. Non ho proseguito nella visione per non rovinarmi una futura lettura del romanzo, ma al momento non è nella mia lista. Forse per via della distanza geografica e di una regione che non ho ancora visitato. Vedremo in futuro, specie perché in tanti dite che si apprezza di più da adulti. :)
RispondiEliminaBentrovata tu, Barbara! Dai, verrà il giorno che vedrai la Sicilia e te ne innamorerai. :)
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